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Insegnare l’inglese (o altre lingue) a tuo figlio: a che età iniziare?

educazioneglobale bilinguismo quando iniziareQuando si discute dell’insegnamento delle lingue straniere ai bambini (in particolare dell’inglese, ma non solo) la prima e più ricorrente domanda è: a che età iniziare?

Mi è capitato di sentire persone affermare che iniziare con una lingua straniera era perfettamente inutile finché il bambino non avesse saputo leggere e scrivere (“perché altrimenti come fa a memorizzare?”, era la motivazione ricorrente). E’ ovvio che chi utilizza questo argomento si rifà ai propri ricordi, normalmente ricordi relativi alla lingua straniera affrontata nell’ambito di una vera e propria “lezione di lingua”.

Eppure questo ragionamento – “aspettiamo che sappia leggere e scrivere” – che alcuni applicano allo studio delle lingue straniere, nessuno si sognerebbe di usarlo per l’apprendimento della madrelingua. In altre parole, nessuno aspetta che il bambino sappia scrivere prima di insegnargli a parlare… anzi, prima di parlargli.

 

Inutile aspettare che il bambino sappia leggere e scrivere

La lingua madre si comincia ad apprendere dalla nascita, se non addirittura in utero e apprendere una lingua “per immersione” è radicalmente diverso dall’andare a lezione di lingua.

Torniamo, ora, alla domanda principale, qual è l’età “giusta” per iniziare con le lingue straniere?

Per dare una risposta a questa domanda è bene conoscere cosa afferma la ricerca scientifica sull’apprendimento delle lingue. Io non sono un’esperta, ma qualcosa l’ho imparato seguendo un corso online con uno studioso di psicologia cognitiva dell’Università di Houston, specializzato in linguaggio.

The Bilingual BrainIl corso si chiama(va) The Bilingual Brain e, in realtà, è anche un libro. Lo consiglio a chi fosse interessato al cervello bilingue sotto un profilo scientifico; si chiama The Bilingual Brain e l’autore è Arturo E. Hernandez, il docente di cui ho seguito le lezioni.

Il corso sul “Cervello Bilingue” è stato il primo massive open online course (MOOC) che ho seguito dall’inizio alla fine, esami compresi (e, a chi non sa cosa è un MOOC, consiglio di leggere il post Stasera vuoi studiare a Stanford, Harvard o Yale? Accomodati, la lezione è online!).

Il professor Hernandez, a sua volta bilingue, ha condotto me e altre centinaia di allievi, delle più disparate età e di vari paesi (dal Giappone all’Argentina), attraverso la ricerca scientifica che connette i temi del bilinguismo e del multilinguismo con la psicologia cognitiva e le neuroscienze.

Il corso era molto tecnico, per cui, necessariamente, devo semplificare quanto appreso ed, ovviamente, potrei aver frainteso parte del materiale, dunque ogni reponsabilità per eventuali inesattezze resta mia. Tra le moltissime cose che ho imparato c’è anche la risposta alla domanda da cui sono partita…ossia a che età iniziare.

Anzitutto sfatiamo un mito: diventare bilingui non è difficile. Il linguismo è capacità di parlare una lingua, il bilinguismo la capacità di parlarne due: ebbene, al mondo vi sono più i bilingui che monolingui. Come è stato ha chiarito subito, non c’è nessun trucco genetico nell’imparare una lingua: non è necessario che una persona sia un genio perchè diventi bilingue o trilingue. E’ solo necessario che sia immerso nella lingua. Le singole lingue che conosciamo, infatti, provengono dagli input a cui siamo esposti nella nostra vita.

I concetti chiave che sono fondamentali per capire come funziona il bilinguismo, e quali sono i suoi effetti sul cervello, sono tre:

  1. l’età di acquisizione di ogni lingua (age of acqusition);
  2. il livello di competenza raggiunto in ogni lingua appresa (proficiency);
  3. la quantità di controllo che si ha sulla lingua (control; che è cruciale per passare velocemente da una lingua all’altra, cosa che i linguisti chiamano code – switching).

In questo post affronterò solo il primo di questi temi: quello dell’età di acquisizione della lingua, che è poi quello che più sta a cuore ai genitori. Ma anche gli altri due rilevano… ne riparleremo in altri post.

Il cervello processa in modo diverso la lingua a seconda dell’età in cui la acquisisce. Le lingue (o le singole parole) che si imparano presto nella vita – dice Hernandez – stimolano l’attività temporale e la parte più uditiva del cervello e implicano una elaborazione più sensoriale. C’è un elemento meccanico-sensoriale che è tipico dell’apprendimento precoce delle lingue, che sia una o più, non importa. E’ la ragione per cui i bilingui “sanno” che una certa costruzione è giusta o sbagliata ma non sanno spiegare perché (a me accade: qualcuno mi chiede: “ma perché qui dici che è meglio too invece di also?” e io proprio non lo so spiegare, “suona bene” o “suona male”).

Le parole (o le lingue) imparate in età più tarda, invece, attivano le regioni del lobo frontale e, quindi, comportano nel cervello un meccanismo più razionale. E’ questo il motivo per il quale usare una lingua imparata più tardi nella vita implica maggior fatica. in altre parole, anche quando si conosce una lingua bene, ma la si è imparata tardi, ci si stanca di più a parlarla.

Insomma: il processo con cui si ha accesso alle parole (o alle lingue) cambia radicalmente a seconda dell’età della vita nella quale si è  appresa quella data parola (o lingua).  Afferma Hernandez che l’età in cui si apprendono le lingue e l’ordine in cui si apprendono può essere paragonato all’arrivo di alcuni ospiti ad una festa. Chi arriva presto dà il tono alla serata, perché influenza coloro che arriveranno dopo. La lingua (o le lingue) di cui uno ha l’imprinting, influenza (o influenzano) quelle apprese successivamente.

