Ci sono momenti topici nella vita di ogni genitore di una società capitalistica che si ripetono nel tempo: al supermercato il bambino di 4 anni vuole il pacchetto di caramelle che il genitore gli nega e comincia un capriccio che non finisce più; arrivata alla scuola media, la ragazzina insiste per avere il telefono che hanno tutti i suoi amici; il liceale pretende il motorino o addirittura la macchinetta: alcuni suoi amici ce l’hanno e sembra che non possa più vivere senza.
Anche gli adulti cedono a questo mondo di gratificazioni.
Vai al bar pensando di prendere solo una spremuta e non resisti davanti al cornetto o al muffin appena sfornato; oppure sembra che senza acquistare quelle scarpe tu non possa arrivare al fine settimana.
L’unico modo per resistere alle tentazioni, è cedervi, scriveva Oscar Wilde, e a cedere siamo tutti bravissimi.
Chi ha minori mezzi economici sembrerebbe avere più difese. Con i figli è certamente vero. E’ assai più semplice, sebbene meno istruttivo, dire ad un figlio: “non te lo posso comprare, non ho i soldi” che dovergli spiegare: “te lo potrei comprare, ma non lo ritengo giusto”. Eppure, neanche la ristrettezza di mezzi è una difesa efficace, a giudicare dalla quantità di persone adulte che s’indebita, magari per soddisfare un desiderio che non è un bisogno.
Se ne evince con facilità che, in un mondo con molteplici scelte e infinite tentazioni la capacità di resistere, invece che di cedere ad una gratificazione immediata, risulta ancora più cruciale di un tempo.
Insegnare l’autocontrollo ai bambini dovrebbe essere, dunque, uno dei compiti primari di un genitore. Perché significa renderli capaci di poter scegliere come comportarsi nelle varie circostanze, anziché divenire preda dei propri impulsi. Che poi si riesca o meno, è tutto da vedere, ma vale la pena tentare.
L’autocontrollo, infatti, serve non solo per allontanare tentazioni di tipo “consumistico”, ma anche per evitare decisioni impulsive, accessi di rabbia o per essere in grado di rimandare il piacere al momento successivo al compimento del proprio dovere, e tutto questo è cruciale per tanti aspetti della vita e costituisce – io credo – un aspetto fondamentale dell’essere adulti (…con buona pace delle volte in cui entro in un bar per prendere una spremuta e cedo davanti al cornetto caldo).
The marshmallow experiment
La cruciale importanza della capacità di controllarsi è stata dimostrata da un noto studio sulla capacità dell’individuo di differire nel tempo una gratificazione, condotto negli Stati Uniti, presso l’Università di Stanford.
In questo esperimento, noto come the marshmallow experiment si testavano le reazioni di alcuni bambini di fronte a caramelle o ad altri dolci di cui erano particolarmente ghiotti, valutando se i bambini riuscivano a resistere alla tentazione e differire nel tempo il piacere di assaggiare il proprio dolce preferito.
Per chi non lo sa, le marshmallows sono delle caramelle bianche e gommose di cui sono particolarmente ghiotti i bambini americani. Io le trovo nauseabonde, anche se mi sono molto divertita, certe volte, con amici canadesi ed americani, ad arrostirle sul fuoco usando la punta di un bastone. Ma, si sa, qualsiasi cibo affumicato diventa improvvisamente…irresistibile, persino una caramella gommosa.
Ma torniamo all’esperimento. Esso fu condotto negli anni ’70, dallo psicologo Walter Mischel; i bambini coinvolti frequentavano una scuola dell’infanzia di Stanford e avevano tra i tre anni e mezzo e i cinque anni e mezzo (ironicamente, mi trovavo anche io a Stanford nel 1970: peccato non essere stata reclutata nello studio, ad un anno appena compiuto ero troppo giovane per farne parte).
Ad ogni bambino veniva consegnato un marshmallow (o altro dolcetto) sul piatto. Se il bambino riusciva ad aspettare un quarto d’ora senza cedere alla tentazione di mangiarlo, ne poteva ricevere un altro in premio. Gli scienziati hanno analizzato quanto tempo ogni bambino riusciva a resistere alla tentazione di mangiare il suo marshmallow.
