consigli e risorse per essere cosmopoliti

Serve ancora il latino? Seconda Puntata

Nel post precedente abbiamo ripercorso le ragioni normalmente addotte per il mantenimento dello studio del latino.

Ma perché persiste lo studio della lingua latina, come obbligatoria in tutte le scuole “che contano”?

La risposta penso sia semplice: le nostre élite si sono formate al liceo, in specie al liceo classico, dunque studiando greco e latino esse continuano a proporre come modello di istruzione il liceo, in particolare il liceo classico, dunque il greco e il latino.

D’altronde nella scuola italiana le alternative valide dove sono?

Per mancanza di una seria riforma (ieri) e di soldi per investimenti pubblici (oggi) nessuno tocca nulla e tutto rimane come è.

Ovviamente i difensori del latino (e del greco, e del liceo classico) diranno che i migliori sono sempre quelli che hanno studiato latino, in particolare al liceo classico. E’ una profezia che si autoavvera: se i ragazzi più studiosi vengono invitati a studiare al classico o allo scientifico, non c’è da soprendersi che poi quando ne escono siano bravi. Sarebbero stati bravi comunque e dovunque.

Inoltre, se è vero che per generazioni la classe dirigente del paese è uscita dal liceo classico… allora forse è il caso che guardiamo oltre e riformiamo i percorsi superiori, che siano d’elite o per tutti. Lungi da me voler buttare via la cultura storica, linguistica e filosofica, ma forse siamo pronti per qualche piccolo cambiamento, come, ad esempio, leggere i classici della cultura greco – latina in traduzione (e magari affiancare Guerra e Pace a “I promessi Sposi” e Shakespeare a Dante…).

Se avessimo un’articolazione della scuola superiore in materie di base (obbligatorie) e materie vocazionali (opzionali), che poi orientino la scelta degli studi universitari, si potrebbe riservare lo studio del latino e del greco a chi ne abbia davvero la vocazione. Sarebbe una scuola superiore articolata un pò come il baccellierato internazionale.

Ho un sospetto, però, che una tale riforma non si fa perchè ci porterebbe a scoprire che, davanti all’opzionalità, solo pochissimi sceglierebbero il latino (e/o il greco). Gli altri, anche gli amanti delle cosiddette liberal arts magari sceglierebbero letterature comparate o storia del pensiero economico…

Lo studio delle lingue morte, come esposto anche nella ricerca di Treellle che ho citato qui, ha imposto un metodo grammaticale/traduttivo, anche allo studio delle lingue moderne. 

I risultati che sono sotto gli occhi di tutti: in Italia quando qualcuno dice che sa l’inglese in modo “scolastico” vuol dire che magari sa cosa è il genitivo sassone ma non sa parlare la lingua! E come potrebbe mai conoscerla se non l’ha mai sentita parlare in classe? Le lingue, infatti, si imparano con il metodo comunicativo: prima con le orecchie che con gli occhi: così si impara la lingua madre (o le lingue native, in caso di plurilinguismo).  Prima si capisce, poi si parla, poi si legge ed, infine, si scrive (in questo senso, il metodo Orberg di studio del latino è più felice di quello grammaticale).

Ma c’è di più.

Il metodo grammaticale ed astratto non si è esteso solo alle lingue moderne ma caratterizza anche lo studio dell’arte e persino delle scienze. Ma come si fa ad insegnare scienze in modo astratto, senza esperimenti? Come diceva Oppenheimer, derivandolo da Hegel, insegnare le scienze senza esperimenti è come insegnare a nuotare senza fornire l’acqua in cui immergersi…. Ma è proprio quello che si fa al liceo scientifico! A proposito: il liceo scientifico è poco scientifico: è una brutta copia del classico, in cui il latino ha ancora un forte peso, le scienze un peso troppo modesto e, come si diceva, tutta la parte applicativa-laboratoriale delle scienze è totalmente trascurata (e lo era anche negli anni in cui il denaro pubblico per le scuole c’era…).

Infine, una nota di genere: le ragazze sono il 70% degli studenti dei licei classici: dato il tasso di occupazione femminile in Italia questo fa capire, purtroppo, quanto il classico sia un percorso lontano dal mercato del lavoro.

Il liceo classico ha prodotto, in certe generazioni, una cultura più alta ma al prezzo di perdere molti per strada e di provincializzare la cultura italiana, slegata dal resto del mondo.