Chi ha possesso di più lingue sin da bambino, ha, sin da piccolo, più modi di pensare alla stessa cosa, senza dover tradurre la struttura di una lingua nell’altra. Il suono, l’accento e la grammatica sono tutti aspetti influenzati dall’età di acquisizione. Prima si acquisisce una lingua e prima tutti questi aspetti sono naturali. Lo stesso, secondo il professor Hernandez, accade in altri domini: nello sport e nella musica, ad esempio, l’età di acquisizione è importante; le cose imparate prima lasciano un’impronta e vengono riprodotte con più facilità.

 

Neonati e propensione per la lingua madre

Già alla nascita vi è una propensione per la propria lingua madre. Se, invece di avere una sola lingua madre, se ne hanno due (o tre!) tanto meglio.

Come hanno fatto scienziati e piscologi a misurare le preferenze dei neonati? Sono servite ore e ore di laboratorio e di filmati, ma si dà il caso che i neonati prestino maggiore attenzione alle novità: così, misurando il numero di secondi in cui guardano le cose o i volti delle persone, si può capire cosa suona nuovo al loro orecchio. In altri esperimenti con neonati, quello che viene misurato è la frequenza di movimenti durante l’allattamento: davanti allo stimolo di un suono nuovo, la frequenza con cui un bambino succhia aumenta.

Come si è accennato, questi studi sui neonati, ripetuti nel tempo, hanno portato a dimostrare che, già in fasce, i bambini riconoscono la lingua madre (o le lingue madri) molto bene perché le hanno sentite nel grembo materno. Insomma, anche quando tutto ciò che un neonato sembra in grado di fare è dormire o piangere, in realtà ha in corso una complessa attività cerebrale. Dunque, già da quando il bambino è appena nato, ascoltare due lingue invece di una è per lui una ricchezza, non solo linguistica, ma cerebrale!

Patricia Khul ha condotto esperimenti sui bambini bilingui dell’età di 4 mesi, notando che questi sono in grado di rilevare le differenze di discorso suoni tra le due lingue. Una parte delle ricerche di Patricia Khul è sintetizzata in una conferenza TED che vi consiglio di vedere: The Linguistic Genius of Babies.

Questo consente di affermare con certezza un’altra cosa e di tranquillizare il genitore ansioso, ossia che NON è troppo faticoso iniziare da piccoli, semmai è faticoso apprendere una lingua da grandi!

Esiste un “periodo critico” per imparare una lingua tanto da essere bilingue?

Alla nascita? Prima dei 3 anni? Prima dei 7 anni? Prima della pubertà? Oppure prima che sia completata la “potatura dei neuroni” nel cervello, che termina a 21 anni circa  (anzi, a seconda dei casi, tra i 18 e i 25 anni)?

L’ipotesi che esista un “periodo critico” per l’apprendimento delle lingue è uno dei punti focali nella ricerca sulla seconda lingua, che cerca di spiegare perché l’età ha un profondo effetto sulla capacità di apprendimento delle lingue. Come tale, ha attirato molta attenzione e di ricerca nel campo dell’acquisizione della seconda lingua.

Ma nel corso “The Bilingual Brain” il professor Hernandez ha affermato che i risultati della ricerca sono troppo diversi uno dall’altro, inoltre gli studi prendono in considerazione solo alcuni settori del linguaggio, di solito morfo-sintattici. I dati di questi studi non sono abbastanza completi per valutare tutti i diversi aspetti del linguaggio singolarmente e, dunque, non consentono di affermare con certezza che esiste o se esiste un vero e proprio periodo critico, una finestra che si chiude per sempre.

Le finestre sono tante e certamente vanno chiudendosi man mano che si cresce e che si invecchia, per la costante opera di specializzazione del cervello. Certamente 0, 3, 7 anni, la pubertà e i 21 anni sono tappe fondamentali. Più si passano queste tappe, più acquisire la seconda lingua in modo spontaneo richiede sforzo, tempo e motivazione. Tuttavia, le differenze individuali sono moltissime. Addirittura è stato notato che una zona che si sviluppa anche più tardi è il lobo temporale sinistro: esso mostra segni di evoluzione finoa 40 anni (ed è legato allo sviluppo della lingua!).

A che età iniziare?

Dunque, a che età esporre un bambino alle altre lingue – si è chiesto lo stesso Hernandez durante il corso al momento della nascita, a 3 o 7 anni? Si può attendere oltre?

La risposta alla domanda – ha affermato il professor Hernendez – dipende esclusivamente dal risultato che si desidera ottenere.  Se si vuole ottenere un risultato naturale, in termini di bilinguismo, prima è, meglio è.

Alla nascita è meglio che a 3 anni e a 3 anni è meglio che a 7. Insomma, oggi è meglio di domani.

Poi bisogna perseverare: la lingua è una cosa viva, non usarla la rende opaca, poi arrugginita. Ne è prova il concetto di “lingue orfane”, quelle lingue parlate da bambini e poi abbandonate improvvisamente e per sempre (cosa che capita ai minori adottati da altri paesi). Ma questa è un’altra storia. A che età, dunque, cominciare con le lingue straniere? La risposta mi pare chiara: il prima possibile!

