Educazione Globale

Ascesa e declino della “scuola online” ai tempi del COVID-19

In principio fu un successo. Sebastian Thrun insegnava all’Università di Stanford (50.000 dollari l’anno e ci entri solo se sei davvero bravo!) quando decise di offrire gratuitamente il suo corso universitario in scienze informatiche a chiunque avesse voluto seguirlo…online.

Erano nati i corsi universitari online aperti a tutti, i famosi MOOC (Massive Open Online Courses; ne ho scritto nel 2014 in Stasera vuoi studiare a Stanford, Harvard o Yale? Accomodati, la lezione è online! )

Di lì a poco furono lanciate piattaforme di MOOC come Coursera, EdX e molte altre, mentre diventava famoso anche il bravissimo Salman Khan, il fondatore di Khan Academy, che aveva deciso di usare la rete per democratizzare l’istruzione e renderla globale, accessibile e gratuita per tutti gli studenti del mondo, qualunque fosse il loro livello economico (purché avessero una connessione in rete e qualche rudimentale conoscenza dell’inglese).

Con il tempo, qualcuno iniziò ad utilizzare queste piattaforme anche nel mondo della scuola. Negli Stati Uniti quella di usare anche la virtual high school è diventata una prassi diffusa, beninteso ad integrazione e non in sostituzione della scuola “vera”; in Italia era ancora un fenomeno di nicchia, a volte usato nelle cosiddette flipped classroom, le classi capovolte (ne ho scritto nel 2018 in Apprendimento attivo e classe capovolta).

Anche perché erano nati, nel frattempo, tantissimi siti web, erano migliorate le video lezioni, erano nati i podcast, tutti strumenti usati anche per aiutare bambini e ragazzi con la matematica e la geografia, con la storia  o con le lingue (l’inglese in particolare).

Quella dell’istruzione e della formazione online era – ed è ancora – un’idea bellissima, che si addice a chi è motivato ed ha un interesse “di nicchia”, uno di quegli interessi che, sino a ieri, era difficile coltivare se non con un libro, magari anche difficile da reperire, mentre oggi lo puoi coltivare anche seguendo un MOOC.

Era – ed è ancora – un’idea che ha i suoi limiti, perché applicarla alla scuola non funziona.

 

Ma la scuola è un’altra cosa…

 

L’avranno capito anche i sassi ormai, ma la scuola è un’altra cosa. La scuola è socialità e democrazia, la scuola è un’insegnante che ti sorride, una che ti aiuta (e un’altra che è una capra…succede anche questo). È quella che ti forma – e ne trai beneficio – ed è quell’altra che ti “sforma”, ma magari tu cresci bene malgrado tutto.

La scuola sono anche i compagni, gli amici e i nemici. Quelli generosi e quelli bulli, una palestra di vita e un contenitore di esperienze che difficilmente uno schermo potrà mai surrogare.

Se è fantastico poter comunicare a distanza, la virtualità è una condanna se quella distanza siamo stati costretti a crearla in modo artificioso.

La tecnologia è solo uno strumento, privo di valenze o connotati. Anche a scuola non è una questione di τέχνη, ossia di quale tecnica, se di carta e penna o di tablet e computer: quelli sono solo strumenti. A scuola puoi usarli tutti oppure non usarne nessuno. Non è quello il punto. Il punto è che se la tecnologia diventa pervasiva ci allontana dall’umanità e – purtroppo – discrimina i più deboli e i più poveri, perché quando sei in un ghetto o in un campo rom la “scuola online” semplicemente non esiste.

Non vorrei essere fraintesa: apprezzo tutti quegli insegnanti che si sono rimboccati le maniche e, per tentativi ed errori, sperimentando strumenti e piattaforme, hanno cercato di reinventarsi la scuola “in virtuale”.

L’epidemia di COVID-19  e la virtualizzazione dell’istruzione hanno dato luogo ad un grande esperimento sociale di introduzione della tecnologia nella scuola, fatta “dal basso” e in modo forse caotico. Del resto, senza supporto e senza una guida “di sistema”, ossia senza il supporto formativo, organizzativo ed economico del MIUR, molti docenti non potevano procedere che artigianalmente. Forse, a voler guardare il bicchiere mezzo pieno, da questo grande esperimento sociale si trarranno conseguenze utili in futuro.

Penso, tuttavia, che nessuno può negare il senso di alienzione e frustrazione vissuto da bambini e ragazzi, insegnanti e anche genitori, in particolare dalle molte mamme su cui si è riversato un carico di lavoro mostruoso.

La “scuola online” è un palliativo, un momento di traghettamento necessario, una fase da cui uscire appena si può tornare a guardarsi in faccia. Possibilmente a guardarsi in faccia senza una mascherina, ma anche guardarsi con bocca e naso coperti è pur sempre meglio che guardarsi su Zoom, su Skype, su Google Meets, su We School, su Face Time o su House Party.

Appena si può lasciamoci alle spalle la scuola online; in fondo noi umani stiamo meglio con altri umani. Allora, anche per la scuola, occorre tornare dalle persone in carne ed ossa, da quel misto di professionalità e artigianato, casualità e vocazione, che si chiama insegnante.

 

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