Il latino (e tanto più il greco), ancora oggi, segnala – solo per noi italiani, si badi bene – l’appartenenza al gruppo dominante: si inserisce in un modello egemonico. Ma il modello egemonico non è più quello europeo, nato nella civiltà greco – romana – cristiana e il primato del latino mal si concilia con una società globalizzata e multiculturale.

In un mondo globale in cui i nostri figli mangiano panini americani, vestono abiti fatti in Cina e ballano al ritmo di una canzone dance coreana quale è il posto da riservare al latino nella formazione dei giovani?

Il dibattito è aperto.  Chi vuole partecipare lasci un commento qui sotto.

Comments

  1. A mio parere e’ anche una questione di offerta italiana attuale e non in vista di riforme più o meno probabili. Un ragazzo che ama studiare e desidera una formazione culturale alta, incontrare compagni stimolanti ed altrettanto studiosi, dove si dovrebbe iscrivere se non al classico od allo scientifico?

    1. A distanza di tanto tempo, aggiungo un commento, forse finale, al dibattito sullo studio dela latino. Un sito molto bello, che seguo da tempo, Noise from Amerika, ha pubblicato nell’ottobre scorso a firma di Michele Boldrin un articolo sul Classico (Aboliamo il classico) dove si utilizzavano argomenti simili a quelli qui trattati, circa il fatto che il Classico (e dunque lo studio del latino) era un modello previsto per formare (forse neanche tanto bene…) elite di altri tempi.
      Riproduco qui alcune righe del pensiero lì esposto, invitando però quanti fossero interessati ad andare a leggersi tutto il dibattito, commenti inclusi, al link che copio più sotto:
      “le scuole di elite ci vogliono, eccome. Non serve la scuola uguale per tutti e non è nemmeno possibile. Ma la scuola d’elite forma le elite e le elite – dovendo guidare il paese nel mondo di ora e non dell’altrieri – è bene conoscano il mondo odierno (e le lingue che vi si parlano, ah le lingue straniere …), le regole che lo governano, le scienze e le tecniche che lo reggono. E, soprattutto, ne acquisiscano la logica, il modello, la visione. Che non è quella dello status ereditato, che non è quella del lei non sa chi sono io, che non è quella dell’elegante locuzione, che non è quella del tanto tutte le opinioni sono uguali e vale quella che meglio si argomenta, che non sono quelle del grande passato dietro alle spalle ma del grande futuro che ti costruisci, che sono quelle della responsabilità individuale e del chi sbaglia paga, che sono quelle dell’innovazione, della competizione, della mobilità sociale e culturale in un mondo globale ed eterogeneo …”
      v. http://noisefromamerika.org/articolo/aboliamo-classico

      Elisabetta

  2. Chi non vuole studiare latino o greco può semplicemente iscriversi in uno dei tanti istituti tecnico-professionali in cui non sono previste queste materie…non vedo perché abolirle per tutti (già adesso sono opzionali, nel senso che sono nell’opzione “liceo classico (entrambe) o scientifico (solo il latino)”).

    Se poi l’idea è sostituirle con i laboratori…aargghh!!

    Leggete cosa scrive il prof. Alexander Ritter sull’importanza degli esperimenti dei laboratori per accedere a Oxford e Cambridge (il signore è certamente “above the average” dato che, uscito una decina di anni fa da un normale liceo scientifico italiano, è entrato a Cambridge x fare matematica, al Trinity College, quello di Isaac Newton per capirci, poi PhD al MIT e ora insegna a Oxford).

    Cmq, offre informazioni interessanti da parte di chi davvero ha avuto accesso al very top…

    1. Vale,
      a leggere il tuo commento viene il sospetto che tu il post non l’abbia letto affatto o lo abbia letto molto in fretta, poichè non proponevo di abolire il latino (e il greco, al classico) ma di riformare ed ammodernare la nostra scuola secondaria di secondo grado (tutta) inserendo un curriculum che consentisse scelte vocazionali.

      Mi autocito solo per non ripetere quanto già detto:
      “Se avessimo un’articolazione della scuola superiore in materie di base (obbligatorie) e materie vocazionali (opzionali), che poi orientino la scelta degli studi universitari, si potrebbe riservare lo studio del latino e del greco a chi ne abbia davvero la vocazione. Sarebbe una scuola superiore articolata un pò come il baccellierato internazionale. Ho un sospetto, però, che mi diventa certezza, a costo di rasentare la polemica: sapete perchè una tale riforma non si fa? Perchè ci porterebbe a scoprire che, davanti all’opzionalità, solo l’1 o 2 % dei ragazzi (anzichè il 41%) sceglierebbe il latino (e/o il greco). Gli altri, anche gli amanti delle cosiddette liberal arts magari sceglierebbero letterature comparate o storia del pensiero economico…”.