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Comments

    1. Come mi pare di aver spiegato alcune zone del cervello, secondo Hernandez, si evolvono sino a 40 anni! Tuttavia la grande potatura dei neuroni avviene tra l’inizio della pubertà e i 21 anni: è questa l’età in cui il cervello perde molta della sua plasticità e guadagna in efficienza, specializzandosi. Più c’è plasticità più si può imparare tutto, in sostanza. L’altra faccia della plasticità è che si può anche disimparare tutto e che la capacità di concentrazione su un singolo task è limitata (hai presente un treenne quando gioca??).

      Dunque prima della pubertà, se non ancora prima, è DECISAMENTE meglio. Ma anche dopo va bene, a patto di vivere almeno 20 anni nel paese dove si parla la lingua e mettersi l’anima in pace sulla questione dell’accento: quello non si recupera quasi mai

  1. Penso che per la risposta si possa citare il grande Alberto Manzi: “non è mai troppo tardi”. Certo, non penso che i risultati siano gli stessi ad ogni età – io ne sono la prova vivente- ma l’effetto sul morale è comunque positivo, soprattutto per un adulto che vuole non sfigurare con i propri figlioli.

  2. Aggiungo una citazione (consolatoria) dal mio adorato Benny Lewis: “If someone has an accent, it means he knows one more language than you”.

  3. Uno dei modi per aiutare i nostri figli ad imparare le lingue secondo me, anche se si sono superati i quaranta (come me) è quello di rimettere mano al proprio inglese, se non è sufficiente. Non con il peregrino obiettivo di diventare bilingue ma per poterli accompagnare in questo percorso.
    Insomma per un’educazione globale un po’ globali dobbiamo diventarlo anche noi…

  4. Io penso ovviamente che prima è, meglio è, ma…
    Poiché normalmente, tranne poche fortunate eccezioni, si prende una sola lingua oltre la propria da piccoli, ci si troverà comunque a confrontarsi con l’apprendimento postumo.
    Credo che due macro fattori concorrano da grandicelli: uno in positivo, cioè la forza motivazionale, ed uno in negativo, la paura di fare sbagli.
    Una volta presa consapevolezza della prima, e alleggerita l’altra, la cosa “se po’ ffa’ “.
    Poi dipende dalle ambizioni.
    Il mio primo punto d’arrivo nelle lingue è sempre stato quello di capire le battute di spirito e possibilmente produrne.
    Ciao a tutti.

    ama

  5. Ciao Elisabetta,
    volevo ringraziarti per le informazioni utili e fare due domande.
    Io sono madrelingua russa, vivo in Italia da tanti anni. Sono la mamma di Anna, una bambina di 2 anni che stiamo crescendo bilingue seguendo il metodo OPOL (io le parlo solo in russo, mentre suo padre le parla solo in italiano; quando siamo tutti insieme, parliamo l’italiano).
    La mia idea originale è sempre stata quella di far crescere la bimba come trilingue (russo-italiano-inglese). Seguendo il principio “prima si comincia, meglio è”, abbiamo iscritto Anna al “La Maisonnette”, un asilo trilingue (italiano, inglese, francese). Avrei preferito un asilo bilingue inglese-italiano, ma purtroppo nella zona in cui abitiamo (Roma centro) non ce ne sono. Quindi, da tre lingue siamo passati a quattro.
    Da qua una mia prima domanda: un bambino piccolo, sotto i 3 anni, esposto contemporaneamente a quattro (o anche, in linea teorica, cinque, sei o più) lingue, può trarre un effettivo vantaggio da un numero di lingue così elevato? Oppure esiste una specie di un numero massimo, dopo il quale l’introduzione di un’ulteriore lingua sarebbe praticamente inutile?
    La mia seconda domanda è: quale è l’ammontare minimo di tempo che un bambino deve passare con una persona madrelingua per acquisire una lingua? Quello che intendo è un minimo ammontare di ore per settimana per un bambino medio, secondo lo stato attuale della ricerca sull’argomento; poi è ovvio che il risultato varia in funzione della capacità di apprendimento del bambino, dalla “qualità” di tempo trascorso insieme nonché da altri fattori. In altre parole, se un bambino piccolo ad esempio passa 3-4 ore a settimana con insegnante madrelingua, riesce a imparare qualcosa, oppure un’esposizione così limitata sarebbe pressoché inutile?

    Grazie mille e un saluto,
    Viktoria

    1. Cara Viktoria, anzitutto complimenti per l’impresa! Sollevi due domande molto interessanti che, in parte, tratterò nei prossimi post sul bilinguismo, dunque qui ti do una risposta sintetica, dritta al punto.
      Parto con il numero minimo di ore di esposizione e uso attivo della lingua: stando ai libri che ho letto, per acquisire un bilinguismo (anche se sbilanciato) un bambino deve essere immerso in una lingua per almeno il 25% – 30% del suo tempo di veglia (ossia, escluso il sonno). Dunque c’è un “algoritmo” per il bilinguismo anche se vi sono, ovviamente, grandi variazioni individuali. L’ideale per tua figlia sarebbe l’essere immersa in ciascuna lingua per 3 ore al giorno circa.
      E’ la “rule of thumb” che seguo anche con mio figlio, per quanto possibile.
      Ovviamente, valgono solo, come “immersione” le interazioni con esseri umani. La televisione in lingua aiuta, ma meno di quanto pensiamo (parlo di bambini piccoli, ovviamente, che, prima dei due anni, non dovrebbero neanche vedere i cartoni animati).
      Quanto al massimo numero di lingue quello che ho letto è quanto segue. Premesso che, nel corso di una vita, una persona può imparare un numero indefinito di lingue, in realtà, per un bambino piccolo, avere un “multilinguismo bilanciato” (ossia, la conoscenza istintiva e naturale di più lingue, tutte allo stesso livello) è difficile oltre le 3 lingue. Gli esperti dicono che, oltre le 3, sovente la quarta e le successive lingue rimangono fortemente minoritarie, a volte rimangono passive (le si capisce ma non le si parla). Il motivo è intuitivo: non bastano le ore nella giornata per diventare un quadrilingue bilanciato, quantomeno tra 0 e 3 anni.
      Detto ciò non è che la quarta lingua (il francese, nel tuo caso) produca danni, più che altro è difficile mantenerla del tempo. Quello che conta per una duenne è la relazione che si instaura con chi la parla, tutto lì.
      Poi una ultima considerazione, nel tuo caso. Se avete deciso di vivere in italia la lingua principale di tua figlia da qui a 10 anni sarà l’italiano. Il suo russo andrà indebolendosi man mano che cresce (perchè il legame con la mamma si allenta!). Dunque concentrerei gli sforzi sulle lingue essenziali per voi. L’italiano, almeno orale, verrà da se. Il russo lo parlerà con te e sarebbe ideale che tu avessi intorno una piccola comunità di amici con figli che parlano russo, per far passare l’idea che il russo serve a comunicare non solo con la mamma.
      Infine – una volta terminato il percorso alla Maisonnette – mi concentrerei sulla terza lingua: a scelta o inglese o francese. Però questo è quello che farei io e non è necessariamente la “scelta giusta”.

