Come scegliere lo sport più adatto a tuo figlio? La domanda può apparire oziosa: perché l’attività sportiva dei figli dovrebbe essere scelta dai genitori? In fondo un bambino potrebbe sceglierselo da solo, lo sport da praticare. Oppure scegliere di non farne nessuno, come ha chiesto una delle mie figlie quest’anno (ma, almeno il sabato, un po’ di nuoto le tocca).
In realtà ci sono vari buoni motivi per cui dovrebbe essere un genitore a scegliere, almeno finché i figli non compiono 10 – 12 anni. Intanto perché l’organizzazione degli accompagni e delle riprese sempre sui genitori ricade, così come vi ricadono i costi.
In secondo luogo, perché quando i bambini sono piccoli siamo noi genitori a dover scegliere, secondo un qualche criterio, la disciplina sportiva che fa per loro; allora, quale criterio utilizzare?
La prima questione da considerare è talmente ovvia che, forse, non servirebbe neanche menzionarla: bisogna tenere conto dei vincoli di budget (le attività sportive costano…) e delle risorse presenti nel territorio in cui si vive, in termini di impianti sportivi, palestre e parchi. Fatta questa debita premessa, è bene riconsiderare le tipologie di sport in generale, per individuare quali sono gli aspetti che tendono a sviluppare.
Secondo il grado di “socialità” che richiedono, si possono dividere gli sport tra individuali, di coppia o di squadra. Sono sport individuali, ad esempio, la ginnastica a corpo libero, la ginnastica artistica e ritmica, il nuoto, o l’atletica. E’ da considerare sport individuale anche la danza, che è anche una disciplina artistica. Sport di coppia sono, ad esempio, la scherma, il tennis e il tennis da tavolo (ping – pong), il judo, il karate, l’akido, il kung fu. Sono di squadra gli sport come il calcio, la pallavolo, la pallacanestro (basket), la pallanuoto, il rugby e il baseball.
In realtà anche gli sport individuali possono diventare di coppia o di gruppo, una volta raggiunto un certo livello. Ad esempio, nella danza classica serve molto esercizio prima di poter fare un “passo a due”. L’atletica si può giocare a squadre, le coreografie del nuoto sincronizzato solitamente implicano un gruppo e, anche nel nuoto o nella corsa, si possono organizzare staffette, ma resta il fatto che, nel praticare lo sport individuale, il primo rapporto è con se stessi e che non servono altri per esercitarsi. Invece, in un tipico sport di coppia, come la scherma, senza uno sfidante si fa poco, per non dire nel tennis.
Inoltre, è vero anche in contrario: alcuni sport di coppia richiedono anni di allenamenti da soli. Nel kung fu, ad esempio, la conoscenza delle varie “forme”, ossia della “coreografia” della lotta, precede il momento in cui quelle forme saranno applicate tra due sfidanti (nel mio primo – ed ultimo – anno di kung fu, che feci tanti anni fa, non ho mai sfidato nessuno…ma in compenso conoscevo complicate sequenze di difesa).
Gli sport individuali, compresi quelli artistici, tendono a rinforzare la capacità di concentrazione (si pensi alla ginnasta che deve provare un salto), il raccoglimento, la consapevolezza di sé, l’autodisciplina, la percezione del proprio corpo nello spazio. Gli sport di coppia e di squadra tendono a rinforzare la competitività, la socialità, il senso di appartenenza, la lealtà e il rispetto delle regole.
A seconda che un genitore ritenga le une o le altre caratteristiche più importanti, la scelta può andare a cadere su uno sport individuale o uno di coppia o di squadra.
Occorre poi tenere conto della personalità dei propri figli. In questo senso, quale criterio di scelta adottare? Mi pare che se ne possono individuare due, tra loro opposti: assecondare una disposizione del bambino o forzarla, per creare uno stimolo. Nel primo caso, si può, ad esempio, assecondare la natura temperamentale di una figlia timida facendole provare uno sport individuale. Il secondo criterio – opposto – è quello di tentare di forzare tale natura al fine di ampliare gli orizzonti del bambino, ad esempio utilizzando lo sport che implichi precisione per fare concentrare il bambino vivace.