      Detto in altre parole, lo sappiamo tutti, credo, che tanti allievi – pur studiosi e magari interessati alle lingue, alle letterature, alla storia, alla filosofia piuttosto che alle “hard sciences” – scelgono il Liceo Classico per tradizione e che, se potessero scegliere, nell’ambito sempre di curricula non propriamente scientifici, magari studierebbero psicologia, filosofia e letteratura francese, o un altro trittico a scelta.

      Ho spiegato la mia posizione ancora meglio – spero – qui https://www.educazioneglobale.com/2014/04/i-programmi-dei-licei-non-e-ora-di-cambiare/

    2. non so cosa dica Alexander Ritter sull’importanza degli esperimenti dei laboratori. Non credo che c’entrino molto con l’ammissione a Oxbridge, specie per discipline come filosofia o matematica.

  3. Io sono in difesa dello studio della lingua greca e latina, insegnata come si deve, magari diminuendo solo un po’ le ore dedicate alla grammatica. Questo soprattutto per le nostre radici che sono permeate di parole che derivano dal latino e dal greco. L’etimologia fa ripercorrere la nostra storia, fa comprendere meglio il senso delle parole e conseguentemente dei concetti. Lo studio della lingua latina e greca inoltre ci aiuta ad articolare meglio il nostro modo di scrivere e di parlare e ci avvicina ad un passato non così lontano in cui il mondo religioso si esprimeva in latino e l’arte e l’architettura sono piene di iscrizioni tutte da scoprire.
    Le parole non sono vuote, in ognuna c’è una storia, che per noi, parte da lì. Ciò che auspico, è che venga insegnata in modo da non essere finalizzata al mero svolgimento della traduzione, ma che venga proposta in modo affascinante. I

    1. sarebbe bello se fosse vero. Purtroppo non vi è evidenza alcuna che “lo studio della lingua latina e greca inoltre ci aiuta ad articolare meglio il nostro modo di scrivere e di parlare”.

    2. Cara Lavinia, permettimi di ricordare che, su quanto tu dici, vi sono opinioni, per lo meno, discordanti.
      Che nomina sint consequentiae rerum lo diceva Isidoro dà Siviglia, che mi è pure simpatico perché è il patrono di internet, ma in un contesto particolare, in cui in sintesi poco altro poteva dire. Poi è venuto uno svizzero precisino , il Nando de Saussure, a dirci che il rapporto fra significato e significante è arbitrario, e in pratica sapere l’etimologia serve a poco. Io, lo confesso, la uso solo per fare sfoggio (ma per far ciò bisogna sapere anche un poco di arabo, come quando dico che voglio studenti arabi, non latini 🙂
      Leggere le iscrizioni, inoltre, richiede studi di paleografia, che al classico semplicemente non esistono.
      Mi pare allora sì tratti di obiettivi formativi molto come dire ? settoriali, per cui forse un intero ordine di scuola a ciò nella intenzione dedicato è un poco troppo.

  4. Un’ idea ( che per qualsiasi classicista sarebbe tabù ): facciamo leggere in originale le prime due pagine degli “Elementi” di Euclide e spieghiamo il loro significato. Alla domanda “perché Euclide è uno dei massimi geni della storia umana, ineguagliato per più o meno quindici secoli?” in dieci anni di insegnamento post universitario mai nessuno ha saputo rispondermi…. Così il greco potrebbe avere un senso, fatto come lo sì fa oggi è solo vuota retorica, sovente di modesta qualità ( penso a certe traduzioni liceali che scoppiano sotto file di gerundi e participi …).

  5. Ok, ammetto di aver scritto un commento da cui parevo una tonta che non sa leggere, ma non mi riferivo nello specifico al post di Elisabetta (da cui è chiarissimo che non intende abolire latino e greco tout court) quanto a questa tendenza generale ad accanirsi con questo greco/latino.

    Ribadisco, chi volesse fare un altro trittico di materie non “hard science” né includente latino e greco potrebbe ad oggi ancora scegliere un linguistico, uno psico-pedagogico, un liceo delle scienze umane etc.

    Renderle materie opzionali in un sistema organizzato con materie obbligatorie e vocazionali a mio avviso porterebbe ad una significativa riduzione della loro offerta,proprio perché verrebbero scelte solo dal 2% degli studenti.