      1. Cara Elisabetta,
        grazie per una risposta chiara e ragionata. In questo periodo sento di aver bisogno delle conferme sulle mie scelte e purtroppo non ho accanto le persone con cui posso confrontarmi, quindi sei veramente di grande aiuto.
        Penso di aver capito “l’algoritmo” del multilinguismo in linea teorica, adesso tutto sta nel riuscire ad applicarlo bene al mio caso.
        Me ne rendo perfettamente conto che il russo di mia figlia andrà indebolendosi nel corso degli anni. Detto ciò, volevo precisare che ho deciso di parlare alla mia figli in russo per i motivi che definirei “sentimentali” piuttosto che pratici. Il russo le servirà per poter comunicare con i nonni materni, per poter paragonare e approfondire le due culture diverse, per capire meglio le sue origini. Volevo far vedere a Anna i cartoni animati che io visto io quando ero bambina, leggerle i libri che mi leggeva mia madre… Per questo il mio obiettivo finale si limita soltanto alla lingua parlata in modo discreto; non intendo proseguire né con la lettura, né con la scrittura, a meno che Anna non mostrerà di avere delle spiccate capacità linguistiche e/o esprimerà un particolare interesse per l’approfondimento del russo.
        Quindi, penso di proseguire con OPOL italiano-russo solo fino a sei anni, dopo di che sicuramente seguirò il tuo consiglio, concentrando gli sforzi sulla lingua “essenziale” che, nel nostro caso, spero tanto che sarà l’inglese. E’ l’inglese la lingua del mondo di lavoro (oggigiorno, anche se devi lavorare ad esempio con i russi, è l’inglese che devi sapere, il russo non è assolutamente necessario). Peraltro, l’inglese è la chiave d’accesso ad un’ottima istruzione (non mi dispiacerebbe affatto se mia figlia potesse fare un’università in Inghilterra piuttosto che in Italia o in Federazione Russa); inoltre, è l’inglese che ti dà la possibilità di poter viaggiare in molti paesi del mondo parlando con la gente del posto (con l’italiano e il russo soltanto non vai lontano), leggere i libri in inglese e infine, perché no, vedere i film americani in lingua originale. Quindi, mi sto informando su scuole bilingue italiano-inglese a Roma…
        Il problema è che mio marito ha una visione diversa del percorso formativo di nostra figlia. Piuttosto che la scuola bilingue italiano-inglese, lui sta pensando alla scuola svizzera di Roma (quella in via Malpighi). Secondo lui, è un errore mettere al primo posto l’aspetto linguistico, perché dobbiamo dare la priorità ad un’offerta formativa considerata nel suo insieme. In altre parole, tra l’inglese e una buona scuola dobbiamo scegliere una buona scuola. Tuttavia… la scuola svizzera, per quanto sicuramente ottima, con il suo percorso quasi interamente in tedesco, mi fa paura. Non parlo tedesco, e neanche mio marito. Ovviamente, posso cominciare a studiarlo. Sarebbe comunque difficile per me seguire mia figlia sia linguisticamente sia culturalmente. Quindi, anche ipotizzando un inserimento più naturale e graduale possibile (a partire dalla materna), mi sembra un percorso piuttosto azzardato… Sarei molto felice di sentire la tua opinione. Nel nostro caso, la scuola svizzera potrebbe funzionare? Oppure il rischio è troppo elevato?

        Viktoria

        1. Cara Viktoria,
          rispondo in ordine sparso alle tue riflessioni e alle tue domande.
          Prima di tutto consentimi di esprimere un parere “sentimentale” come dici tu, sul russo. Il russo è la tua lingua, è la lingua della tua famiglia di origine e – utile o non utile che sia (ma di certo è più utile del gaelico..) – sarebbe un peccato anche abbandonarlo a 6 anni! Per cui se ti va e se ti viene naturale secondo me tu dovresti continuare a parlare russo a tua figlia tutta la vita, anche qualora lei iniziasse a risponderti in italiano.
          Anzi, ti dirò di più, che è un peccato non insegnare a tua figlia a leggere o, almeno, a “decodificare” il russo scritto.
          Sono una grande amante di Tolstoji e del romanzo russo in generale e mi pare proprio un peccato perdere questo contatto con delle radici tanto importanti, specialmente perché, con il russo, c’è l’ostacolo del cirillico e quindi un minimo di alfabetizzazione servirebbe farla da piccoli, magari fra i 6 e gli 8 anni.
          Se tu leggerai ad alta voce a tua figlia con costanza (e senza costrizione) e se le farai capire il valore emotivo che questa lingua ha per te, penso che lei, qualsiasi scuola farà, ad un certo punto ti chiederà “mamma, cosa vuol dire questo?” puntando il dito sulle parole in russo.
          Magari non leggerà mai Puskin, ma vuoi mettere la possibilità, in futuro, di viaggiare per la Russia e saper leggere le indicazioni stradali?
          Ah, e poi io ho scoperto da pochissimo il fantastico cartone animato russo “Masha and the bear”! Bellissimo! Lo propongo a mio figlio in inglese, da youtube…ma piace anche alle figlie adolescenti e a noi genitori, è così ironico!

