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E se il futuro degli esseri umani non fosse umano?

Il futuro dell’essere umano non è umano: è questa la tesi della più credibile “storia del futuro” scritta sinora.

Che cosa s’intende per “storia del futuro”? Si possono davvero avanzare ipotesi credibili?

In tanti campi le predizioni sbagliano, specialmente in quello geopolitico, ad esempio, ma talvolta anche in quello tecnologico. Eppure, l’esperimento di tracciare le linee portanti di un futuro possibile appare riuscito se ad esso si dedica una mente fuori dal comune, di cui ho già scritto su questo sito.

L’autore è il giovane e brillante studioso israeliano, Yuval Noah Harari che iniziò la sua carriera accademica di storico come esperto delle guerre medievali ma è diventato, strada facendo, il grande divulgatore della Big History, la nuova disciplina che fonde la storia con la biologia e che studia la nostra traiettoria umana a partire da quando gli umani erano ben lungi dall’esistere.

L’era dei post-umani

Il libro che contiene il nostro possibile futuro di esseri post-umani si chiama Homo Deus ed è, ad un tempo, bellissimo ed inquietante.

Il titolo – in latino – già ne compendia la tesi. Millenni di evoluzione umana hanno visto stravolgimenti politici, economici, religiosi e tecnologici ma una cosa è rimasta la stessa: l’essere umano; ora quello che il domani sembra offrirci è un essere umano aumentato, più simile ad un dio che ad un uomo.  Ciò che Homo Sapiens ha fatto alla natura (addomesticando, sfruttando, distruggendo o potenziando) potrebbe farlo, da oggi in poi, anche a se stesso. Per effetto delle nuove tecnologie, quali la robotica, l’intelligenza artificiale e l’ingegneria genetica, l’uomo del futuro potrebbe essere più Deus che Sapiens.

I primi segnali di una progressiva trasformazione in termini di rilevanza dell’essere umano già si percepiscono. Dove? Ovviamente nel mercato del lavoro. Si tratta di temi che ho già toccato in Riflessioni sul futuro dei nostri figli. Quale mondo del lavoro li attende?

Nella seconda metà del settecento, la spoletta volante e il filatoio meccanico misero fuori gioco chi tesseva con telai più rudimentali; nella seconda metà dell’ottocento, le automobili rimpiazzarono i cavalli (gli unici “lavoratori” della storia che non si crucciarono più di tanto della perdita del loro “posto di lavoro”!). In Homo Deus l’autore illustra come, in un domani che è già oggi, l’intelligenza artificiale è in grado di spiazzare non più solo una certa categoria di lavoratori, come i cassieri (perché esistono casse automatiche) o gli autisti (perché andiamo incontro alle driverless cars) ma potrebbe causare l’obsolescenza dell’essere umano nel suo complesso.

Il ragionamento di Harari non fa una piega. Gli esseri umani hanno fondamentalmente solo due tipi di abilità, quelle fisiche e quelle cognitive; se i computer ci surclassano in entrambi a cosa serviremo nel futuro? Una delle possibili applicazioni dell’intelligenza artificiale è il machine learning, ossia la capacità, da parte macchine (algoritmi, computer, robot…chiamateli come volete) di auto-istruirsi, processando quantità quasi infinite di dati ed informazioni. Esistono già intelligenze artificiali che vincono partite di scacchi o sono in grado di comporre una sinfonia. Quando le macchine sapranno imparare da sole e programmarsi a vicenda l’essere umano sarà veramente inutile.

Ciò non avverrà di colpo, ma per gradi. E se si arriverà rendere l’essere umano obsoleto sarà perché si avrà sempre più una fusione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale.

Sembra fantascienza? Sembra poco credibile? Un cavaliere medievale avrebbe giudicato incredibile tutto il nostro mondo e liquidato la telefonia mobile o il bypass cardiaco come invenzioni impossibili.

Ci sono tre modi principali per riprogettare i nostri corpi e le nostre menti, afferma Yuval Harari. Il primo è quello di prendere il nostro corpo organico e iniziare ad armeggiarci usando l’ingegneria genetica, accelerando la selezione naturale e in realtà sostituendolo con un design intelligente (con i pomodori già lo facciamo, dunque il passo è breve).

L’altro modo è iniziare a combinare ciò che è organico con parti inorganiche e creare cyborg. Ben presto saremmo in grado di uscire dal regno organico combinando parti organiche (ad esempio il cervello) con parti inorganiche, ma connesse al cervello (mani, occhi o orecchie; per inciso con la mano è stato già fatto ed è un successo tutto italiano).

Se puoi creare un arto bionico per chi non lo ha, vuol dire che presto potrai fare un upgrade a chi è sano. Certe branche della medicina, ci ricorda Harari, nascono per i malati e poi si usano per i sani. Così, ad esempio, la chirurgia estetica, sviluppatasi per curare chi era stato sfigurato nella prima guerra mondiale, è diventata un grande business.