    Il risultato, temo, sarebbe che solo più poche scuole potrebbero permettersi il lusso di tenerle all’interno della propria offerta (pagando i relativi docenti, anche con pochi studenti) perché alla fine sono un po’ i numeri che impongono le scelte.

    Milano e Roma avrebbero comunque le loro belle scuole in cui “c’è anche il corso opzionale di greco”, in tutti gli ormai ex-licei classici di provincia si troverebbero solo più psicologia, pedagogia, letteratura comparata etc.

    E di nuovo, la solita upper class potrebbero permettersi di far studiare queste materie ai propri figli, tutti gli altri…arrangiarsi con quel che rimane.

    Un po’ come dire che, poiché “va molto” fish and chips, riserviamo frutta e verdura ai negozi di primizie (a cui ovviamente possono/vogliono accedere regolarmente pochi) e tutti gli altri. ..Junk food! E infatti, nello specifico esempio del cibo, in USA è letteralmente cosi…con l’obesità problema sociale così allarmante che fin la first lady si impegna in campagne per la sana alimentazione & Co.

    Il liceo classico, anacronistico e fuori dai tempi quanto si vuole, ha il pregio di aver livellato verso l’alto l’istruzione complessiva italiana (certo andrebbe integrato con materie più moderne) mentre un sistema più “puntuale” (ognuno costruisce il suo percorso) spinge verso l’alto quelli che sono già top di loro (con corsi anche molto avanzati) e lascia tutti gli altri ad un livelli mediocre.

    E’ una questione di impostazione filosofica di fondo, non tanto e non solo di quanto serve il latino.

    Chi ha i numeri ce la fa comunque ad eccellere partendo anche da un liceo classico perché ci sono 1000 modi per integrate quel che manca e serve e interessa, chi non ne ha tanti almeno non si ferma troppo in basso.

  6. Cara Vale, mi sembra che il tuo intervento poggi su una premessa implicita, che è la solita: la presunta, più volte asserita, ma mai dimostrata, utilità a prescindere del greco e del latino come capaci di “aprire la mente”. Permettimi di dissentire, come dissento anche sulla presunta capacità, sia in passato, sia ora, del liceo classico di “livellare verso l’alto” l’istruzione italiana. Su questo, potrei scrivere a lungo, e in parte lo ho già fatto, qui e altrove. Ma mi limito a citare proprio un autore greco classico, ovvero tal Platone, che secondo la tradizione aveva fatto scrivere sulla porta della sua scuola: “Non entri chi non sa la matematica”, ovvero proprio la materia che il liceo classico valorizza meno e che, in un mondo che “gira” grazie alla scienza e alla tecnologia, dovrebbe essere studiata a dosi massicce, proprio per raggiungere l’obiettivo, condivisibilissimo, che tu auspichi, ovvero per non lasciare nessuno indietro. Se fra “quel che rimane” con cui “arrangiarsi” vi fosse la matematica, ovviamente trattata in modo serio, e non a livello di catalogo di formule da mandare a memoria, io -esagerando- renderei opzionale tutto il resto.