          Circa la scuola svizzera (mi scuso con i non romani per questo dettaglio sulle scuole della Capitale…) ti dico che ho avuto il tuo stesso dubbio. Pare sia un’ottima scuola, anche per me sarebbe stata non scomoda. Per un attimo ho pensato che potevo crescerlo con tre lingue: inglese e italiano in casa e tedesco a scuola. Tra l’altro abbiamo vari famigliari che vivono in Germania e mio marito ha studiato e studia tedesco, anche se mi dice che è tanto difficile.

          Mentre mi arrovellavo ad un certo punto, mi sono resa conto di una serie di cose:
          – nessuno di noi sarebbe stato in grado di seguire il bambino con i compiti in tedesco;
          – conosciamo poco la Svizzera e il suo sistema di istruzione (che pure è buono);
          – sarebbe stata una decisione presa con la testa e non con il cuore.

          Il tedesco è una lingua elegante ed affascinante, con i suoi casi e le sue parole composte. Magari mi piacerebbe studiarla (cosa che avevo iniziato a fare a 20 anni..).
          Ma che relazione emotiva avremmo avuto noi con quel mondo? Temo nessuna. E conta che, nel nostro caso, si trattava di introdurre la terza lingua e non la quarta o la quinta…

          Io, fossi in voi, ci penserei bene: quando uno sceglie una scuola internazionale per il proprio figlio sceglie anche una lingua, una cultura, un sistema di valori che afferisce a quella società.
          Se a te piace quello inglese è a quello che dovresti fare riferimento (e dunque, forse, ad una scuola inglese e non bilingue italiano – inglese).

          Insomma, io penso che, con lingue e culture, la categoria dell’utilità non basta.
          Ci deve essere una forma di “risonanza” tra la famiglia di origine e la cultura cui la scuola afferisce (se questa “risonanza” tuo marito ce l’ha allora dovete trovare un accordo).
          Certo, la scuola svizzera costa meno di quella inglese, e questo non va dimenticato.

          Queste sono le mie riflessioni; spero che altre se ne aggiungano, da parte di chi ci legge. Non sono decisioni facili.

          1. Cara Elisabetta,
            Sono d’accordo con te (e con Ama!) che “abbandonare” il russo a 6 anni è un peccato, ma credo di non avere scelta. Con l’inizio degli elementari (qualunque fosse la scuola da noi scelta, svizzera, inglese o bilingue italiano-inglese), voglio dare la priorità all’inglese. Lavoro a tempo pieno, e portare avanti entrambe le lingue per me sarebbe difficile. Vorrei leggere a mia figlia “Alice nel paese delle meraviglie”, “Le avventure di Tom Sawyer” e tanti altri meravigliosi libri inglesi che, secondo me, perdono una parte di fascino quando tradotti. Poi, di tanto in tanto, spero di leggerle anche qualcosa in russo… delegano però la maggior parte del lavoro ai miei genitori (che purtroppo non stanno in Italia). Poi, per quanto riguarda l’inglese, a 6-8 anni bisognerebbe lavorare molto sullo spelling e non me lo sento proprio di aggiungere nel contempo anche l’alfabeto cirillico. Almeno questo è il mio pensiero per il momento. Sono facilitata dal fatto che con l’inglese ho un buon rapporto, è il mio primo amore nel campo delle lingue e ancora oggi, dopo tanti anni vissuti in Italia, se posso scegliere preferisco sempre leggere un libro o un articolo in inglese piuttosto che in italiano (il giornalismo britannico rimane per me un modello di comunicazione).
            Detto ciò, volevo aggiungere qualche riflessione sulla scuola inglese. La scuola inglese sarebbe perfetta per mia figlia. La sceglierei mille volte per la lingua, per la cultura, per il sistema di valori. La relazione emotiva non mi manca. Sarebbe una decisione presa con la testa e allo stesso tempo con il cuore. Sono andata a visitare la St George in via Nomentana quando ero ancora incinta. Ho fatto la pre-iscrizione (inserendo Anna nella waiting list per gli elementari) quando mia figlia era appena nata. E tuttavia, credo che alla fine dovrò rinunciare. E non solo per la retta che, arrivando al liceo, diventa davvero impegnativa (e alla retta poi sicuramente si deve aggiungere tutta una serie di cose). Ma quello che mi preoccupa veramente è il risvolto sociale. Iscrivere mia figlia ad una scuola frequentata per lo più da figli di ambasciatori e amministratori delegati mi fa sentire a disagio. Non vorrei che Anna aspettasse un pony in regalo per il suo ottavo compleanno perché tutte le sue amichette l’hanno già avuto. Vorrei sentire la tua opinione al riguardo, Elisabetta, sono decisioni molto difficile e un errore potrebbe costare veramente caro.
            D’altro canto, anche Ama – che ha riportato qua la sua esperienza sulla scuola svizzera, e la ringrazio per questo – mi conferma che è un ambiente serio senza snobismo. E infatti io personalmente (ho fatto pre-iscrizione anche per la materna della scuola svizzera, non vorrei che alla fine ci fosse un problema di posto!) ho visto lì una mamma che era andata a riprendere un figlio con le scarpe da doccia. Non sceglierei mai questo tipo di calzatura per girare su Nomentana, ma una mamma che lo fa mi risulta simpatica a priori.
            Grazie e un saluto a tutti,
            Viktoria
            P.S. Masha e Orso è un cartone bellissimo, noi lo vediamo in russo!

