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Italia: andarsene o restare? Un libro per riflettere

educazioneglobale spring 4E’ da tempo che, nel mio piccolo, mi interrogo sui mali dell’Italia e continuo a pensare – magari erroneamente – che al paese farebbe bene un po’ di sana etica protestante. Quell’etica protestante che in altri paesi nutre il senso del dovere, sostiene le virtù civiche e per via della quale ognuno è portato a dare il proprio meglio, a fini individuali e collettivi.

Riflettendo su queste cose, ho acquistato un libro, scritto da una giornalista. Libro smilzo; ideale – pensavo – per una vacanza a Parigi con tre figli (l’ultimo poco più che duenne) in cui non puoi fare letture ponderose. Mi era stato menzionato da un’amica e mi incuriosiva il sottotitolo: “che cosa capisci del nostro paese quando vai a vivere Londra”, se non altro perchè prometteva lo svolgersi di un tema – l’inglesitudine, comparata all’italianità – che ben conosco.

Ora che l’ho letto, non so dire se il libro di Caterina Soffici sia  molto di più dell’instant book di una giornalista. Il libro è leggero e i capitoli che lo compongono non hanno tutti la stessa pregnanza, ma io sono di parte: mi è piaciuto, forse anche perché in me ha toccato una corda emotiva già molto tesa.

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“Italia yes Italia no” (questo è il titolo) è un resoconto di vita vissuta e anche un’analisi di ciò che non funziona in Italia (e di qualcosa che, magari, non funziona in Inghilterra…ma molto meno).

E’ anche un esame di coscienza per tutti gli italiani ed è una descrizione, a tratti divertente, a tratti accorata, di quell’etica collettiva che rende la società inglese comunque più civile della nostra.

La premessa del libro è nostalgica. Da Londra appaiono lontani i colori, i sapori e gli odori d’Italia: il mare e l’arte ma, anche, il cappuccino, il prosciutto con i fichi e i pomodori (tanto diversi da quelli inglesi, così tristi e insapori). Ma la nostalgia dell’Italia, per l’autrice, finisce qui, tra odori e sapori. Finisce qui perché a Londra “si vive peggio ma si sta meglio”.

Perché in tanti se ne vanno dall’Italia proprio ora? Non è colpa della crisi ma della devastazione civile e culturale” dice  Soffici. “chi lascia l’Italia lo fa perché non ne può più, perché c’è un momento in cui il piatto della bilancia comincia a pendere troppo da una parte e la ‘dolce vita’ non basta a riportarlo in equilibrio”.

Ma che cosa ha trovato Caterina Soffici a Londra (pomodori tristi a parte)?

Soffici – che un pò facilmente forse accomuna Londra all’Inghilterra intera – descrive la democrazia diretta attraverso la junk mail, la “posta-spazzatura”. Perchè a Londra la junk mail non è (solo) pubblicità di privati – negozi ed agenzie che forniscono servizi – ma anche  delleassociazioni e delle istituzioni locali.  L’associazione dei residenti, il sindaco, la polizia, la biblioteca di quartiere, non solo informano i cittadini sul loro operato, ma chiedono il loro parere  su tutto, dalla cura dei parchi pubblici alla sicurezza (e, se la vita londinese vi interessa, se ne è scritto su questo blog qui e, per chi ha figli, anche qui).

Caterina Soffici descrive poi il sistema educativo inglese, espressione di una società meritocratica ma classista: dalle scuole pubbliche sfasciate, all’istruzione d’eccellenza, sino ad Oxbridge (Oxford & Cambridge, per intenderci) e alle public schools (che pubbliche non sono): St Paul’s, Eton ed Harrow. Perchè le scuole inglesi che non funzionano sono assai peggio delle nostre, ma quelle che funzionano (per inciso: non solo private e non solo Eton) fanno incredibilmente meglio. Soprattutto, la qualità di ogni scuola è misurabile.

Il libro descrive il mondo anglosassone politically correct, dove se offendi qualcuno perché’ appartiene ad una razza o ha orientamenti sessuali diversi dai tuoi, paghi (e quanto ne avremmo bisogno in Italia!).