  7. Cari tutti,
    non concordo che l’etimologia non serva. Per esempio, sapere che un termine così importante come “persona”, deriva dal latino, e significa “maschera” può avere un certo significato. E sapere poi che ci si riferiva alla maschera usata obbligatoriamente nel teatro greco, per rappresentare a toni marcati il personaggio, stereotipandolo, per far subito capire al pubblico chi fosse, può essere ancor più interessante. Curioso invece il fatto che per-sonare si riferisce al fatto che la maschera avesse una fessura all’altezza della bocca creata in modo da far risuonare meglio la voce dell’attore cosicchè il pubblico potesse ascoltare meglio.
    La personalità quindi, etimologicamente sarebbe correlata all’amplificazione delle caratteristiche del personaggio. Più tardi gli stoici definirono persona l’individuo umano in quanto avente un ruolo nel mondo. Si comprende meglio perchè diciamo ” un uomo senza personalità” riferendoci anche ad un’incapacità di adattamento sociale.
    Scusatemi per la noiosa digressione, ma ho voluto prendere ad esempio un termine fondamentale per lo studio della psicologia, una delle ipotetiche materie alternative.
    Ma mi fermo qui (con l’etimologia).
    Quanto alle iscrizioni: io in latino non ero brava (direi una mezza capra) ma ho potuto leggere a mia figlia cosa c’era scritto sopra il primo ordine di finestre dei palazzi degli anni venti del nostro quartiere o sulle lapidi (non tutte..) contenute nelle chiese che abbiamo visitato.
    Sono d’accordo con Vale su quanto il liceo classico abbia permesso ad allievi provenienti da contesti sociali più disagiati di poter accedere ad un cultura elitaria. Il liceo classico ha permesso a molti di non farsi intimidire dai “latinorum” degli Azzeccagarbugli di turno e di poter accedere alla comprensione di ambiti culturali che per anni sono stati riservati ad una ristretta elite.
    Detto questo, vorrei passare ad una considerazione molto banale. La maggior parte delle persone che conosco che parlano e scrivono bene hanno studiato al liceo classico o scientifico. Un amico fisico (ora professore di fisica all’Università) mi ha sempre detto che i migliori studenti vengono dal liceo classico.
    Ma io parto da un concetto fondamentale. Non possiamo conoscere tutto. Ma siamo nati in Italia e la comprensione profonda delle nostre radici culturali è essenziale. E’ il nostro patrimonio.
    E le nostre radici sono legate al mondo latino e greco.
    Un tempo i poeti, gli artisti, gli scrittori ed i filosofi erano tenuti in somma considerazione. La mia bisnonna raccontava sempre con orgoglio di aver potuto parlare con Gabriele D’Annunzio, come se mia figlia avesse potuto avere l’autografo di Violetta!
    Adesso sembrano una categoria piuttosto…sfigata.
    E’ giusto? Non credo. Secondo me è una perdita.
    Per concludere, due citazioni da un piccolo saggio-gioiello che ha regalato a tutti il nostro capo (“L’utilità dell’inutile” di Nuccio Ordine).
    John Henry Newman (“scritti sull’università” pag 337) ha scritto che “la cultura generale della mente” viene prima dello “studio professionale e scientifico”, nella convinzione che “gli uomini istruiti possono fare ciò che non possono gli uomini incolti”.
    L’altra, è tratta dai Quaderni del carcere scritti nel 1932 da Gramsci.
    “Non si imparava il latino e il greco per parlarli…Si imparava per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente.”.
    Grazie per la pazienza,
    Lavinia

  8. Come sempre, non contesto gli altrui punti di vista. Posso però dire – sono dieci anni che insegno, se pure da umile contrattista, presso scuole post universitarie- che gli studenti più impreparati (e presuntuosi) che ho trovato venivano proprio dal classico. Forse ho avuto sfortuna…

  9. Elisabetta …come mai il mio commento è uscito con un’altra icona/nome?

    Comunque, ricopio:

    Io NON ho fatto il classico (forse avrei fatto bene a specificarlo prima) e in “quel che rimane” con cui “arrangiarsi” non ho messo e non intendevo certo la matematica bensì psicologia, pedagogia, letterature moderne comparate varie etc. perché si stava parlando di sostituire il latino e il greco con materie non “hard science” all’interno di un percorso alternativo/opposto a uno di stampo più matematico/scientifico (per coloro che appunto non sceglierebbero/non amano matematica/fisica/scienze/chimica/biologia).

    Ritornando quindi alla questione di “come proporre agli studenti le materie più umanistiche” (e non se siano meglio le materie umanistiche o le scientifiche) e nello specifico latino e greco, le due opzioni paiono o “un intero ordine di scuola a ciò dedicato”, che è vero, volendo è un po’ troppo, oppure materie “vocazionali” a scelta dello studente in un modello di istruzione come proposto da Elisabetta basato sul modello IB, che a quel punto sarebbe un po’ troppo poco (nel senso che poi, di fatto, poche scuole lo attiverebbero perché pochi studenti lo sceglierebbero).

    Tra il troppo “tanto” e il troppo “poco” io preferisco sempre il troppo “tanto” perché il troppo “poco” rimane poi esclusivo appannaggio dei più ricchi (ovvero di coloro che di fatto possono “correre il rischio” di studiare qualcosa non magari direttamentre spendibile sul mondo del lavoro, e che magari hanno soldi e tempo da investire andano a ricercare quelle poche scuole che offriranno latino e greco).

    Mi pare non ci siano dubbi sul fatto che se di un certo bene c’è poca offerta, quel “poco” poi “costa” tanto e quini è solo per i ricchi, giusto?

    Se poi vogliamo dire che latino e greco di per sè non servono a trovare lavoro (condivido) quindi meglio che lo Stato dedichi soldi a qualcosa di più produttivo (non quindi ad una marea di licei classici sparsi sul territorio che di fatto costano tanto) mi può andare bene perché è anche giusto che le risorse pubbliche vadano a qualcosa di utile per tutti.

