consigli e risorse per essere cosmopoliti

Non sai che ti perdi se non educhi i tuoi profili social

Ho letto sull’Economist che uno studio della Pew Research mostra una correlazione tra depressione e uso dei social media. La ricerca riguarda gli adolescenti; forse tali risultati si applicano anche agli adulti. Sia come sia, depressi o meno, se siete stanchi di vedere i vostri profili social pieni di foto di gattini o di dolci appena sfornati, vacanze tropicali o feste fighette, una soluzione c’è, anzi, ve ne sono due. Una, più sana e drastica, è quella di uscire dal mondo dei social media; l’altra, è quella di “educarli”. Scegliere questa seconda opzione si adatta a chi si trova in una terra di mezzo, perché i network sociali virtuali gli sono utili per lavoro o perché gli servono per mantenere rapporti con persone geograficamente vicine ma affettivamente lontane oppure geograficamente lontane ma affettivamente vicine (e quest’ultima fattispecie è quella, a mio parere, più meritevole di attenzione).

Non si comprende come mai tante persone debbano subire ciò che non vogliono, quando invece i social sono più addomesticabili dei figli. Infatti, più di ogni altro essere animato o strumento tecnologico, il social media vuole sapere cosa ti piace e cosa no, perché è programmato da mani sapienti per incantarti, farti stare online e, in definitiva, venderti pubblicità. Un domani (che forse è già alle porte), sarà programmato anche per farti il lavaggio del cervello, e a quel punto scatterà l’epoca dei nuovi luddisti. Cancelleremo i nostri profili virtuali, poi per gestire le crisi di astinenza dovremo curarci gli uni con gli altri. Magari creeremo dei circoli tipo alcolisti anonimi in cui ognuno degli ex social-addicted, a turno, farà vedere la foto del suo gattino e tutti gli altri miagoleranno in coro “mi piace!”, anche se il gattino è cieco e spelacchiato (la menzogna sociale non è forse quotidiana sui social?).

Fino a quel momento, però, ci sono altre soluzioni, veramente a buon mercato. Ciò si può fare con tutti i media, ma mi concentro su Facebook perché è comunque quello con più profili. Basta un po’ di tempo per spiegare all’algoritmo di Facebook cosa vogliamo vedere e cosa no. Siamo nell’epoca della personalizzazione, non lo dimentichiamo. Va da sé che questa personalizzazione può portare conseguenze nefaste, specie se applicata all’informazione vera e propria. Ormai la maggior parte delle persone attinge notizie dal web, con l’idea di disporre così di fonti più varie di quelle che possono derivare dai quotidiani o dalla televisione. Ma per ogni ricerca che facciamo, continuiamo a lasciare in rete le nostre impronte, in forma di una serie di bricioline come quelle di Pollicino, dette cookies. Così, i motori di ricerca ci propongono, per l’informazione, una selezione di siti basata sui biscottini, ossia le nostre abitudini di ricerca. Questo, se applicato alle notizie, significa che avremo sempre lo stesso punto di vista: il nostro. Il passo tra scambiare il nostro punto di vista per la verità assoluta è molto breve.

Se è bene informarsi su ciò che accade nel mondo da una pluralità di fonti, leggendo, ad esempio, anche articoli e ricostruzioni che espongono punti di vista che non condividiamo, per l’utilizzo diciamo così, ricreativo, dei social network, possiamo anche utilizzare criteri del tutto diversi e decidere di perdere tempo solo con ciò che realmente ci interessa.

Come educare il social? La prima regola aurea è: non accordate “like” a post, pagine o gruppi che non v’interessano. Ciclicamente arrivano inviti del tipo: “tizio ti ha invitato a mettere like sulla pagina xxy”. Magari la pagina xxy è una pagina di un’azienda che produce magliette con foto di torte. Tizio è un buon amico, voi non avete nulla contro le torte  ma non indossate magliette con foto di torte. A costo di sembrare antipatici, resistete all’impulso di mettere un like. Se tizio è una persona normale avrà mandato lo stesso invito a decine di altri contatti e non ci farà neanche caso.

Poi c’è il caso di Caio che vi ha inserito in un gruppo. Io stessa ho inserito in un gruppo, sugli Open Day delle scuole, varie persone che conoscevo e che sapevo essere nella fase della scelta della scuola dei figli. Nel farlo, ho inviato un messaggio di benvenuto con su scritto a cosa serviva il gruppo e che ognuno poteva entrarvi, leggere, pubblicare, uscire. Se mi è sfuggito qualcuno non so, ma ovviamente non si tratta di un gruppo dove le persone saranno a vita. Questi figli cresceranno e a loro, giustamente, non interesserà più molto degli open day delle scuole e delle università. Se inserite qualcuno in un gruppo, spiegate perché lo avete inserito. Se venite inseriti in un gruppo che non vi interessa, uscitene senza problemi.