          2. Viktoria, le preoccupazioni circa l’ambiente troppo privilegiato le comprendo e non le trovo sbagliate, tuttavia, nel caso di tua figlia che ha solo 2 anni sono premature. Non è detto che poi le farai fare tutto il percorso nella stessa scuola, nè puoi prevedere come si svilupperà il suo carattere, che amicizie avrà, come sarà la sua classe e così via.
            Ora scegli il sistema di istruzione che ti convince di più, dopo essertelo studiato, e la scuola che ti convince di più per la scuola dell’infanzia e per la primaria. Fino a 10 anni certe scelte non sono definitive: puoi sempre trovare una way out, magari persino facendole fare l’esame da privatista per rientrare nella scuola italiana….dico per dire

    2. Ciao Viktoria, se mai rivedrai questo tuo post, ti vorrei dire una cosa. NON ABBANDONARE IL RUSSO!! Io sono italiana madrelingua e ho 25 anni . Da pochi anni ho imparato a parlare in inglese e spagnolo, due lingue che avendo l’alfabeto simile all’italiano, mi sono state piuttosto semplici da imparare e capire, nonchè memorizzare e accrescere sempre di più il mio vocabolario. Lo spagnolo l’ho imparato guardando giornalmente film in lingua e studiando la grammatica, poi ho partecipato al progetto Erasmus,e adesso vivo in Spagna da 10 mesi, ma presto ritornerò in Italia. Questo per dirti che non c’è un limite per apprendere le lingue, basta impegno e volontà. A mio parere non bisogna sovraccaricare una bambina così piccola, e così tanto, credo che 3 lingue fatte bene, siano meglio di 4 o più fatte male! Perchè imparare il tedesco a scuola, quando hai tua madre a casa che parla russo?? E trovo giusti i tuoi dubbi, sul fatto di mettere una bambina italiana/russa in una scuola tedesca o inglese, dove non apprenderà nulla del suo paese natale. Ai bambini bisogna anche dare una base, un punto di appoggio, sarà poi lei da adulta a scegliere, potrebbe poi anche voler diventare buddista e andare a vivere in India! Ma tra le due, io comunque preferirei quella inglese, in modo tale da non dover abbondonare il russo per il tedesco!
      Non solo, ai bambini bisogna dare degli svaghi, fatele fare sport, o magari vuole studiare musica o arte! Avrà tutto il tempo all’Università (se vorrà farla) di impegnarsi.
      Io da un po’ di tempo penso al russo…vorrei impararlo, è una lingua che mi affascina molto, ma l’alfabeto cirillico è difficilissimo!! E’ completamente diverso dal mio, e ti faccio i miei più sinceri complimenti per aver imparato l’italiano e per saper scrivere così bene, io non so se avrò mai la stessa fortuna con il russo!
      Non so se lo sai, ma la nostra memoria registra meglio le informazioni se queste si susseguono ad intervalli regolari nel tempo, questo che significa, che una parola che leggiamo oggi, possibilmente domani l’avremo già dimenticata, mentre una parola vista e rivista per mesi, la ricorderemo anche fra 10 anni. Questo per dirti che, anche se poco, dovresti a mio parere, permettere a tua figlia di familiarizzare con il cirillico, anche un paio di volte alla settimana per anni, non le sarà di alcun peso e sono sicura che quando avrà 15 anni e saprà esprimersi in una lingua “diversa”, che non sia il solito inglese, ti ringrazierà, ne sono sicurissima. Conosco una ragazza il cui padre è Slavo, e si domanda sempre perché suo padre non abbia voluto insegnarli lo sloveno, le sarebbe piaciuto moltissimo!!E’ italiana e parla inglese, studia in Inghilterra, e mi ricorda sempre quanto le dispaccia non saper dire una parola in sloveno.
      Per quanto riguarda la scuola, non credo che la scelte delle elementari possano avere un peso influente sulla sua vita. Mio padre con la terza media si è creato un intera azienda da zero, si è poi diplomato da adulto. Io viaggio, ho imparato le lingue e continuo a studiare, avendo fatto tutto il ciclo di studi in scuole pubbliche, questo per dirti che la voglia di studiare e apprendere dipenderà tutto da tua figlia, la scuola di prestigio non le servirà se non avrà voglia di studiare, saranno stati soldi buttati. La butto lì, e se avrà voglia di aprire una scuola di danza? per fare un esempio.
      Se comunque la vuoi iscrivere, il modo che lei non cresca viziata o peggio, che si possa sentire inferiore agli altri per una questione di soldi, tutto dipende da te e tuo marito e da come la educherete.
      Inoltre sono sicura che avrà una predisposizione naturale verso la Russia e la tua cultura, in qualche modo si sentirà sempre parte di essa, e non è giusto privarla della possibilità di “toccare con mano” questa parte di sé. Come ti hanno già detto, potrebbe ritrovarsi in viaggio in Russia, e non poter nemmeno leggere un cartello stradale, scrivere a nonni e parenti vari. Io ti consiglierei una scuola normale(che sia pubblica o privata) dove studiare italiano e inglese e farle studiare tu il russo. Mio zio, ha imparato da solo il tedesco andando a vivere in Germania per lavoro. Ho amici che sapevano dire solo “Hello! “, parlare fluentemente inglese dopo 1 anno di Erasmus in Inghilterra…Io sono Biologa, e ho imparato da me altre 2 lingue per il mio solo piacere personale.
      Impare il cirillico da adulta? E’ un impresa veramente difficile, perchè farla disperare da adulta quando potrebbe impararlo senza il minimo sforzo da piccola? E perché il tedesco dovrebbe essere migliore del russo? Che senso ha abbandonare la grammatica russa? Lo capirà oralmente, ma non saprà né scriverlo né leggerlo, lo trovo insensato.