    E’ una questione di scelte filosofiche di fondo.

    ***

    Il prof. Ritter dice, un po’ in sintesi e tra le righe, che fare tanti begli esperimenti di laboratorio alle superiori non serve a un bel nulla per essere ammessi a Oxbridge (Cambridge nello specifico – così come credo non serva per la scuola superiore S.Anna o la Normale di Pisa), in particolare per discipline come fisica o matematica.

    Lui a Cambridge ci è entrato, questo test di ammissione lo avrà fatto e superato, quindi, non avendo io trovato altre fonti contrarie di qualcuno che sia anch’egli effettivamente entrato in queste università, non posso che dargli la precedenza.

    Se un qualche studente del Trinity College un giorno mi dirà “meno male che ho passato tante ore a fare esperimenti di chimica e fisica in laboratorio se no non sarei entrato a Cambridge”, ecco che potrò rivalutare la cosa. Tutto qua.

    1. Vale, scusa, non so come sia successo che il tuo commento era dapprima apparso con il nickname di un’altra persona, non è mai accaduto prima (forse è perchè worpress ha aggiornato dei plugin mentre commentavi ed è andato in tilt?). Ad ogni modo ho rimosso la copia precedente del commento.

    2. Ritter, o chi per lui, per entrare a Oxibridge, oltre ad aver sostenuto 11 o 12 GCSE con tutti A* e 5 A level con tutte A* ha anche sostenuto un test (che varia a seconda della materia, nel suo caso il Mathematics Admission Test) e poi un colloquio dove gli anno presentato un problema che sicuramente non sapeva risolvere. Ora se non avesse maturato esperienza nel problem solving con situazioni “strane” (che è il lab di matematica) , ora lui avrebbe raccontato un’altra storia. A quelli di biologia, il problema irrisolvibile è, ad esempio, una fotografia di una cellula, dal quale risalire se è di fegato (o di rene) e se ha qualche anomalia (esperienza e scaltrezza che acquisisci in lab, non guardando le foto in appendice di un libro). Infatti, lab è una componente importante dei corsi gcse e sixth form e IB. Certo il lab di chimica non è molto utile per il colloquio di filosofia, ma il lab di chimica ha permesso di comprendere meglio la materia e ciò ha permesso di prendere un voto più elevato che è la precondizione per l’ammissione.

      1. Ma a me pareva di aver capito che Ritter avesse fatto il Liceo Statale Marinelli di Udine, nessun GCSE, nessun A-level e di certo nessun lab di problem solving di matematica…forse stiamo parlando di persone diverse o forse ho letto frettolosamente io la sua storia.

        1. Ripeto: Ritter, o chi per lui, deve fare quella trafila lì. L’unica eccezione è che per la scuola superiore, il sistema UCAS prevede la possibilità, caso per caso, di valutare anche titoli stranieri. Ma test e colloqui rimangono gli stessi.

          Ora il caso Ritter, eccezione che non dimostra nulla, se non il talento di Ritter. Ritter che si dichiara italo-tedesco, parlava, all’ingresso a Cambridge già quattro lingue. Non certo, condizione standard per uno studente italiano. Non so se avesse fatto attività come le olimpiadi di matematica, o i nerd camp per matematici. Di certo è stato candidato per matematica, dove è abbastanza palese chi ha il talento e chi no. Peraltro, Ritter doveva essere particolarmente bravo, tant’è che poi ha continuato all’MIT, altro scoglio, e poi è diventato professore a Oxford di matematica, altro super scoglio. In poche parole, questo era già un matematico e si vedeva. Ci voleva pure che non lo prendessero?

          Per fare domanda a Cambridge, che non si fa all’ultimo minuto, i genitori comunque dovevano essere già attrezzati, perché i test di ammissione (il MAT, per matematica) vanno comunque fatti prima, prenotandosi e pagando. Qualcuno deve averli assistiti. Non credo nella scuola di Udine ci fosse un advisor per le ammissioni a Oxbridge.

          Il punto è quanti come lui si sono persi, perché non erano attrezzati, non avevano le informazioni giuste, erano discriminati per il fatto di venire dall’Italia (in percentuale gli italiani ammessi sono molto meno dei francesi e dei tedeschi, o degli svizzeri).

          1. E daì, credo che se scoprirò di avere un figlio che meriterà di provare ad accedere a Cambridge riuscirò a trovare il modo di presentare la domanda, possibilmente non all’ultimo minuto, di prenotarlo e sì, anche di pagare il test.