Poi c’è il caso di Sempronio, che posta come un pazzo, magari foto della sua giornata. Sempronio, magari Sempronia, si fa ogni giorno una foto con il suo outfit of the day e la “posta” (voce del verbo “postare”) su Instagram, che la ripubblica su Facebook. In pratica vi racconta, per immagini, come si è vestita. Voi avete simpatia per Sempronia, ma magari non sapete neanche cosa avete addosso voi, figurarsi quando v’importa di come è vestita lei oggi, di dove prenderà il caffè, della sua “apericena”, della sua “aperifesta” o del suo  pomeriggio di shopping. Ebbene, Facebook vi consente un lusso sfrenato: quello di non vedere più nulla di lei nella vostra bacheca ma di rimanere amici. Non la seguirete più, insomma, ma senza incidenti diplomatici. Fine delle apericene. Anzi, ora che non siete più tormentati dalle sue foto vi viene anche voglia di invitarla. A cena.

Qui colgo l’occasione di dire una cosa a chi mi trova su Facebook. Tanti seguono la pagina di Educazione Globale. Poi ho almeno ho una sessantina di persone che mi hanno chiesto amicizia e, nella più parte dei casi, non ho idea di chi siano. Rimarranno, temo, in un limbo. Non posso dare amicizia a tutti, anche se sono certa che tra chi mi legge ci sono tante persone simpatiche. Il miglior modo per entrare in contatto con me è iscriversi alla newsletter di Educazione Globale o commentare direttamente un post al blog. Rispondo sempre ai commenti. Ovviamente la cosa vale se Educazione Globale vi interessa, perché se vi fa l’effetto che fanno a me le foto di torte e gattini allora vi invito a usare il vostro tempo in modo più proficuo. Io non me la prendo di certo!

Ma torniamo all’educazione, rectius, alla personalizzazione del vostro profilo Facebook. Affrontiamo ora il nodo decisivo delle pubblicità: il corso di vela, la borsa firmata, la spa esclusiva, il trekking-avventura: Facebook ve li fa vedere perché piacciono a qualcuno dei vostri contatti. Per non vederli più basta trovare il tastino (al momento in alto a destra) che vi apre la finestra di dialogo dove cliccare una scritta “non voglio vedere più pubblicità di questo tipo”. A volte nei singoli post si trova anche l’opzione “questo contenuto è offensivo”. Per mandare in tilt l’algoritmo potete provare a cliccare.

Perché perdere tempo ad eliminare la pubblicità? Non basterebbe non guardarla? E’ semplice: perché l’algoritmo impara e non ve la mostra più. Lui deve vendere, quindi non è interessato a mostrare il whisky d’annata all’astemio. Magari ve ne mostra un’altra, che tutto sommato v’interessa o non vi infastidisce. Ovviamente, così facendo “educhiamo” anche la parte pubblicitaria a darci pubblicità più adatte a noi, cosa che, in definitiva, è controproducente, ma per questo basta essere consapevoli.

Ora che avete eliminato quello che non volete vedere, decidete cosa volete vedere.

Facebook ha messo a punto un nuovo approccio semplice per determinare cosa volete vedere nella bacheca: ve lo chiede. Basta andare nei propri settings e sistemare le notifiche. Si possono selezionare fino a 30 persone o pagine per vederle per prime. Non entro nel dettaglio perché sono certa che, mentre pubblico questo post, i singoli comandi cambieranno. Trovate centinaia di siti che vi danno istruzioni dettagliate. Ci sono varie parti che potete personalizzare per i post che vi sono più utili o che preferite. Io uso spesso siti stranieri, ma sul sito di Salvatore Aranzulla trovate la soluzione o la risposta ai più comuni problemi informatici, social o web.

Poi si possono personalizzare le notifiche dei gruppi, decidendo di quali gruppi si vogliono ricevere le notifiche e di quali si vuole ricevere solo le più importanti.

Fatto questo, potete mettere dei “like” alle cose che veramente vi interessano. Non importa cosa siano. Le vignette del New Yorker o la pagina della scuola dei vostri figli? La pagina dei giocatori di scacchi della vostra città o il gruppo dell’uncinetto? Il profilo di un rapper americano o Pagina 99? Questo dipende da voi. Elargite con molta parsimonia i like agli amici, salvo che non abbiano interessi analoghi ai vostri, casomai fategli una telefonata.