Attraverso due diverse figure di alter ego, l’inglese James e l’italiano Gino, confronta impietosamente il sistema politico inglese con quello italiano e l’osservanza delle regole di stampo britannico con la tipica furberia italica.  Sotto il primo profilo, nota l’autrice, non è che gli inglesi abbiano tutti politici integerrimi, ma in Inghilterra le persone travolte da uno scandalo si dimettono e, cosa più importante, le istituzioni si salvano. Da noi è l’inverso: indagati e condannati girano liberi e le istituzioni sono infangate per sempre. Sotto il secondo profilo, il libro si sofferma sull’amore degli inglesi per le file e, insomma, ecco perchè si lascia l’Italia: per vivere in paesi in cui nessuno ti passa avanti se sei in fila. In paesi “dove il bene comune è superiore all’egoismo del singolo”, dove si rispettano le regole, dove chi sbaglia paga, dove “non si invidiano i furbi” (ad esempio gli evasori fiscali) e “non si deridono gli ingenui”. Si lascia l’Italia del “machiavellismo  mediterraneo e cattolico” per “l’etica nordica della società protestante”.

Per quei lettori di Educazioneglobale che sono interessati alle scuole, i capitoli più importanti restano quelli sul sistema educativo inglese e l’ultimo. Si, perchè l’ultimo capitolo contiene la descrizione più convincente che abbia sinora letto sul sistema dell’International Baccalaureate-IB, il percorso di scuola superiore internazionale che l’autrice finisce per scegliere per i figli (se ne è parlato in questo blog). Ma non voglio rovinarne la lettura: chi fosse interessato al sistema educativo inglese (GCSE ed A – levels) ed internazionale (IB) troverà pane per i suoi denti.

 

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Comments

  1. Carissima, il libro non l’ho letto ma sono anch’io nostalgica di Londra (dove ho lavorato nella City) e del sistema educativo inglese essendomi guadagnata un master a Oxbridge grazie a una fortuita borsa di studio ITALIANISSIMA.
    Anch’io nel lontano 1994 ho pensato seriamente a trasferirmi li’ per sempre (avevo anche un fidanzato indigeno), li’ mi apprezzavano anche se ero giovane e donna, avevo trovato lavoro immediatamente, lavoro che non consisteva nel prendere appunti e portare caffe’. Affittare casa e fare la travel card di londra, aprire un conto in banca per il primo stipendio, continuare a studiare all’università per lavoratori serale era piu’ facile che bere un bicchier d’acqua ma….ma…
    … 2 cose mi hanno fermato e vorrei condividerle per offrire “food for thought”:
    1) una volta a Oxridge piu’ e piu’ persone inglesi mi hanno fatto la stessa serie di domande, incomprensibile e, alla lunga, irritante: “what does you father do? what does your mother do? Are you working class?”… senno’ che mi fai .. mi veniva da dire…. ho frequentato anche la Bocconi e vi posso assicurare che tra i tizi con cognomi nobiliari o pseudo “alto-borghesi” che ti chiedevano di copiare gli appunti nessuno mi ha mai chiesto una roba del genere: doppia faccia italiana o equita’ percepita? … come stranieri questa cosa te la chiedono un po’ meno ma volete davvero che i vostri figli rispondano continuamente a questa domanda? e soprattutto volete che imparino a farla?!?!?!?
    2) arrivata a Oxbridge nessuno mi chiedeva di andare la sera al pub o alla Junior Common Room (JCR per chi è Oxbridge) con loro … ho chiesto alla mia migliore amica (che proprio grazie a questo si è rivelata tale) perche’. La risposta e’ stata “siccome non bevi, se vieni con noi ti ricordi quello che facciamo”…. ma davvero volete far crescere i vostri figli (e le VOSTRE FIGLIE) in un paese che si vanta di dover necessitare di un certo (e sempre piu’ elevato mi dicono) livello alcoolico per allacciare relazioni sociali?!?!?!?… dove un abbraccio in men che non si dica puo’ diventare violenza perche’ tanto il “non mi ricordo” giustifica tutto?!?!?!? dove assolutamente si prende il taxi a tornare a casa per non creare incidenti con il “drunk driving” ma poi si va al mattino a prendere la RU486 in ambulatorio neanche fosse un’aspirina, perche’ chissa’-mai-cos’e’-successo-che-non-mi-ricordo?
    meditate gente meditate…. e abbracciate Londra per me…