La stanza in cui si svolgevano gli esperimenti era quasi totalmente vuota, quindi c’era poco con cui distrarsi; Mischel osservò e annotò le diverse reazioni dei bambini: alcuni si coprivano gli occhi con le mani o si giravano per non guardare i dolci, altri cercavano di distrarsi prendendo a calci la scrivania o giocando con i propri capelli, altri ancora, invece, decidevano di mangiare subito il dolcetto (sempre secondo l’aforisma di Oscar Wilde secondo il quale il modo migliore per resistere alle tentazioni è cedervi..).
Alcuni filmati dell’esperimento sono in rete e sono molto interessanti (basta digitare kids marshmallow experiment su You Tube: divertitevi!).
L’esperimento fu ripetuto più volte nel tempo, con altri gruppi di bambini. Degli oltre 600 che parteciparono all’esperimento, circa un terzo riuscì a rimandare la gratificazione abbastanza a lungo per ottenere il secondo marshmallow.
Ovviamente, i più grandicelli se la cavavano meglio, confermando l’ipotesi che l’età determini la capacità di differire la gratificazione (cari genitori, buone notizie: c’è speranza che i nostri figli migliorino!)
L’importanza dell’autocontrollo
È stato però il risultato del follow-up, ossia del seguito dello studio, a portare i risultati di gran lunga più interessanti. Gli stessi bambini oggetto dell’esperimento furono in seguito contattati a più riprese durante l’adolescenza e l’età adulta. E qui veniamo al punto più interessante.
Da un primo follow up eseguito nel 1988 (che, anche qui, si intreccia con la vita della sottoscritta: ero stata nuovamente a Stanford per un semestre due anni prima, nel 1986), si vide che i bambini che avevano ritardato la gratificazione più a lungo venivano descritti dai genitori come adolescenti maturi e responsabili.
Un secondo follow-up, nel 1990, mostrò che la capacità di ritardare la gratificazione era anche correlata con maggiori punteggi SAT (i test americani d’ingresso all’università).
Alla fine i vari follow-up dell’esperimento dimostrarono che i bambini che avevano resistito alla tentazione di mangiare una caramella o un dolcetto, in vista di poterne avere due anziché uno (e avevano, quindi, preso in considerazione il beneficio futuro rispetto al presente) una volta adulti erano riusciti meglio negli studi e nel lavoro.
Il marshmallow experiment, in sostanza, testava una qualità molto importante nella vita: la capacità di tollerare la frustrazione e di rimandare una gratificazione.
Dunque vi sarebbe una correlazione tra l’abilità di rimandare le gratificazioni e la capacità di darsi una disciplina, in tutto (nello studio, nel lavoro, nella gestione delle emozioni e così via). Chi è in grado di tollerare la frustrazione, o di rimandare una gratificazione in vista di un beneficio futuro, ha più possibilità di riuscire nelle cose che fa. Alcuni chiamano questa dote “resilienza”, io l’ho chiamata semplicemente “autocontrollo” e, come insegna l’esperimento di Mischel, si può testare già a tre anni e mezzo.
I risultati dello studio hanno perfettamente senso: molto di ciò che vogliamo nella vita richiede la capacità di resistere all’impulso immediato e di ritardare una gratificazione immediata (magari per ottenerne una successiva e più durevole).
E’ più piacevole chattare su whattsup o studiare storia? (un adolescente non avrebbe dubbi…). Esco prima con i miei amici o faccio prima i compiti di matematica? Rimando una conversazione sgradevole con il capo o la affronto subito? Svolgo prima le attività più importanti o quelle più urgenti? Oppure, ancora, rimando le questioni importanti ed urgenti e mi dedico ad un’attività di routine che abbassa il mio livello di ansia? Mi arrabbio subito con chi mi ha tagliato la strada con una manovra pericolosa o conto sino a dieci e lascio che mi passi la rabbia per dimenticare quanto accaduto? (la miglior vendetta è l’indifferenza…).
Quante volte ci troviamo nella vita a dover prendere queste decisioni?