Se posso dare l’ulteriore consiglio non richiesto, non vi infilate in discussioni politiche perché il mezzo del social non si presta a discussioni elevate. C’è sempre in giro l’amico dell’amico che è un violento, non sa ragionare o ha tempo da perdere per provocare (troll, hater e compagnia bella). Se proprio si deve litigare, almeno si litighi di persona. Almeno io la penso così.

Io elargisco moltissimi like ad alcuni studiosi di cui leggo i libri, come Jared Diamond (l’ho citato qui), Steven Pinker (ne ho scritto qui) e Yuval Noah Harari (ne scriverò). Per “colpa” di Harari, e con mio gran divertimento, mi arrivano alcuni post in ebraico. Non ci capisco assolutamente niente, ma trovo l’alfabeto molto elegante.

Se personalizzare il proprio profilo social sembra tanto lungo sappiate che, in realtà, le operazioni che ho descritto, se fatte tutte insieme, prendono al massimo 30 minuti. Relativamente tanto in una sola giornata, relativamente poco se guardate i social tutti i giorni. Pochissimo se guardate i social più di tre volte al giorno. Veramente nulla se siete già dipendenti.

Anzi, diciamo la verità: se siete sui media sociali è certo che avete speso molto ma molto più tempo a decidere come personalizzare il vostro profilo, la vostra foto del profilo e l’immagine di copertina. Non è paradossale che perdiamo tanto tempo per decidere quale lato di noi mostrare agli altri e così poco per decidere cosa vogliamo veramente leggere, sapere o vedere del mondo?

E’ mai possibile che l’edonismo estetico sia divenuto tanto pervasivo da aver sostituito il (sano) opportunismo nel decidere quali informazioni, notizie, foto e video vedere noi stessi?

Non educare i propri profili social (ma passarci comunque tanto tempo) è come ascoltare una radio commerciale piuttosto che scegliere una musica che piace.  Pensateci bene: in cambio di un po’ di tempo niente più annunci di borse firmate, niente più aggiornamenti sulla famiglia Kardashian!  E niente più foto di gattini…

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Comments

  1. Allora, un’utile integrazione non può che migliorare il sistema.

    Ma, al di là dell’atteggiamento costruttivo sia dell’articolo che del tuo commento, il problema rimane lo stesso di sempre: già si mente a spron battuto sui CV perché non anche sui Social Media?

    Già mandiamo studenti del classico a friggere patatine senza neanche la dignità di essere pagati (non sono contrario al friggere le patatine in sè. Il lavoro va pagato, sempre!), ma almeno crare per loro un CV, social o meno, che possa essere più attendibile e appetibile agli occhi delle aziende private e delle istituzioni pubbliche?

      1. In effetti sono stato troppo sbrigativo.

        Si, alludevo all’alternaza scuola lavoro, ma il centro del discorso è la formazione, qualunque sia la definizione che diamo di essa.

        L’articolo parla di come presentarsi ai “mondi” attraverso i social network, vuoi che sia il mondo sociale o il mondo del lavoro e così via. Fino a prova contraria, la formazione dovrebbe occuparsi anche di questo. Io, d’altra parte, ricordo che, se si vuole mentire, lo si può fare dovunque.

        Detto questo, perchè non usare l’alternanza scuola lavoro per la formazione, inteso nel suo senso più puro “acquisizione di una determinata fisionomia mentale o spirituale”, del modo di porsi al mondo o ai mondi? Così da aiutare gli studenti a rendersi più appetibile per aziende o istituzione di qualcuno che fa 5 minuti di video su Youtube e recita o mente esattamente come farebbe su un CV di carta quando posta un pensiero su FB, per esempio.

        Io, come sempre, sono convinto che il tradizionalismo di una scuola che rimane cieca a “materie” vere e proprie come quella che ho appena scoperto esistere leggendo l’articolo sia uno dei problemi più grandi di questo paese.

        (Di recente ho scoperto la vera natura della Dispute Resolution all’interno dei sistemi scolastici americani, ero convinto riguardasse solo diplomazia e invece si occupa anche di rapporti umani semplici. L’avessi studiata forse sarei ancora su Facebook come tutto il resto del mondo).

        1. Forse sono stato troppo serio, sembra che senta la mancanza di un’ora di “Facebook Applicato” tra inglese e ed. fisica.

          Quello che intendo riguarda la banale vita quotidiana. I Social Network fanno parte del nostro mondo ormai, come le indicazioni stradali, e credo che ignorarli, e rimanere tradizionali, sia un errore.

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