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Tecnologia e scuola: ma ci stiamo ponendo le domande giuste?

Da anni ormai si discute di tecnologia a scuola, talvolta associandola al mero utilizzo della lavagna interattiva multimediale (LIM) o all’utilizzo di tablet in luogo dei libri scolastici (scelta certamente più ecologica ma che pone altri problemi, dallo spreco di energia elettrica, ai danni possibili alla salute derivanti dai collegamenti internet in wi-fi, alla rapida obsolescenza della tecnologia).

A seconda dei casi, delle risorse delle singole scuole e della buona volontà o dell’età dei singoli docenti, in alcuni casi di queste cose ci si limita a discutere (come si sa, spesso alle scuole mancano i fondi); in altri casi l’uso della tecnologia è già una realtà diffusa.

L’uso di strumenti tecnologici è, per tanti motivi, positivo.

In primo luogo a volte consente di risolvere problemi di difficile soluzione: in passato un bambino con disgrafia, rimaneva indietro nella scrittura rispetto ai suoi compagni di classe. Oggi un tablet o la tastiera di un computer può aiutarlo a non fare del suo problema un ostacolo all’apprendimento e alla produzione scritta.

In secondo luogo la tecnologia avvicina la scuola allo studente. La tecnologia non è più solo una materia, ma è alla base di tutto; il computer, lo smartphone e il tablet sono la nuova penna. Un tempo non si poteva pensare di scrivere senza penna, oggi non si può pensare di lavorare nel mondo moderno senza la tecnologia. Tutti gli allievi e gli studenti attualmente nelle scuole sono nativi digitali, diversi rispetto alle generazioni di “immigrati digitali”, ossia di coloro che (come la sottoscritta) ricordano la vita senza il web. I nativi digitali sono poi ancora più drasticamente diversi rispetto alle tante persone che il web non lo usano proprio e che si avviano ad essere handicappati sociali.

Le nostre scuole possono anche continuare ad educare gli studenti per un mondo in cui non vivono, ma farebbero meglio se riprogettassero la didattica anche tenendo conto di tutto questo.  In altre parole, si argomenta che, se gli studenti sono nativi digitali, la tecnologia va usata anche a scuola perché “parla” la loro lingua. Si perchè gli studenti di oggi non sono più il target per il quale il nostro sistema educativo era stato progettato.

Il loro modo di apprendere è diverso, in meglio e in peggio. Da un lato, infatti, i nativi digitali sono orientati al multitasking (fanno sempre almeno due cose contemporaneamente), imparano utilizzando una pluralità di risorse (come podcast, blog, social network, videogiochi, mondi virtuali, Skype, telefoni cellulari) le quali risorse non sono più fatte solo di testo (come il libro) ma anche di audio e video.  D’altro canto, però, la loro capacità di attenzione e concentrazione sembra molto limitata.

Tuttavia, mi pare che il modo in cui viene affrontato il legame tra scuola e tecnologia sia spesso fuorviante, per vari motivi.

Il primo motivo è pratico: ci preoccupiamo di riempirele scuole di computer ma, almeno gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado (ma spesso già quelli delle secondarie di primo grado), hanno in tasca uno smartphone, dunque un telefono che si connette al web. Il telefonino ormai serve sempre meno a telefonare, serve soprattutto a scambiarsi dati, informazioni, servizi (e, per i ragazzi, a chattare). Il telefono cellulare è una delle tecnologie che ha ottenuto il successo più rapido della storia. Non dovremmo forse sviluppare delle APP per utilizzare per l’apprendimento lo strumento più diffuso che c’è?

Il secondo motivo riguarda la durata di una tecnologia. Io sono fortunata: alle mie figlie dai nove anni circa hanno insegnato a scuola a usare word e power point e a fare una ricerca sul web, tutte cose che, d’altronde, facevano anche a casa. Stupendo. Molto utile, oggi, aggiungo. Ma domani?

La scuola dovrebbe forse far comprendere come ogni tecnologia, dalla posta elettronica al touch screen, è solo una tecnica (dal greco τέχνη).

Anche la buona, vecchia scrittura a mano, anzi, “a penna” è una tecnica e la scuola moderna, dal 1800 ai giorni nostri, è stata concepita su questa tecnica che si traduce in libri, in lettura e in scrittura.

Infatti, non dimentichiamo che nell’antichità gran parte dell’insegnamento e dell’apprendimento erano basati su una cosa diversa: sull’oralità.

Quando dominava l’oralità, le persone colte dovevano aver memorie che oggi giudicheremmo prodigiose, noi che non sappiamo più a memoria nulla, neanche i numeri di telefono dei nostri più cari amici, anche perché ognuno di essi ha almeno tre o quattro numeri (ah, questo mi ricorda che devo imparare a memoria il numero di mia figlia…).

Occorre abituare bambini e ragazzi a pensare che il web è importante ma che ciò che si sa è solo ciò che si ricorda senza nessun ausilio di macchine varie (e – aggiungo – ciò che si sa spiegare agli altri).

Allora, se la tecnologia, come la scrittura a mano,  alla fine, è solo una tecnica, dobbiamo pensare che forse in futuro esse potrebbero entrambe essere superate. Ad esempio, la scrittura rischierà la ridondanza se i sistemi di riconoscimento vocale si specializzassero e diventassero pervasivi.

Forse, in un futuro non tanto lontano, si tornerà all’oralità con i sistemi di riconoscimento vocale tipo il programma “Dragon dictation” (presente su molti smartphone).

Nel film di fantascienza Minority Report, Tom Cruise “sfogliava” immagini da un video con le mani. All’epoca non sembrava una cosa impossibile da fare, ma certo nessuno immaginava fino a che punto, pochi anni dopo, ognuno di noi avrebbe avuto in mano uno strumento con il touch screen.

Ripensandoci non viene forse naturale chiedere se i nostri figli scriveranno con la penna, con i tasti, con la mano, con la voce (tutte cose che si possono fare già oggi) o con il pensiero?

In definitiva, ogni tecnica è utile, ma non migliore di un’altra: l’apprendimento orale e la scrittura, il computer e il tablet, la LIM o lo smartphone: tutto, se utilizzato con intelligenza, può essere utilizzato per apprendere.

Va bene anche il web, senza demonizzare la rete ma anche senza renderla la soluzione a tutti i problemi. Una volta che si conosce un argomento (ma lo si deve prima aver studiato), professori e allievi possono navigare in rete per cercare e confrontare, con spirito critico, le varie fonti che descrivono uno stesso fatto storico o fenomeno scientifico; in questo senso ha importanza crescente l’educazione allo scetticismo.

Tuttavia, come è ormai chiaro, ogni strumento, ogni tecnica può divenire obsoleta, essere inutile o addirittura controproducente. Ogni tecnica può favorire la conoscenza o far solo perdere tempo.

Anche qui, cruciale è il ruolo dell’insegnante. L’insegnante di talento, anche se non è un nativo digitale ma solo un “immigrato digitale” (come me, classe 1969) sfrutterà la tecnologia come una risorsa in più, né migliore né peggiore delle altre.

 

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