    1. Cara MammaAle, mi pare di capire che i due difetti che sottolinei sono 1. il fatto che quella inglese è una società meritocratica ma anche classista e 2. il fatto che la socializzazione, come accade in varia misura anche in altri paesi dell’Europa del nord e negli Stati Uniti, ruoti intorno al bere (anzichè, come da noi, intorno al – ben più sano – mangiare).
      Entrambe le questioni sono dati di fatto, mi pare. Tuttavia è un pò unfair rifarsi solo ad esperienze fatte a vent’anni per descrivere l’entità di questi due fenomeni nell’arco di una vita.
      Sono stata ad Oxford a fine anni’80, poi di nuovo nel 1993-1994, ed ho vissuto a Londra nel 1996-1997 (ci saremo anche incontrate, chissà…) ed il mio nullo interesse per la birra mi ha messo spesso nella stessa posizione di osservatore lucido, quale quella che tu descrivi per cui capisco molto bene di cosa parli.
      Posto che nessuna società è perfetta, vorrei fare solo questo esempio. Alcuni anni fa (forse quasi una decina..) avevo un quesito sul sistema di istruzione inglese, non ricordo proprio quale. Ho scritto una mail all’equivalente inglese del MIUR. Una sorta di riposta automatica mi ha confermato subito che il mio messaggio era arrivato e che – entro 48 ore – avrei avuto una risposta.
      La risposta è puntualmente arrivata, con un anticipo di 24 ore.
      Forse oggi l’URP del MIUR è altrettanto efficiente, non so dire.
      Questa civiltà, civiltà del rispetto delle regole, della cura della cosa pubblica, della responsabilità, mi fa mandar giù il resto dell’inglesitudine (chiamiamola così), ossia che una cultura protestante e calvinista ha il suo rovescio della medaglia (penso sia infatti questo che porta tante persone a bere fino allo stordimento…per consentirsi di violare le regole!).
      Capisco, però, che sono di parte. E ancora più di parte sarei se si parlasse degli Stati Uniti, ma qui entriamo nella sfera affettiva dei ricordi d’infanzia, o quasi.

      1. Carissima Elisabetta! Dalla tua risposta e da quella di Francesco deduco che devo aver esagerato. Non ho sottolineato abbastanza che da giovane single mi sarei trasferita a Londra IMMEDIATAMENTE! Ingoiare il “rovescio della medaglia” a fronte delle opportunita’, della trasparenza, della “facilita'” di vivere in un paese con meno (pare) regole ma certe e seguite da tutti era semplicemente inebriante, come una lunga luna di miele…
        Ma da mamma no… Per me il “rovescio” della medaglia e’ troppo pesante. In Italia la situazione e’ tutt’altro che rosea, ma mi illudo almeno di avere un po’ piu’ di controllo su processi di socializzazione stranoti e strasperimentati. Detto cio’ sto cercando di crescere mia figlia bilingue e multiculturale e se riesco anche a “vaccinarla” contro birra e superalcoloici, la strada e’ tracciata…

        1. Cara MammaAle, no, non penso che tu abbia esagerato, hai solo evidenziato alcuni difetti di quella cultura sulla base della tua esperienza, del resto non troppo diversa dalla mia. Poi è solo questione di vedere il bicchiere mezzo pieno…o mezzo vuoto. Detto ciò sono contenta di sapere che c’è chi è tutto sommato ottimista circa il crescere i propri figli in Italia, perchè molti non lo sono più. Insomma, sei controcorrente!

