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Principesse per i maschi e macchinette per le femmine: perché a Natale è meglio il regalo transgender…

Educazioneglobale Natale 5E’ quasi Natale, tempo di celebrazioni, di cene e di regali. Anche nel contenimento delle spese indotto dal momento economico difficile, almeno per i bambini c’è sempre qualche dono. Visitando negozi reali e virtuali ogni volta mi salta agli occhi quanto si sia polarizzato ed estremizzato il mondo dei giocattoli: giocattoli da femmine e giocattoli da maschi sono due mondi separati, uniti da pochi oggetti “transgender” come i mattoncini della lego o i colori a tempera.

Questo mi ricorda come anni fa, in un normale pomeriggio al parco giochi, tra bambini ed altalene, ho visto una scena banale, ma che a lungo mi è rimasta in mente. C’era un bambinetto che avrà avuto si e no due anni, accompagnato al parco da quella che sembrava essere la nonna. Il bambinetto in questione aveva un suo bel pallone colorato ma aveva adocchiato il classico passeggino da bambola che un’altra bambina aveva lasciato nel prato prima di salire in altalena. Ci si era avvicinato baldanzoso, l’aveva impugnato e via a spingerlo su e giù, ridacchiando felice.

Tutto questo finché un grido non lo aveva investito, lasciandolo un po’ stupito e imbambolato e aveva fatto girare anche me. “No, Francesco! (o Matteo, o Giovanni..non ricordo), quello no, non è tuo e poi…è DA FEMMINA!”. La nonna aveva raggiunto il nipote, gli aveva tolto il passeggino e lo aveva condotto via, ridandogli la palla.

Neanche un minuto e il bambino ritornava indietro a prendere il passeggino e di nuovo, gongolando felice, era in procinto di spingerlo ed ecco che la nonna ritornava a prenderglielo, insistendo “ma questo è un gioco da femmina… non lo vedi che è ROSA?”. Nel frattempo la mamma della giovanissima proprietaria del passeggino aveva già detto “ma lo prenda pure se il bambino lo vuole”, ma alla nonna no, proprio non andava giù che il nipote MASCHIO giocasse con una cosa da femmina

Il resto della scena, chi ha esperienza di bambini se lo può immaginare. Il piccolo Francesco (o Matteo, o Giovanni..) faceva quello che io chiamo “la molla”: più lo si allontanava dal passeggino e più vi tornava, visibilmente innervosito.  Era evidente che il bambino certo non si poneva l’oziosa questione di distinguere le cose da femmina dalle quelle da maschio, le cose rosa dalle celesti, le cose belle dalle brutte. E ciò non solo perché era troppo piccolo per elaborare certi concetti ma anche perché – beato lui – era ancora libero da sovrastrutture. Semplicemente voleva sperimentare l’ignoto (il passeggino) al posto del noto (il pallone) ed era evidente che – data l’età – per un bambino che camminava relativamente da poco, l’idea di poter anche spingere qualcosa con le ruote mentre camminava era assolutamente esaltante.

Allora, per tornare ai regali natalizi, il punto è che, irreggimentati nelle nostre convenzioni (magari senza arrivare agli estremi di quella nonna), anche noi rischiamo di dare messaggi che tendono a rinforzare costantemente e in modo ridondante una identità di genere.

Distinguere giocattoli da maschi e i giocattoli da femmine è proprio come lanciare uno di questi ‘messaggi’.

Onestamente io penso che non ci sia bisogno di rinforzare l’appartenenza di genere, ma che questa vada scoperta da soli. Chiunque ha avuto intorno dei bambini di entrambe i sessi avrà notato come, specialmente dai tre anni in poi, gli interessi vadano divergendo in modo naturale. Dunque, visto che è Natale, cogliamo ora l’occasione per non rinforzare l’identità di genere con i soliti regali “da maschio” (per i maschi) e “da femmina” (per le femmine).

Ma perché la questione è importante? Perché fa parte di un problema molto più generale relativo a come educhiamo le persone nella nostra società.

Sin da piccole le figlie femmine vengono educate alla ‘cura di sé’ intesa non tanto come cura della propria intellettualità (o personalità, o spiritualità ecc..) ma come cura della propria bellezza e, in definitiva, femminilità.

