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L’anno (di scuola) che è passato

educazioneglobale l'anno di scuolaE così un altro anno di scuola è passato. La primogenita ha finito le medie e uscirà definitivamente dalla campana di vetro della scuola bilingue per andare al liceo. Ha terminato questo percorso tra l’esame di terza media, la cerimonia della graduation, con la consegna dei diplomi, i canti, i discorsi ufficiali in italiano e in inglese e il rinfresco nel giardino.

La secondogenita ha finito la scuola primaria e l’anno prossimo, alle medie (ossia alla “secondaria di primo grado”), si cimenterà anche con lo spagnolo e con il latino, leggerà Macbeth e Giulietta e Romeo in lingua originale. E’ già alta come la sorella e ogni tanto vien voglia di spedirla direttamente al liceo. Poi la ritrovi da sola in stanza, che monta un complicatissimo puzzle in 3D del Tower Bridge di Londra e ti rendi conto che è ancora bambina almeno a metà. E l’anno prossimo alla scuola bilingue farà la parte della sorella più grande: un momento di grande libertà perché, a dirla tutta, far la figlia mediana è dura.

E poi c’è il piccolo. “I want to go to Simona school next year!” mi dice in tono lamentoso.

E’ che gli ho spiegato che dall’anno prossimo si cambia scuola, si va alla scuola dell’infanzia.

E’ che Simona è la sua educatrice e “Simona school” è il meraviglioso nido pubblico dove è stato da quando aveva 7 mesi, sempre il primo ad entrare a scuola la mattina insieme al suo amico Paolo, un altro che, come dice mio figlio, “ha la mamma in inglese”. E’ all’asilo nido che lui ha conosciuto tutti i suoi amichetti: l’inseparabile Oliver, l’amica del parco Elisabetta, e poi ancora “Franchecco”, il bellissimo Mosè, Emilia dagli occhi sognanti, Niccolò con i riccioloni, il casinaro Vladi, gli amichetti un po’ più grandi che sono ora alla scuola dell’infanzia come Ale e Massimo e tutta un’altra serie di giovani persone di cui, ancora dopo tre anni, non ho imparato i nomi.

L’ultimo giorno, il piccolino mi ha consegnato trionfante il lavoro dell’anno: una piantina di basilico piantata da lui ed una serie di disegni, pitture e collage fatti con tutto l’immaginabile: pennarelli, matite, pastelli, colori a tempera, sassolini, tappi di bottiglie, bottoni pezzi di stoffa colorata e impronte di mani e di dita.

E poi mi è arrivato a casa un album bellissimo, pieno di foto e di citazioni di Maria Montessori.  In quest’album ci sono 3 anni di nido, dal primo giorno di inserimento, quando ancora stava appena seduto, ai primi passi. Dalle prime pappe imboccato a quando mangia in stoviglie di coccio e piatti di vetro, si serve dal piatto di portata e si versa l’acqua dalla brocca da solo. E poi lo vedi nelle foto che gioca, che chiacchiera con gli altri, che dipinge un foglio con la pittura verde ed ha la bocca piena di quella stessa pittura. Che si lava le mani, che legge un libro, che ascolta seduto con gli altri, sui cuscini, una canzone. Insomma, tutto lo scorrere delle giornate e l’alternarsi delle attività, seguendo sempre laddove si può il principio montessoriano dell’”aiutami a fare da solo”.

Quando richiudo l’album ho brividi. Il piccolo budda seduto e grassottello (primo anno di nido) si è fatto dapprima bambino con la faccia tonda e il caschetto biondo (secondo anno di nido) e poi (terzo anno di nido) è diventato più alto e più magro, ha i capelli a spazzola che stanno virando dal biondo al castano e una sottile peluria sulle gambe. A settembre avrà 3 anni e mezzo e sarà tempo della scuola dell’infanzia.

Come cresci in fretta, vorrei dirgli, “Can’t you wait a bit more? Can’t you be a little child for longer?”.

L’anno prossimo avrò una liceale, una ragazza delle medie e un bambino alla scuola dell’infanzia. Fatemi gli auguri…

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