      ps: non ho figli, sono su questo forum perché ho una cugina di 2 anni, e mia zia mi ha chiesto di insegnare alla mia cuginetta un poco di spagnolo / inglese. Volevo sapere come comportarmi.

      1. Sono sostanzialmente d’accordo con Irene. Anche se non è facile anch’io non lascerei perdere il Russo. Non farei come il papà Sloveno ( no Slavo che non significa nulla) , ma cercherei il più possibile di parlargli la lingua “famigliare”. Anche noi in famiglia coltiviamo le tre lingue : con molte difficoltà , ma con leggerezza.

  6. Mi sovrappongo completamente all’opinione di Elisabetta. Non mollerei la lingua (della) madre neanche fosse un dialetto della Papua New Guinea, men che meno il russo.

    Sulla scuola svizzera posso dirti che vedevo i ragazzi in età da liceo quando frequentavo il Goethe Institut con cui condividevano le aule. L’impressione è stata positiva: zero snobbismi, seri ma non irreggimentati, gruppi numericamente contenuti. Non ho info approfondite sui programmi ecc., so solo che alle elementari introducono le varie lingue gradualmente.
    Prima di escluderla, un colloquio e una visita la farei.
    Il tedesco più che difficile, è “ostico” per chi proviene dalle lingue romanze.
    Ciao a tutti.

    Ama

  7. scusate vorrei prendere dei libricini facili per insegnare l’inglese a mia flglia, so che ce ne sono alcuni che usano anche le scuole di inglese, ne sapete qualcosa? grazie

    1. Lavinia, posso suggerirti due titoli?
      “Stick man” degli autori del Gruffalo, J. Donaldson e A, Scheffler.
      “The fox in the dark” di A.Green e D.Allwright.
      Sono albi illustrati adatti ai 6 anni.

      Ama

  8. Perbacco! La “standard reference”è una sola: la serie dell’Oxford reading tree con le avventure di Biff, Chip e Kipper. Sono libretti graduati che coprono dalla nursery (sì comincia col libro-nido, senza parole) alla primary. A Roma, se vuoi vederli, lì trovi alla Angloamerican di via della Vite; poi sì ordina tutto via web. Avvertenza: sono pensati per l’inglese come prima lingua, non come lingua straniera. Provati dai miei piccoli a scuola: successo garantito!

    1. Lavinia, io uso sempre I libri della Oxford owl. Sono molto carini divisi per età e sul sito ci sono 250 free ebook.

  9. Vorrei essere impertinente e ripetere a Viktoria una considerazione già in parte dà me esposta. Non scarti una scuola per il solo fatto che è frequentata dà persone altolocate (o presunte tali: ci sono anche l’ambasciatore pontevedrino e l’amministratore delegato in amministrazione controllata…).
    Intendiamoci: se sì percepisce che dietro la confezione di lusso e il cartellino del prezzo impegnativo c’è il vuoto, bene sì fa a evitare.
    Ma negli altri casi, lo dico provocatoriamente, non facciamo razzismo al contrario.
    In certi ambienti, sì possono anche fare amicizie che rimangono, e quanto alle disuguaglianze, è un discorso che comunque coi figli (e forse ancor più con noi stessi) va affrontato. Altrimenti, sempre a titolo di paradosso, non bisognerebbe nemmeno passare davanti a certe vetrine.
    Personalmente, per quel che può valere, ho ricavato un grosso incentivo a studiare dal mio desiderio di possedere “l’impermeabile come quello di Bogart”, che per me, quando ero ragazzo, era decisamente fuori portata, almeno quanto il pony cui accennavi…

    1. Caro Francesco,
      Non avevo riflettuto su questo aspetto e ti ringrazio per uno spunto interessante. Personalmente non ci vedo niente di male nel desiderare ad avere le cose belle, anzi, sono d’accordo con te che tale desiderio potrebbe dare un maggior stimolo per lo studio. In effetti, spesso sono proprio “i poveri” ad avere più desideri, e di conseguenza l’ambizione, la motivazione di lavorare sodo, di avere successo nella vita, mentre “i ricchi” giocano in difesa perché in fondo tante cose che potrebbero desiderare li hanno già.
      D’altro canto, ti riporto l’esperienza di un mio amico che, pur appartenendo ad una famiglia benestante ma non propriamente ricca, ha frequentato San Giuseppe di Merode a piazza di Spagna. Ricorda gli anni passati là come un incubo perché credo che la disuguaglianza – vera o percepita che sia – l’ha fatto soffrire parecchio, e ti assicuro che lui è una persona per niente superficiale e meno attaccata ai beni materiali che io conosca. Alla fine ha implorato i genitori ad iscriverlo al liceo pubblico e lì si è trovato decisamente meglio…

  10. Cara Viktoria,
    la migliore amica di mia figlia (6 anni) frequenta la scuola svizzera e ti confermo che l’ambiente è proprio come dici tu, easy. Ti avverto però che suo fratello, che fa la quinta elementare, non conosce quasi per niente l’inglese. La madre, madreingua tedesca, che è una delle mie amiche più care, mi ha confermato che l’inglese è piuttosto trascurato.
    Quanto al R. George, un’altra mia cara amica manda il figlio lì e ti assicuro che è una delle persone meno snob che conosco: intelligente, simpatica, fortissima.
    E poi la mia esperienza. Alla materna, ho mandato mia figlia in una scuola privata dove contano molto gli status symbol (macchinone, borsa firmata ecc). Ebbene, ti assicuro che ho trovato anche tante mamme in gamba e di spessore che mandavano, come me, i figli in quella scuola solo per l’offerta formativa e adesso anche se mia figlia frequenta una scuola pubblica, alcune di quelle mamme ancora ho il piacere di vederle.