Ma l’autocontrollo è una dote innata – geneticamente acquisita – o si può insegnare? E’ più frutto della natura o della cultura? Sempre di più temo che la genetica conti molto, ma, in parte, io ritengo che si possa insegnare. Nel mio piccolo, ci provo, ogni giorno.
Come?
Intanto con l’esempio, che è sempre il miglior insegnamento.
Poi, ad esempio, si può invitare un bambino o una bambina a fermarsi e pensare prima di agire. O, ancora, si possono esaminare, insieme a lui o a lei, differenti modi di rispondere a determinate situazioni, valutandone le possibili conseguenze, sia negative che positive, magari inventandosi una sorta di role-playing.
Possiamo, inoltre, tentare di insegnare a bambini ed adolescenti a rilassarsi quando si trovano in situazioni stressanti e che potrebbero portare ad una perdita di controllo. Su questo, per ora, ho miseramente fallito, anzi, più tento di calmare una figlia nervosa (anzi, due) e più creo tensione, per cui ho l’impressione che, in certi momenti, il silenzio sia d’oro ed è meglio scomparire e riprendere una discussione in un momento di calma.
Trovo più utile utilizzare l’incentivo (incentivo, non la minaccia o il ricatto) “Quando sarà in grado di tenere in ordine il tuo armadio ti comprerò quel vestito nuovo”. “Avrai il telefonino quando mi avrai dimostrato che a scuola ti stai impegnando”.
Non è facile far capire a un ragazzino la differenza tra l’incentivo e il ricatto: capita che i figli scambino l’uno per l’altro e ci rivoltino la frittata con fare minaccioso: “se non mi mandi alla festa io non faccio i compiti”. L’avete mai sentita questa frase? Se la risposta è negativa, forse i vostri non sono ancora adolescenti.
Come smontare un atteggiamento del genere? L’unica risposta sicura è la calma ed ho imparato, a mie spese, che quando la perdo non combino nulla di buono. Solo in un momento di calma possiamo spiegare quello che i nostri figli già sanno, ma fanno finta di non sapere, come è normale che sia: ossia che noi non vediamo l’ora di farli felici, anche dando loro ciò che desiderano, e che, però, vogliamo insegnare loro che le cose non si ottengono senza attesa e senza sforzo, perché se non lo imparano da piccoli saranno infelici sempre.
E mica è facile! Non ho ancora trovato l’algoritmo giusto – perché ogni figlio è diverso e l’equazione cambia – ma quando l’avrò trovato, sarete i primi a saperlo.
E voi? Riuscite a tenere testa ai desideri dei vostri figli e ad insegnare loro ad autoregolarsi? E, quanto a desideri, riuscite a dominare i vostri? Quali strategie utilizzate? Aspetto i vostri commenti.
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Ciao, mia figlia è certamente il tipo che il marshmallow se lo sarebbe divorata subito! All’orizzonte un’adolescenza mooolto difficile.
Ed infatti, non appena si confronta con le regole e con il “prima il dovere e poi il piacere” (es. prima fai i compiti e poi vai a giocare) si sentono gli sbuffi, i lamenti ed i nervosismi ad un chilometro di distanza….Ahimè..
Come ho pensato di risolvere? Mandandola ad una scuola “paramilitare”: dove le regole e la disciplina sono fondamentali…Devo dire che secondo me le fa bene. Adesso c’è una maggiore cultura della motivazione, del potenziamento dell’autostima rischiando a volte di sottovalutare quanto sia fondamentale, soprattutto in una società in cui i valori non sono più granitici ed universali, il contenimento dei giovani attraverso una netta distinzione dei confini, che delimitano il dovere dal piacere, il rispetto di se stessi e il narcisismo, lo spazio dei piccoli e quello dei grandi, di quello che si può fare e quello che non si può fare.
Cedere è indubbiamente più semplice ma l’attesa e la conquista fanno assaporare meglio ciò che si ottiene. Insomma, mi sembra che c’è un trend a proteggere i figli dalle frustrazioni e a premiarli che, tra l’altro,mal si sposa con la giungla che poi dovranno affrontare da grandi.