Mi sono spesso chiesta cosa sia meglio; in principio sono corretti entrambi gli approcci, da un lato, infatti, nella vita si dovrebbe cercare ciò che piace e ci riesce bene (normalmente le due cose coincidono: ci riesce bene ciò che ci piace) e, dunque, assecondare la natura della bambina o del bambino.
D’altro canto, specie da piccoli, è bene essere esposti a più stimoli, in modo da avere la possibilità di provare e sbagliare, per poi, magari, prendere un’altra strada. Questa constatazione porta a proporre un ventaglio di attività, una alla volta, e poi, quando i bambini si saranno formati un gusto, lasciare che siano loro a scegliere.
Poiché si tratta di uno sport completo e a basso rischio di traumi, il nuoto è sempre il primo tra gli sport da consigliare. Saper nuotare è anche una questione di sicurezza, di vita o di morte, non solo al mare ma anche al lago o in piscina.
Quando iniziare? Un’attività sportiva impegnativa e strutturata e non ludica si può tranquillamente iniziare tra i 5 e i 7 anni. Prima di allora, tanto vale correre e giocare liberi in un parco o in spiaggia. Non è che lo sport iniziato da molto piccoli faccia male ma è, spesso, una perdita di tempo e di denaro per i genitori. Una delle figlie è stata messa sugli sci a 3 anni e se l’è cavata benissimo, ma è indubbio che un bambino comincia veramente ad essere capace di impegnarsi e di capire bene le regole di uno sport di squadra tra i sei e i sette anni.
Quanto sport fare? Due pomeriggi impegnati sono abbastanza per la maggior parte dei bambini, ma alcuni reggono bene anche di più. Il miglior modo per far provare più sport ad un bambino è quello di fargliene fare uno durante l’anno e, semmai, approcciarne un altro con un corso intensivo a giugno, quando la scuola finisce.
Durante l’adolescenza si dovrebbe avere già scelto una, massimo due, attività che piacciono. Chi è arrivato a svolgere un’attività sportiva a livello agonistico potrà portarla avanti. Mentre chi ha altre passioni ed altri impegni (perché, ad esempio, suona uno strumento musicale) dovrà necessariamente concentrarsi su un solo sport. Del resto, quando l’impegno nello studio aumenta, verso la fine della secondaria di primo grado e, soprattutto, nella secondaria di secondo grado bisognerebbe avere anche del tempo “vuoto” (ma veramente vuoto: non usato per chattare…) per leggere un libro oppure per stare con gli amici a chiacchierare. Oppure per girare in bicicletta…
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ah, questo è il mio tema preferito!
Aggiungerei che ogni bambino(a)/ragazzo(a) dovrebbe fare almeno 1 ora di attività fisica ad alta intensità e che le attività fisiche/sportive si dividono in quelle ad alta qualità da quelle di bassa qualità. Ad esempio, un dilemma sarebbe: meglio fare calcio fatto bene o nuoto fatto male?
All’inizio, cioè tra i 5 e 10 anni, secondo me, si dovrebbero fare più sport, a rotazione e in parallelo.
La rotazione non dovrebbe essere legata ai capricci del momento del bambino, ma pianificata al fine di scoprire le attitudini e i desideri. Il parallelismo dovrebbe riguardare sport tra loro diversi (sport tecnici, sport di squadra, sport aerobici e sport che richiedono abilità di base come ginnastica e nuoto). Ciò a prescindere dalle inclinazioni naturali e fisiche. Infatti, la pratica sportiva è una educazione a una vita adulta sana e responsabile, e non un terreno per scoprire e allevare un campione olimpico. I genitori, peraltro, sono pessimi talent scout, anche se vi sono casi di campioni venuti fuori grazie alla caparbia visione dei genitori. Tiger Woods è un esempio.
Inoltre, alcuni sport pare possano essere utilmente praticati per compensare alcune difficoltà di apprendimento del bambino. Ad esempio, un ragazzino con difficoltà può trovare gratificazione e fiducia in se stesso attraverso successi in sport che fanno leva su altre qualità. Molti scrittori dislessici si sono “salvati” grazie allo sport che gli ha permesso di sentirsi meno inadeguati e più sicuri.
Altri sport servono per compensare alcuni tratti deficitari del carattere, come ad esempio, danza e tennis per le difficoltà spaziali; corsa e nuoto per la concentrazione; judo per la timidezza; sport di combattimento per l’autocontrollo etc.