    1. Cara Lavinia,
      Grazie per la risposta e per le informazioni utili che sicuramente prenderò in considerazione. A questo punto, dovrei cercare di capire se questa trascuratezza nel insegnamento dell’inglese contraddistingue solo gli elementari della scuola svizzera oppure vale per tutto il percorso scolastico. Sul sito della scuola è indicato che gli allievi hanno la possibilità di sostenere Cambridge Advanced Exam livello C1 in 5° liceo, però me ne rendo perfettamente conto che “la possibilità di sostenere” un esame non necessariamente significa che lo fanno tutti e con facilità. Forse potrei chiedere alla scuola se hanno qualche dato statistico al riguardo…
      Lavinia, se mi permetti, approfitto per fare un’altra domanda su scuola svizzera, visto che ne hai la conoscenza quasi diretta. Sarei proprio curiosa di sapere quanti sono – grosso modo ovviamente – gli alunni che hanno entrambi i genitori non madrelingua tedesco e se esiste una correlazione tra il rendimento scolastico dei bambini e la lingua parlata a casa.
      Un saluto
      Viktoria

  11. Buongiorno Elisabetta.
    Le chiedo cortesemente una sua opinione.
    Mia figlia deve iniziare ora a settembre la scuola dell’infanzia (compie 3 anni a novembre) ed ovviamente era già iscritta in una scuola privata paritaria.Solo ora, sotto data, ho saputo che in una scuola dell’infanzia paritaria abbastanza vicino hanno attivato una sezione di bilinguismo (inglese) che prevede 30 ore di presenza di un’insegnante madrelingua inglese, (6 ore/giorno) e per 35 ore la compresenza di un’insegnante madrelingua italiana, ricreando così un ambiente di bilinguismo nell’arco della giornata, per 5 giorni/settimana. Io e mia moglie siamo molto tentati dal mandarla presso questa scuola, sapendo bene l’importanza delle lingue e il beneficio che se ne può trarre più precoce è l’esposizione alla L2.
    Ho chiesto alla scuola se ovviamente l’insegnante fosse madrelingua inglese e mi hanno detto di sì. Lavora per una cooperativa e ha già avuto esperienze d’insegnamento in classi di bilinguismo. E’ una ragazza con genitori di origini africane, cresciuta tra Inghilterra e Italia e in Italia ha anche studiato. Il dubbio che ho, e mi rendo conto che sembra sciocco dirlo, è di non aver capito fino in fondo quando effettivamente sia madrelingua l’insegnante, cioè se sia una madrelingua “vera”, cosa che è fondamentale per una scuola di bilinguismo. Ciò, unito a una gestione un pò pasticciata di questa scuola che abbiamo potuto vedere in questi mesi nell’organizzare sia questo corso che le altre sezioni “normali”, mi lascia il dubbio (non di certo sulla validità del bilinguismo).
    Secondo lei, è possibile richiedere alla scuola il CV dell’insegnante? Le sembra un dubbio immotivato il mio?
    Grazie

    1. Omar, Francesco ti ha risposto esattamente quello che avrei detto anche io. Il dubbio che hai non è immotivato anche se la scuola non è tenuta a farti vedere il CV dell’insegnante (che poi non penso sarà abilitata, visto che lavora in compresenza con la docente italiana titolare, potrebbe anche solo essere una “lettrice” bilingue che ha alcune ore o anche anni di supplenze alle sue spalle…non so). Ad ogni modo il CV in sè a poco serve in questo caso: per valutare se è una persona carina e se parla fluentemente l’inglese l’unica strada e chiedere di poterla incontrare…

  12. Caro Omar, il tuo quesito, pur rivolto ad Elisabetta, e’ pubblicato, ed e’ per questo che ho l’impertinenza di risponderti. Scusa se sono politicamente scorretto, ma mi pare che chiedere il curriculum serva a poco: da un lato, faresti partire il rapporto con una nota di fondamentale sfiducia; dall’altro, chi ti garantisce che il curriculum sia genuino? ci sono molti modi di abbellirlo, anche senza dir bugie vere e proprie..
    Io ti consiglierei invece di andare a conoscere di persona lo staff della scuola in generale e quella docente in particolare. Parlale in inglese, capirai subito come stanno le cose, e vedrai se, al di la’ di tutto, ti sembra una persona valida, con cui il tuo bimbo puo’ star bene. Insomma, chiediti in stile americano: “comprerei un’auto usata da questa persona?” Se devo essere sincero, piu’ che l’inglese della docente mi preoccupa la “gestione pasticciata” di cui pure parli: prima di iscrivere il giovane, parla apertamente, e se hai perplessita’ chiedi. Come ho scritto anche in altre occasioni, qualunque buona scuola e’ trasparente, e dal modo stesso in cui ti risponde puoi capire molto. In bocca al lupo, e se ti serve qualcosa di altro io sono qui.

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