Interessantissime parole che vanno controcorrente.
Ormai nei paesi industrializzati, con l’avvento del low cost, tutti hanno tutto. Vuoi il trench? Trovi l’imitazione nei mega negozioni o sulle bancarelle, vuoi il mare d’inverno? Vai a Sharm. Bici da corsa? Grandi magazzini sportivi e via.
Privazione-desiderio sono concetti molto piu’ deboli di qualche tempo fa e secondo me ci sono ricadute sociali molto evidenti: apatia, poca capacita’ di distinguere la qualita’, l’accontentarsi della prima cosa che si trova pur di avere quella cosa sul momento e comunque la filosofia imperante dell’usa e getta.
Cercare di tenere testa ai figli per tutto questo e’ faticosissimo. Sempre meno genitori sono disposti ad insegnare, orientare, a volte imporre determinate cose per non passare da autoritari e antichi, e quindi per quelli che lo fanno, e’ ancor piu’ difficile. Anche le fasce finanziariamente piu’ deboli, vedo che si levano il pane di bocca per accontentare i figli, per lo piu’ riguardo ai beni materiali e non cultura o istruzione.
Secondo me la benefica attesa che la privazione produce e la conquista dell’autocontrollo sono fondamentali anzi imprescindibili nella formazione del carattere.
Cari saluti.
Ama
Cari Colleghi (e Colleghe) genitori, vorrei fare l’antipatico e ricordare che l’esperimento dei marshmallow poggia su una premessa tanto ovvia quanto inespressa: che lo sperimentatore sia leale. Se io non mangio il dolcetto, e poi l’esaminatore mi corbella, perchè non mi dà nulla, allora comportamento molto saggio è quello di arraffare subito quanto più si può e mangiarselo. Leggete, se volete, “Il mercato delle regole” (AA.VV., Il Mulino): contiene una trattazione molto interessante del fenomeno, che si chiama teoria delle relazioni fiduciarie. Quindi, per insegnare ad autoregolarsi, la lealtà è il prerequisito. Sembra cosa da nulla, ma vi assicuro che per molti adulti la parola data a un bimbo non vale.
Post molto interessante…io ho provato così (con i miei due bimbi di 4 anni e mezzo e 3 anni e mezzo).
Per un mese e mezzo gli ho dato 10 centesimi per ogni giorno in cui si comportavano bene (la baby inglese del pomeriggio assegnava la “stellina” o il “black dot” a seconda del comportamento pomeridiano, io nel weekend). Poi, con i due salvadanai (pieni di circa 7 euro ciascuno) siamo andati in un negozio di giocattoli e lì ho fatto scegliere loro cosa volevano.
Dopo lungo girare hanno selezionato due giochi, uno ciascuno, del valore di circa 40 euro l’uno. Bene, gli ho detto “Proviamo a vedere se le monetine che avete bastano”. Hanno portato e issato a fatica le due scatole sulla cassa, la cassiera li ha passati col lettore di codici a barre e a quel punto ho detto loro di mostrare le monete alla cassiera e ho chiesto se sarebbero bastati i soldi.
Ovviamente la cassiera ha scosso la testa, ha de-selezionato i giochi e io ho spiegato ai miei figli che no, pareva proprio che le monete fossero ancora sufficienti.
Hanno ripreso le loro scatole, le hanno riportate al proprio posto e su mio suggerimento hanno scelto qualcosa di più piccolo (in mezzo agli sguardi attonito-stupiti degli altri clienti del negozio). Ripetuta la scena alla cassa, siamo finalmente usciti con i due giochini.
Devo dire che non hanno fatto un solo capriccio (forse non si sono osati a contraddire la cassiera?) e alla fine erano felici ugualmente di ciò che erano risuciti a portare a casa.
Alla sera il maggiore mi fa “Però mamma non è giusto, abbiamo faticato tanto con XXX – la baby inglese – siamo sempre stati bravi e ora abbiamo solo questo gioco piccolo!”.
E io gli ho spiegato che le cose costano molto e ci vuole tanto impegno e fatica per avere ciò che si desidera.
Mi è sembrato che il concetto abbia iniziato a passare.