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I rituali quotidiani dei grandi artisti e scrittori: cosa possiamo imparare da loro?

Delle persone famose o dei grandi artisti ci si domanda sovente che vita fanno. A che ora si svegliano? Come lavorano? Come organizzano le loro giornate? A rispondere a queste domande su attori e cantanti pop ci pensano le riviste cosiddette femminili e i rotocalchi di attualità. Ma, con tutto il rispetto, la vita dei volti noti del mondo dello spettacolo m’interessa sino ad un certo punto.

Molto più affascinante capire la vita dei grandi della letteratura, della musica o dell’arte o, magari, anche quella dei grandi inventori che hanno innovato e trasformato il mondo in modo radicale.

Che abitudini hanno? Come esercitano la loro creatività?

Come generano idee. Sono “impiegati della scrittura” (o della scienza o della musica) o pazzi geniali? Sono metodici e abitudinari (e allora possiamo “rubare” qualcosa dalle loro tecniche), oppure hanno sprazzi di estro creativo totalmente casuali, dunque tutto genio e sregolatezza? Insomma, come opera la loro intelligenza, da cicale o da formiche? Ad alcuni di questi quesiti risponde, sia pure in modo superficiale, un libro divertente. Si chiama Rituali Quotidiani. L’autore è il giornalista Currey Mason ed, in Italia, è edito da Vallardi.

  La lettura è di quelle veramente facili: il libro è composto da una serie di brevi profili che possono anche non essere letti in sequenza. Potrebbe essere anche un buon regalo per giovani che leggono classici della letteratura (esistono ancora?) oppure per chi è curioso degli altri o si sta interrogando sulle proprie abitudini di vita o sulle modalità per sviluppare la propria creatività.

Come pensano i geni?

L’autore ha messo insieme resoconti degli stessi artisti o di terze persone che li conoscevano: ne risultano centocinquantuno ritratti che descrivono le abitudini di lavoro e di vita di compositori come Čajkovskij, scrittori come Victor Hugo o Dickens, artisti come Mirò ma anche registi (Fellini) e scienziati (Darwin).

Emergono anche vizi, dipendenze da varie sostanze, bizzarrie e capricci.

Così possiamo scoprire, ad esempio, che, per lavorare, Wolfe si denudava, Capote scriveva a letto ed Ernest Hemingway per primo sperimentò una delle nuove mode americane, lo standing desk: spesso, infatti scriveva in piedi.

Gertrude Stein, invece, nelle pause di scrittura in campagna, amava osservare le mucche (ognuno si rilassa come può…).

Anthony Trollope era convinto che la scrittura dovesse farsi nel tempo libero e che lo scrittore dovesse lavorare. Scriveva dunque solo 3 ore al giorno e si cronometrava in modo da scrivere 250 parole ogni quarto d’ora: provatelo a spiegare a qualche studente liceale svogliato, quanto è fruttuoso concentrarsi cronometrandosi (si chiama “tecnica pomodoro” ed è un pò l’invenzione dell’acqua calda…).

Anche T. S. Eliot lavorava: era impiegato di banca nella City di Londra.

Fitzgerald scrisse un romanzo di 120.000 parole in soli 3 mesi, sfruttando le pause dell’addestramento militare (il che ci fa capire quanto, per alcune persone, la creatività nasca proprio, come un fiore nel deserto, dalla costrizione della routine imposta da altri).

James Joyce impiegò ventimila ore per scrivere l’Ulisse, mentre Honore de Balzac lavorava come un pazzo di giorno e di notte. La sua prima sessione di scrittura della giornata cominciava dall’una della notte e proseguiva sino alle 8 del mattino… e non era l’unica! Forse era il più stacanovista tra gli scrittori, anche per via della nota esigenza di pagare, con la sua scrittura, i suoi numerosi debiti.

Lev Tolstoj di mattina non rivolgeva mai la parola ai famigliari e, dopo la colazione a base di due uova sode, si ritirava nel suo studio con una tazza di tè, per non uscirne prima delle cinque del pomeriggio.

Thomas Mann era solito scrivere furiosamente per tre ore ogni mattina, per poi prendersi relativamente con calma il resto della giornata.

Charles Dickens era produttivo ma equilibrato: ogni giorno scriveva 2000 parole e camminava per 3 ore: un buon esempio di virtù!

E oggi? Murakami ha una disciplina inflessibile fatta di sveglie all’alba, sessioni di scrittura accuratamente pianificate. In più, corre da 25 anni (ha infatti scritto un noto libro sulla corsa) e va a letto alle 9.

Nicholson Baker (qui il profilo wiki) ha qualcosa in comune con me: scrive veramente bene solo di prima mattina. Così ha trovato un escamotage per creare artificialmente due mattine nella sua vita (come faccia lo lascio scoprire a voi, lo trovate nelle pagine pp. 84-86).