Il terzo modo di riprogettare i nostri corpi e le nostre menti, più estremo, è quello di creare esseri completamente inorganici che non hanno nemmeno bisogno di un cervello organico, ma usano l’intelligenza artificiale.

 

Se la diseguaglianza diventa anche biologica

Longevità, cervello aumentato, arti bionici: questo sembra essere il futuro dell’essere umano diventato uomo-dio. In un mondo d’intelligenza artificiale e post-umana, che rilevanza avremo? Molto poco. Harari pensa che gli umani “non aumentati” potrebbero venire trattati come oggi trattiamo le galline…o poco più.

Sarà un mondo inumano ma, prima ancora, sarà un mondo di grande sperequazione. Perché non vi è dubbio che i primi ad aggiornarsi e trasformarsi in una nuova specie saranno le élite economiche.

Con rapidi miglioramenti in biotecnologia e bioingegneria, potremmo raggiungere un punto in cui, per la prima volta nella storia, diventa possibile tradurre la disuguaglianza economica in disuguaglianza biologica. Che cosa succederà alla società umana quando la biotecnologia ci permetterà di avere bambini perfetti, aprendo gap senza precedenti tra ricchi e poveri? (E’ anche la domanda di un bellissimo film di fantascienza realizzato anni fa, da rivedere assolutamente: Gattaca).

L’autore ricorda come, nel corso della storia, i ricchi e i potenti hanno sempre immaginato di essere superiori ai poveri ed inermi, ma gli strumenti che ne dimostravano la superiorità erano esterni. Un principe o un duca potevano non avere più talenti del contadino medio: dovevano la propria superiorità alla nascita in un contesto privilegiato. Tuttavia, entro il 2100, i ricchi potrebbero essere veramente più talentuosi, più creativi e più intelligenti degli abitanti delle baraccopoli. I nipoti dei magnati della Silicon Valley potrebbero diventare una casta biologica superiore.

Nel lungo periodo – almeno in teoria – l’autorità potrebbe spostarsi completamente dagli esseri umani agli algoritmi. Una volta che l’intelligenza artificiale è più intelligente persino dell’élite umana, tutta l’umanità potrebbe diventare ridondante.

 

Il data-ismo: una nuova religione

Seguendo la traiettoria già tracciata nel suo precedente libro (Sapiens) Harari fa anche una possibile previsione di come potrebbe emergere – e forse sta già emergendo nella Silicon Valley – una nuova filosofia o religione: il “dataismo”.

Nel mondo degli esseri umani aumentati o dei post – umani, i dati rivestono un’importanza cruciale. Già oggi – come ricorda Yuval Noah Harari nelle interviste – regaliamo i nostri averi più preziosi, i dati, a Google e a Facebook in cambio di qualche video divertente sui gatti! Ogni like che mettiamo è un bit prezioso sulle nostre inclinazioni (e si pensi al caso Facebook – Cambridge Analytica).

Tra un po’ l’algoritmo esterno ci conoscerà meglio di chiunque altro e farà meno errori di me. Una volta che Google, Facebook ed Amazon o i loro pronipoti si evolveranno da algoritmi ad oracoli onniscienti, potrebbero acquisire più poteri di istituzioni, governi e Stati.

Molti esempi delle tecnologie alla base di queste spaventose trasformazioni sono sotto gli occhi di tutti. Le società che erogano corsi universitari online (gratuiti o a pagamento), ossia i famosi MOOC, non solo mi insegnano la storia dell’arte o cosa accade al cervello umano quando si apprende una nuova lingua, ma raccolgono anche informazioni sui corsi che mi interessano, su quanto tempo impiego a risolvere i test, su quanto sono in grado di completare il corso al quale mi sono iscritta e dunque di tenere fede agli impegni. Oggi tutto questo può servire a migliorare l’offerta di corsi, ma domani?

Waze è un’applicazione di navigazione con GPS che non è solo una mappa ma è anche social, dal momento che, chi la usa, la aggiorna costantemente su ingorghi, incidenti stradali e auto della polizia. E’ utilissima. Tuttavia, a furia di automatizzare funzioni umane potremmo non essere più in grado di svolgerle. Ha ragione Harari: quando raggiungi un incrocio e il tuo istinto ti dice di girare a destra ma Waze ti ordina di girare a sinistra, prima o poi impari che è meglio ascoltare Waze piuttosto che il tuo cervello.

Nel 2008 Google ha lanciato Google Flu Trend, che tiene traccia delle epidemie di influenza monitorando le ricerche di Google. E se domani un algoritmo rimpiazzasse il medico?