  2. Gentile Ms. Mamma Ale, le premetto che la mia è l’opinione di un disincantato (chi mi vuol male dice: di un cinico).
    Non so in che zona di Italia lei viva: io sto nell’ operoso Nordest e le posso assicurare che già dal 1994 dalle mie parti la domanda “are you working class?” si traduce “tu che macchina hai? ” ed è la seconda o terza che si fa ad una nuova conoscenza.
    Quanto agli eccessi alcolici… le assicuro che, per lo meno attualmente, i giovani ( e meno giovani) impegnati nello spritz serale danno dei punti al 90% degli anglosassoni…
    Ho apprezzato il libro qui recensito, che avevo letto anche io, proprio perché non mitizza: le storture ci sono ovunque, ma in alcuni Paesi, e il nostro sta diventando uno di essi, sono la regola, non l’eccezione a un sistema che nel complesso funziona.
    Io per illustrare il concetto racconto sempre la barzelletta: “Ehi, lei! Non si fa pipì in piscina!”
    “Ma la fanno tutti!”
    “Sì, ma non dal trampolino!”

      1. Gentile Ms Mamma Ale, a Dio piacendo, qui faccio il lavoro per cui ho studiato e che mi permette di mantenere decorosamente i miei figlioli; per loro, come potrebbe aver intuito leggendo altri miei interventi nel sito, la mobilità in Europa è la prospettiva per cui stiamo lavorando. Non parlerei di emigrazione: il mio Paese è l’ Europa, la mia capitale è Bruxelles.
        A rileggerla presto.

  3. E’ normale (e anche giusto) che nessun paese abbia solo aspetti positivi o solo aspetti negativi. Certo e’ che, ovviamente solo a mio parere, i negativi in Italia al momento sono decisamente troppi!! Sono d’accordo con Francesco quando dice che la domanda “are you working class?” venga fatta ovunque ma in forma diversa. Puo’ tradursi “in che macchina hai?” o “nei vestiti firmati dei teenagers” o ” hai ultimo iphone??” etc… Sono io come genitore che spero di dare ai figli dei valori. Anche io non bevo birra e anzi…sono astemmia. Anche io sono stata inizialmente lasciata a casa perche’ non bevevo birra nei miei 5 anni a Londra….ma poi li ho convinti che uno chaffeur poteva servirgli per riportarli a casa dal pub….sebbene detto tra noi era piu’ pericolosa la mia guida a sinistra che la loro da ubriachi….ma questa e’ un’altra storia! Temo comunque che i problemi del socializzazione nel “bere” sia arrivata anche in Italia…pensiamo alle stragi del sabato sera. Io sono italo-americana e sto cercando (ma con pochi risultati)a far crescere mia figlia bilingue (e su questo discorso Elisabetta ti chiedero’ un po’ di suggerimentie) per darle un qualcosa in piu’ che le permetta di riuscire a fare in futuro quello che piu’ le piacera’ e, perche’ no, all’estero dato che in questo momento non vedo un futuro roeseo in Italia e questo mi spiace.

  4. Negli interventi sin qui fatti, leggo la preoccupazione per il futuro delle proprie figlie femmine: in quanto padre di una bimba, mi permetto di aggiungere un intervento politicamente molto scorretto. Capisco che ci si preoccupi per la socializzazione intesa in in certo modo (il riferimento alla Ru 486 fa capire per cosa stia l’eufemismo), ma riflettete su questo. I rischi da socializzazione impropria con un poco di buon senso si evitano. I rischi di restare disoccupata o sottoccupata dopo il primo figlio, e di dover comunque fare il callo a battute (spesso non solo verbali ma, come dire? localizzate su parti basse) sessiste e razziste si combatte solo a livello di sistema Paese. Qui abbiamo ottimi esempi dall’alto : vedansi certi discorsi sulle “belle segretarie” e sulla licenza in deroga al traghetto di “belle ragazze” che qualcuno ha proposto per gli scafisti mercanti di carne umana… Come direbbero gli yanks, “s…t has hit the fan”.