Woody Allen se ha un’impasse cerca qualche diversivo: anche solo cambiare stanza, fare due passi o farsi una doccia (p. 128). Da quando è famoso, è spesso costretto a camminare in giro per casa. Fuori, infatti, al Central Park, lo riconoscerebbero e fermerebbero, bloccando così la sua verve creativa. Per questo motivo, finisce per farsi troppe docce, cosa di cui si lamenta!

Roberto Rossellini leggeva sei o sette libri contemporaneamente e una volta stimò nella sua vita di aver letto 9 mila libri.

Stephen King scrive 2000 parole al giorno, tutti i giorni, compresi i giorni di vacanza o il giorno del suo compleanno. Per arrivare a questo traguardo scrive metodicamente ogni mattina. A volte ci arriva in tre ore ma, più spesso, ce ne mette cinque.

I rituali quotidiani dei grandi artisti: non solo virtù

Alla fine della lettura di Rituali Quotidiani si esce con l’ispirazione a fare di più o a fare meglio: qualcuno di questi rituali ci è entrato dentro o lo si è sentito come proprio. Attenzione, però, a  a non seguire l’indicazione di Sartre: si potrebbe scoprire di uscirne tossicodipendenti piuttosto che filosofi. Il grande esistenzialista francese, infatti, tra una chiacchiera con Simone de Beauvoir al Café de Flore o al Deux Magots, doveva avere una salute di ferro se riusciva, come pare, a tenere un regime alimentare basato su: “due pacchetti di sigarette e diverse pipe di tabacco nero, più di un litro d’alcol – vino, birra, vodka, whisky, eccetera – duecento milligrammi di anfetamine, quindici grammi di barbiturici, caffè, tè e pasti copiosi”. E tutto questo in sole 24 ore…

Un libro come Rituali Quotidiani avrebbe potuto prendere tutta un’altra piega in mano a qualcuno che ci avesse messo del suo e non si fosse limitato – come ha fatto l’autore – a mettere in fila i vari ritratti (per giunta neanche in ordine alfabetico o almeno cronologico, come ci si sarebbe attesi).

Pur divertendosi, dopo averlo letto si sogna lo stesso materiale riscritto dalla penna di un vero scrittore. Umberto Eco ne avrebbe fatta un’opera erudita ma piena di guizzi di umorismo; Pietro Citati, incarnandosi in ciascuno degli scrittori e degli artisti, ne avrebbe fatto un’opera letteraria a sé, con la sua prosa ridondante di aggettivi.

Peccato, ma il libro resta comunque una chicca per tutti coloro che sono interessati alla meraviglia dell’intelligenza umana e alle abitudini del lavoro creativo.

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Comments

  1. Posso interferire con un paio di chiose? Da un lato, lo scrivere stando in piedi non e’ proprio una moda americana, visto che mi pare lo praticassero Giulio Verne e il nostrano Giovanni Verga
    Dall’altro lato, la poetica di Trollope, grandissimo scrittore da noi poco e mal conosciuto, si riferisce agli inizi della sua carriera, allorquando faceva l’ispettore della Royal Mail. In questa sua qualita’ disegno’ la celeberrima red letterbox a colonnina, tuttora in uso, e percorse in treno in lungo e in largo il Regno Unito per ragioni di lavoro, si’ da abituarsi a scrivere in treno. Poi, divenne famoso e scrisse per mestiere.
    Provate a leggere “Τhe Warden” pensando che il direttore dello Jupiter sia Gian Antonio Stella tonitruante contro la casta, e non lo dimenticherete.

    1. Di Verga non sapevo, grazie di avermelo fatto scoprire (non lo insegnano a scuola ma, cercando, ho trovato conferme. Non ne ho ancora trovate per Verne).
      Però lo scrivere stando in piedi E’ una moda americana: è il computer che lo ha reso molto più diffuso nell’epoca moderna: è più facile stare in piedo con il laptop o persino scrivere sul laptop stando sulla cyclette che scrivere a mano (provare per credere).
      Inoltre in america c’è ora una grossa campagna su “sitting is the new smoking”, ecco perchè mi riferivo a ciò come una moda.
      Ci sono banchi di scuola con i pedali che caricano batterie (per i bambini ADHD) e standing desk per pc su tapis roulant nelle aziende high tech, per cui sarai d’accordo che, di fronte a fenomeni come questo, letteratura a parte, Verga era un dilettante!

  2. grazie per i molti suggerimenti di cui faccio spesso tesoro. Visto l’interesse per l’argomento ricambio suggerendo un piccolo gioiello del 1994 di Francesco Piccolo (premio strega e sceneggiatore) :
    Scrivere è un tic – i segreti degli scrittori- edito da Minimum fax e andato in ristampa nel 2006.

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