            Credo presuntuosamente di potercela fare a compiere questa serie di operazioni da sola o, alla peggio, di trovare tra 10-12 anni un advisor che mi aiuti (c’è un link sul sito UCAS, al British council dovrebbero dare assistenza, a pagamento, chiaro, etc…).

            La questione è che per accedere a Cambridge non serve nè il GCSE, nè l’A-level, nè il lab di problem solving nè tantomeno qualcuno che ti riempia i moduli di ammissione…serve appunto essere molto bravi e superare i test e i colloqui che sono gli stessi per tutti. E a questi ultimi ci si può preparare anche partendo da una scuola di Udine a costi inferiori agli oltre centomila euro di un percorso completo in una scuola internazionale.

            Se sei bravo sei bravo, se sei tonto puoi anche avere come advisor Isaac Newton ma non andrai molto lontano.

          2. come ho scritto in un altro thread di questo blog, la scelta della scuola è più importante per chi non è verybello o verybravo. Per quelli bravissimi e angular (cioé quelli che sono nel top 0.01% della distribuzione o con un particolare talento già evidente) non esistono ricette. Il fratello gemello di Ritter (se mai fosse esistito) con tutti i talenti del caso non ha nessuna garanzia di accedere a Oxbridge, con o senza advisor, e in ogni caso ha meno probabilità rispetto a un analogo gemello che ha seguito una strada più acconcia.

            Ora, siccome nel 99.99% dei casi noi non abbiamo la fortuna di avere figli top 0.01%, allora non bisogna seguire ciò che ha funzionato (per caso?) per i top 0.01%, ma ciò che funziona meglio per gli altri che fanno parte del 99%.

  10. Scusate, a me sembra che stiamo parlando di un fuoriclasse. Per i geni non credo sia un problema approdare a Cambridge o a Oxford. Ma se uno ha un figlio genio credo che già alle medie se ne accorga, e se genio è, aggiustare il tiro offrendo tutte le possibilità del caso si può ancora fare.
    Forse sarebbe meglio pensare a figli normo-dotati, magari con crisi adolescenziali in corso, che probabilmente saranno quelli in cui ci imbatteremo tutti noi..
    Figli che hanno anche loro una volontà e non è detto che si lascino imporre il percorso di studi da noi…insomma può essere che dovremmo sentire anche il loro punto di vista, comprendere quali saranno i loro talenti. Insomma ricordiamoci anche che la vita è loro e non potremmo imporgli un elenco infinito di attività programmate, se non altro per evitare che per reazione non mandino tutto a quel paese!
    Ripeto, attenzione in questa storia a non metterci troppo delle nostre aspettative, dei nostri desideri senza accorgerci bene chi abbiamo di fronte.

  11. Ammettiamo che qualcuno sia un genio. Anche Cassius Clay, che fin da ragazzo era certo di diventare “il più grande”, andò subito in cerca del più grande degli allenatori. Ripeto: pensare che se uno è un genio, arriva lo stesso può essere un comodo alibi.

    1. Anche pensare che basta una scuola costosa che ti compila i form di ammissione può essere una comoda sicurezza. Pago, e poi ci pensano loro…a formarlo per benino, a divertirlo un be po’, ad accompagnarlo per mano e ad iscriverlo nel modo giusto poi dove servirà. Una sorta di CEPU.

      Perché poi c’è sempre questo piccolo particolare…il costo.

      Come dice Lavinia, se avrò un figlio genio (e non lo posso sapere ora che ha 5 anni) sarò ancora in tempo ad aggiustare il tiro (e intanto vediamo nel frattempo cosa ne pensa lui, aspetto non certo trascurabile) e ad investire a quel punto quello che servirà davvero (non certo il CAS o il corso di musicologia comparata, per dirne una…).

      Perché, purtroppo, sarà anche un alibi, ma è vero che se uno è molto bravo viene fuori comunque con qualcosa di buono mentre non è affatto scontato che basta una “buona” scuola a sfornare dei geni.

      Saluti.

      1. infatti la scuola non serve a sfornare geni, ma a realizzare il potenziale che ogni ragazzo può esprimere.