    1. grazie Francesco riflettero’ e cerchero’ di lavorare per alzare il mio buon senso, ma levami una curiosità… nel civilissimo Regno Unito (che per servizi sociali non è certo la Scandinavia o il Belgio) come fanno le mamme di bimbi piccoli? lavorano da casa? si licenziano e ricominciano a lavorare quando il pargolo inizia la scuola (4 anni se non sbaglio)? E poi che tipo di lavoro trovano? Io conosco delle marketing manager diventate centraliniste per poter avere orari che collimano con quelli della scuola… in questo caso si ritengono sottoccupate anche loro o la considerano “una scelta”?.. e cosa fanno nelle 8 settimane di chiusura della scuola? grazie
      ale

      1. Buon giorno, rispondo per quel poco che posso.
        Per la situazione lavorativa post maternità nel Regno Unito, bisognerebbe chiedere a chi vive quella realtà. Io conosco quella italiana, di prima mano quanto al Nordest e alla Lombardia: mi par difficile far peggio, almeno restando in quella che convenzionalmente definiamo “civiltà occidentale”. È fin troppo noto che le statistiche internazionali -se si deve dar credito ad esse (il che non è scontato)- sono nel senso da me sostenuto: per partecipazione delle donne al mercato del lavoro siamo a fondo classifica, e certo facciamo assai peggio del Regno Unito.
        Per quanto possa parer strano, in tema di childcare posso invece dare qualche dato di esperienza. Sono nella mailing list di alcune organizzazioni inglesi del settore ( lì è una vera industria) e ad ogni school break ricevo la mia brava offerta di camps ricreativi di ogni tipo. Per il summer break, che è di sei settimane, si spendono, per una settimana per due pupi in una struttura in centro a Londra, dalle 8.30 alle 18 lun ven, 420 Gbp fuori tutto.
        Sono prezzi grosso modo in linea con quelli della mia città, ma non so se per una famiglia inglese siano elevati; certo è però che lo stipendio medio è più alto del nostro e che personalmente nella struttura non ho visto figli di milionari.
        La differenza è una: in Uk, caro o no che sia il servizio di childcare esiste; nella mia città, che non è delle peggiori, anche se ultimamente c’è un’ offerta un poco più ampia, a Natale e Pasqua ti arrangi – e passi- e da metà luglio a settembre per chi non ha nonni a disposizioni c’è il vuoto. Questo grossomodo fino a Roma: mi dicono miei conoscenti che nel meridione è peggio, nel senso che il servizio manca proprio per tutte le vacanze.
        Io scherzando uso questa immagine: è come voler comperare la Gioconda, posso avere tutto il danaro del mondo, ma la Gioconda non è in vendita.
        (Su prezzi e tipologie, potrei naturalmente essere più preciso, ma non voglio fare pubblicità a nessuno.)

          1. tutto vero! ma il fatto che si trasferiscano i giovani non dovrebbe fare notizia visto che, come direbbe qualcuno, hanno un “prezzo di riserva” piu’ basso (cioè non hanno niente da perdere e tutto da guadagnare). Sarebbe interessante capire se i trasferiti sono single o per lo meno senza figli o si portano dietro tutto il clan famigliare…

  5. ciao,
    ho letto il libro di Caterina Soffici. L’ho trovato tutto interessante e meritevole di lettura, in particolare la parte dedicata al sistema scolastico inglese argomento a cui mi sto appassionando.
    in merito volevo chidere se sapessi indicarmi qualche altro testo o fonte di varia natura che mi consentisse di approfondire la tipologia di scuole, i piani di studio e l’offerta formativa (meglio se in ottica di straniero che vuole trasferirsi) presenti in UK.
    grazie

    1. Ciao! come opere generali per capire il sistema, ti consiglierei “Parent power – the complete guide to getting the best education for your children” di Francis Gilberti e “Oxbridge entrance, the real rules” di Elfi Pallis, quest’ultimo valido, malgrado il titolo, per tutto il sistema universitario. Entrambi su amazon.uk.
      Specificamente sui contenuti, trovi invece, in tutte le librerie Waterstones, i testi di ripasso A level, che li presentano materia per materia.
      Vedrai che il confronto con la scuola di Mamma Gelmini e’ impietoso: al programma di matematica A level da noi non ci arrivi neanche al primo anno di ingegneria.
      Cmq, se vai in Uk, curiosa nella sezione dedicata alla education di una libreria medio grande, trovi parecchio (il libro della Pallis lo scopersi cosi’).
      Se ti serve altro, chiedi pure, io sono qui.

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