Per un’assistenza sanitaria migliore daresti via i tuoi dati biometrici? Le persone lo faranno, specie coloro che non hanno grandi possibilità di scelta. Già lo facciamo tutti con le carte fedeltà dei negozi, cedendo dati anagrafici. Domani lo faremo con i dati sulla nostra salute. E chi ha un braccialetto intelligente (con contapassi, rilevazione del battito cardiaco ed altre funzioni) sta già cedendo parte dei suoi dati ad un sistema intelligente.

Già oggi chiediamo a Siri (l’assistente di Apple), ad Alexa (l’assistente di Amazon), a Google Now (l’assistente di Google) consigli ed indicazioni. E in arrivo c’è anche Cortana, l’assistente di Microsoft che sarà installato su Windows per gestire in modo interattivo i nostri file.

Oggi i nostri telefoni hanno un’obsolescenza programmata e, ad un certo punto, dobbiamo aggiornare il sistema operativo o cambiare telefono perché continuino a darci i servizi che vogliamo, ma possiamo silenziarli e spegnerli. Harari ci mette in guardia: è possibile che in futuro potremmo raggiungere un punto in cui sarà impossibile disconnettersi da questa rete onnisciente, anche solo per un momento. Esattamente lo scenario del romanzo “Il Cerchio” di Dave Eggers, in cui l’autore immaginava una società retta da un social network in cui tutti debbono per forza condividere le proprie vite per non essere considerati dei paria.

Come le altre religioni di successo, il Dataismo ha i suoi comandamenti: tra questi, cruciale è quello di collegare tutti al sistema, inclusi gli eretici che non vogliono essere connessi. La disconnessione potrebbe significare la morte, specie nel caso avessimo un chip sottopelle che non solo misura la nostra salute ma garantisce la nostra vita.

E se tutti avessimo chip sottopelle che ci connettono in rete, saremmo ancora entità autonome o solo un tassello nell’enorme rete globale?

 

Il problema della regolamentazione dei dati

Quali sono le soluzioni possibili? C’è molto lavoro per i giuristi: gli eccessi si potrebbero impedire solo con la regolamentazione.

Serviranno nuove regole per controbilanciare i nuovi poteri dei superumani e dei super computer, così come oggi servivano e servono per le nuove super società che decidono tutto di noi, travalicando i limiti statuali (le già citate FB, Google ed Amazon). E’ tuttavia difficile regolamentare fenomeni che travalicano i limiti degli Stati, specie sotto il profilo dell’enforcement.

I miei dati sono miei o appartengono a una società? Come si regola la proprietà dei dati? Bastano le norme sulla privacy? Se non regolamentiamo la proprietà dei dati, una piccola élite potrebbe decidere non solo la forma della futura società umana, ma le forme di vita nel futuro. Harari ricorda come abbiamo molta esperienza nel regolamentare la proprietà della terra (10.000 anni), alcuni secoli di esperienza nella regolazione della proprietà delle macchine industriali ma veramente poca nel regolamentare i dati. I dati sono diversi dalla terra e dalle macchine: puoi spostarli o farne copie alla velocità della luce, sono immateriali e crittografabili. Come ha ricordato Harari durante la sua partecipazione al World Economic Forum, qual è l’analogia tra i miei dati biometrici e la proprietà della terra? Dov’è il recinto che mi separa da te?

Il futuro che il giovane storico israeliano descrive è veramente inquietante, anche se egli stesso precisa che lo scenario che emerge dal Homo Deus è più una possibilità che una profezia.

Sia come sia, Homo Deus dovrebbe essere una lettura obbligata per i nostri governanti e almeno consigliata ai giovani studenti, che forse potrebbero vedere alcuni di questi scenari prendere forma. Noi non vedremo tutto…e la cosa mi solleva.

 

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Comments

  1. Di recente un lettore di questo blog mi ha scritto una email molto garbata e argomentata dicendo – secondo lui – che certi miei articoli “distopici” (…) “potrebbero essere controproducenti” per la mia attività di divulgazione/informazione.
    Si vede che il (possibile) mondo prefigurato da Harari appare ancora molto distante. Eppure leggo sull’Economist che in Svezia qualche migliaio di persone si sono fatte impiantare un microchip nella pelle al solo scopo di pagare il biglietto per il trasporto pubblico (Why Swedes are inserting microchips into their bodies, https://www.economist.com/europe/2018/08/02/why-swedes-are-inserting-microchips-into-their-bodies). Per ora è più un vezzo da tecno-junkie che altro. Eppure, se, tra pochi anni i microchip ci consentissero di usufruire di sconti o vantaggi speciali quanti di questi “piercing” in più si conterebbero al mondo? Certo un chip siffatto non ci renderebbe meno umani. Ma se poi servisse a somministrare farmaci che potenziano alcune facoltà umane? L’uomo-cyborg non è così lontano…

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