        Il costo è un vincolo importantissimo, e questo però non deve alterare le altre variabili che possono influire su una decisione. So che la bistecca di matsusaka è favolosa, ma non devo trovare difetti che non ha perché costa tanto. So che è migliore (o si adatta il mio raffinatissimo palato) ma non la consumo perché costa troppo. So che la Mercedes è meglio della Fiat, ma non la prendo per le stesse ragioni. Sarebbe ridicolo chi sminuisse le qualità della Mercedes per razionalizzare la scelta di aver comprato una fiat. Uno compra la mercedes perché non ha vincoli di budget, oppure, nonostante il costo, perché uno, data la sua visione del mondo, ritiene che quella vettura soddisfa bisogni indifferibili e irrinunciabili.

        1. ma io non ho vincoli di budget…se volessi fare (neache troppi) sacrifici li manderei alla scuola internazionale…scrivevo per quelli che si “impiccano” letteralmente per mandarli ad una scuola che non sono poi così tanto convinta realizzi chissà quali potenziali.

          Io ne ho scelta una bilingue che costerà più o meno 2.000-3.000 euro/anno in meno dell’internazionale.

          Condivido pienamente il ragionamento Mercedes-Fiat, mi pare però altrettanto poco sensato attribuire al contrario qualità ad una cosa solo perché c’è/è proposta…ritorno sul CAS: c’è, è obbligatorio, ma io non credo assolutamente che serva a nulla per l’ammissione in nessuna università, quindi non lo decanto solo perché l’ho pagato.

          E’ molto più probabile che uno che non può permettersi una Mercedes dica “come la vorrei” che non uno che, potendosela permettere, dica “non la voglio” perché magari ha valutato, dal suo personale punto di vista, che siano soldi male investiti.

          1. Vale, a parte i toni polemici utilizzati in vari dei tuoi commenti, ti pregherei di non continuare un discorso iniziato in calce ad un post in un’altro post: chi dovesse leggere questo post sul latino e i relativi commenti non capirebbe più nulla…

  12. Non sono le macchine a vincere le gare ma i piloti. Ed i piloti vengono fuori anche dalla strada. Ora, il punto è che i genitori devono capire se c’è la potenzialità del pilota di formula uno offrendo degli stimoli…Altrimenti, può assoldare il più bravo allentare del mondo, ma non servirà.
    Certo che il costo ha un senso. Vorrei che mia figlia, qualora ci volessimo imbarcare in un’impresa economica di questo tipo, ne fosse consapevolmente complice condividendo l’obiettivo.
    Per adesso, ripeto, mi accontento di aver scelto una scuola che le offre un buon metodo di studio. Magari sono un po’ fissati con la disciplina, ma certamente la abituano all’impegno e allo studio. Questa è la base e mi accontento, consapevole che devo impegnarmi per potenziare l’inglese, visto che da questo punto di vista il programma è molto scarso (anche se introducono francese e cinese dalla terza elementare).

  13. Lavinia, ti assicuro, per quanto riguarda la lingua è fattibile.
    Io ho preso la palla al balzo con le materie più congeniali, ad esempio scienze, e con del materiale preso quà e là ci rivediamo tutte le cose che fa alla scuola italiana, ma in inglese, in parallelo. Funziona, anche se non è lo stesso che studiare in una scuola internazionale. L’ho esteso, a spot, anche ad altro, geografia, storia, ecc.
    Se non hai tempo per cercare veri e propri libri, puoi cercare in rete, per esempio, Bones and muscles primary school, e qualcosa trovi.
    Ama

  14. Gentile dott. Castello, la sua ultima frase mi pare in perfetto accordo con quanto io sostengo, nel momento in cui critico non le persone, ma il sistema in cui sono inserite. Pensi solo che il MIUR è, per numero di dipendenti, il secondo datore di lavoro al mondo dopo il Pentagono: è statisticamente impossibile che tutti costoro siano nullafacenti o impreparati. Il problema è invece continuare a mantenere un certo tipo di scuola come istituzione.
    Detto questo, mi permetta di farle i complimenti: con il suo tipo di capacità, potrebbe anche fare l’autodidatta, ovvero lo home schooling, e non ci sarebbero problemi. Viceversa, i suoi colleghi studenti temo qualche problema ce lo abbiano. L’allievo dell’Istituto IB probabilmente ha studiato per il voto, e dimenticato subito dopo: mi creda, succede anche all’IB, e credo anche a Oxbridge. Negli altri due casi, potrebbero essere carenze del programma, e quindi ancora istituzionali. Sarei più propenso a crederlo nel caso dell’allieva del linguistico: i guasti del nostro non-sistema di insegnamento delle lingue sono fin troppo noti, senza che io li debba ricordare.
    Detto questo, lei traduce in atto il proverbio cinese: “Il maestro apre la porta, sta a te entrare”. Ancora complimenti.

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