Educazione Globale

Bilinguismo e genitori “non native speaker”: e se parlassi inglese al mio bambino?

E’ vero che è necessario essere madrelingua per insegnare una lingua ai propri bambini? E si può crescere un figlio bilingue usando una seconda lingua? La domanda prima o poi sorge a tutti i genitori bilingui, trilingui o poliglotti.

Sul tema, poche settimane fa mi ha scritto Marianna. Anche se le ho già risposto tra i commenti, ho deciso di pubblicare la nostra conversazione virtuale, perché possa essere utile ad altri nella medesima condizione.

Il quesito di Marianna

Scrive Marianna: “Vorrei chiederti alcuni consigli. Dibatto con me stessa (e un po’ con chi mi sta intorno) da prima di rimanere incinta sulla questione “insegnamento” della lingua inglese a mio figlio che ha ora 5 mesi… per me l’inglese è una seconda lingua (nonostante io sia 100% italiana) e me la sento molto naturale, per cui parlare esclusivamente in inglese con lui tecnicamente non sarebbe un problema. I miei dubbi riguardano un po’ la sfera emotiva per cui mi dispiacerebbe abbandonare del tutto la mia lingua madre – che adoro – e lasciare il difficile compito di riferimento linguistico a mio marito. In più non vorrei fare una fatica inutile visto che non ho la possibilità economica di fargli frequentare più avanti scuole bilingui per cui magari i primi anni può funzionare per poi cadere nel dimenticatoio. A me piace molto leggere e leggo per il 90% libri in inglese.. al momento a lui sto leggendo libri in entrambe le lingue ma non vorrei creare confusione, vorrei approcciarmi nella miglior maniera possibile a questa cosa. Mia suocera mi mette ansia, visto che è maestra d’asilo, convinta che avrà ritardi nell’apprendimento e nella produzione del linguaggio. Se parlo in inglese solo quando siamo soli significa che se c’è qualcuno con noi devo rivolgermi a lui in italiano? Ho molta confusione in testa e vorrei capire come partire e come giustificarglielo senza essere “finta” cioè io gli parlo in inglese perché? In più fino adesso gli ho sempre parlato italiano, non lo “tradirei” se iniziassi a parlargli in inglese dall’oggi al domani? Spero di essere stata chiara, e ti ringrazio!”.

E’ sempre difficile dare consigli in queste situazioni: la lingua ha anche a che vedere con la comunicazione madre-figlio e qui si entra in un campo molto delicato. Io, però, mi sono sentita di risponderle così.

Un tentativo di risposta

Ciao Marianna, sei stata chiarissima.

1. Innanzitutto non farti mettere ansia da tua suocera né da nessun altro, ma procurati un buon libro sul tema. Io consiglio “Raising a bilingual child” di Barbara Zurer Pearson. E’ stata la mia bibbia prima di iniziare, ed avevo chiosato varie pagine in caso avessi avuto problemi. Non ve ne sono stati, per fortuna, ma nel libro trovi anche la letteratura scientifica sui ritardi nel linguaggio. Su questo punto ti riassumo la questione in due righe: se un bambino ha ritardi nel linguaggio, ce li ha comunque, che parli una lingua o due! Il ritardo – quello grave – non dipende dal bilinguismo. Quello che può accadere crescendo un bimbo bilingue è che, quando saprà 200 parole può darsi che esse siano equamente ripartite tra due lingue, con la conseguenza che il suo vocabolario apparirà meno ricco di quello di un madrelingua.
Se invece il tuo bambino crescendo dovesse non produrre lallazione, non indicare le cose con il dito (è una fase che è un precursore del linguaggio), non essere comprensibile etc.. allora magari dopo i 2.5 anni sarà il caso di consultare una logopedista. L’ideale, in questi casi, è trovare un/una logopedista bilingue, che può giudicare meglio l’acquisizione in entrambe le lingue.

2. Passiamo alla questione del “come”. Tu puoi decidere se parlare sempre inglese a tuo figlio (e usare il metodo OPOL – one parent one language), oppure il Time & Place (in certi luoghi o contesti parli una lingua; in altri, un’altra). In nessun caso, se ti senti di essere naturale e di poter esprimere i tuoi sentimenti, farai danni. Per esperienza, però, ti dico che il Time and Place è molto più faticoso e dà meno garanzie di successo nell’impresa, perché finiresti inevitabilmente per usare l’italiano in tutte le situazioni difficili (davanti a tua suocera, davanti a terzi, davanti a futuri amichetti di tuo figlio che non parlano inglese, oppure quando lo dovrai sgridare, e così via).

Se sei convinta ed entusiasta dell’impresa, quindi, ti consiglio di parlare inglese a tuo figlio e di usare l’italiano solo per leggergli ad alta voce dei libri italiani. Più in là, quando comincerà a parlare e, magari a fare qualche errore di italiano tipico anche dei madrelingua (ad esempio la regolarizzazione di verbi irregolari) potrai usare l’italiano per correggerlo se non è presente il papà. Al contrario, se non sei convintissima dell’impresa, allora ti suggerirei di parlare italiano con tuo figlio ma, magari, di leggergli per i primi anni solo in inglese, portarlo all’estero, fargli vedere cartoni in inglese, tutti temi sui quali trovi moltissimi consigli su Educazione Globale.

In sostanza alternare le due lingue è la strada più faticosa. Io, come ho scritto, l’ho fatto per 4 mesi e, quando mio figlio aveva 4 mesi, ho fatto il switch al solo inglese. Se tuo figlio ha solo 5 mesi non penso che si sentirà “tradito”. In fondo l’inglese l’ha già sentito e, a quell’età, conta molto più la tua voce, il tuo volto e il tuo sorriso…non trovi?

3. Qualsiasi strada tu intraprenda andrà bene, se la percorrerai con naturalezza e sicurezza. Per questo, se sei un po’ cerebrale come me, aiuta avere testi di riferimento scritti da linguiste (oltre che mamme), come quello che ti ho consigliato. Ve ne sono altri, di pari livello. Io ne ho letti sei o sette e trovai quello della Zurer Pearson migliore di altri. Nel frattempo ci sarà nuova letteratura; conoscerla non è necessario, ma certamente aiuta a dirimere le controversie o a dipanare i dubbi.

Per quanto concerne la mia esperienza, posso affermare che mi aspettavo di ricevere molte più critiche, anche considerando che ho cresciuto praticamente in italiano altre due figlie (perché avevo cominciato con il Time & Place…ed è presto naufragato). Invece ne ho ricevute pochissime, molti mi hanno invece sostenuta, forse anche perché mio figlio si è rivelato un chiacchierone, in qualsiasi lingua parli e poi perché per me è diventata subito un’abitudine. Ai pochi che mi hanno chiesto “perché” mi ero figurata di dover dare risposte complesse, basate anche sulle mie letture, invece mi sono trovata a dire solo “perché mi piace!”.

Del resto, cara Marianna, ci sono genitori che insegnano ai figli di 18 o 20 mesi a dire “forza Juve!”. Per loro è importante; con i figli ognuno dà un po’ la sua misura: nel bene o nel male lascia loro quello che può. Sta a te decidere cosa e come.

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