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Sin da piccoli i maschietti (come il bambino nel parco) vengono spinti a rifiutare il mondo femminile e a considerarlo ‘settario’ e inferiore e a sviluppare invece competitività, primazia, contenimento (quando non repressione) dei propri sentimenti. Io penso che l‘unica nozione “sana” di femminilità, così come di maschilità sia quella biologica. Tutto il resto è una sovrastruttura.

Io penso che l‘unica nozione “sana” di femminilità, così come di maschilità sia quella biologica. Tutto il resto è una sovrastruttura.

Per spiegare perché, mi soffermo in particolare sull’educazione delle bambine, perché mi sembra quella per cui l’educazione “di genere” sia più artefatta. Sin da piccole le bambine sono oggetto di messaggi femminilizzanti, un marketing aggressivo fatto di prodotti tutti rosa che rimandano costantemente a ruoli tradizionali e subordinati: la brava mammina/donna di casa (e allora abbiamo bambole, cucine, pentoline) e la bella principessa/lolita (e qui abbiamo vestiti, cosmetici, perline, scarpette da principessa con tanto di tacco in plastica rosa). La psicologa Anna Oliverio Ferraris ci ha scritto anche un libro su questo fenomeno, dal titolo, guarda caso, “La sindrome Lolita”.

La giornalista Barbara Ehrenreich in un articolo esilarante uscito nel 2007, ha descritto il mondo fittizio, presente anche in tanti cartoni animati della Disney, in cui le femmine, brave solo a pulire e spazzare per terra (così Cenerentola, ma anche Biancaneve) spendono buona parte della favola in cattività o in coma (capita, tra le altre, a Biancaneve, alla Bella addormentata nel bosco, alla Bella e la Bestia), svegliandosi solo quando un principe arriva e le bacia. Un mondo in cui le donne sono estranee a qualunque forma di solidarietà femminile perché per ogni principessa, bella giovane e ingenua, c’è sempre una donna anziana e invidiosa nel ruolo di matrigna o di strega che attenta alla sua bellezza, alla sua giovinezza o alla sua vita.

Ora, non voglio bandire la disneyficazione della cultura (o forse si?) o censurare tutte le fiabe classiche, né negare che le donne sono diverse dagli uomini, diversa la loro biologia e diverso il loro cervello. Voglio solo affermare che certi messaggi non andrebbero rinforzati ma, semmai, stemperati, attenuati. 

Insomma, dobbiamo smettere di socializzare le femmine a fare le femmine e i maschi a fare i maschi. Smettere di regalare solo smalti alle bambine e aerei ai maschietti o, quando è tempo di università, consigliare alle ragazze di studiare Lettere o Giurisprudenza e ai maschi Economia o Ingegneria. Dobbiamo smettere di discriminare ..pardon.. di educare, i nostri figli in base al genere.

E’ un compito importante, che serve a creare una società dove non è che non ci siano i generi ma in cui gli uomini siano più coinvolti nel privato e le donne siano più indipendenti e non agiscano al mero scopo di compiacere gli uomini e competere esteticamente con le altre donne.

Allora cominciamo dal Natale: anche il bambinetto del parco che ho citato all’inizio di questo ‘post’ (e che ora sarà quasi adolescente) avrebbe avuto diritto al suo passeggino da bambola o alle tazzine di plastica con cui imitare gli adulti quando bevono il caffè; una bimba di quattro anni può divertirsi con una macchinina telecomandata invece che con la solita Barbie, e, magari, ad una ragazzina preadolescente regaliamo un microscopio.

Mischiamo un po’ le carte: chissà che non ne venga fuori una società migliore.

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Comments

  1. Sono molto d’accordo con te, soprattutto lasciamo ai bambini (maschi e femmine) la possiblità di seguire le loro curiosità e i loro interessi, senza irreggimentarli sin da piccoli in convenzioni che non hanno molto senso. Il genere, come dici tu, si esprime nella diversità biologica, il resto sono sorastrutture, che talvolta fanno molto soffrire. Io ho due figli maschi, ormai grandi. Da piccolo il primo si fece regalare una cucina (bellisssima, con le lucine che si accendevano a mo’ di fornelli) , l’altro si divertiva un mondo a fare i biscotti con me e la pasta con la nonna.
    Adesso fanno l’università: uno economia e l’altro ingegneria.

  2. Un piccolo aneddoto: anche il mio giovanotto ama cucinare, e questo lo ha aiutato a farsi bello con le amiche, le quali, ad un playdate, lo hanno ammirato mentre rigirava a mani nude i wurstel sulla griglia… L’arte si piega agli scopi più impensati!

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