All’inizio degli anni Ottanta del ‘900, il terzo canale della Rai mandò in onda una trasmissione televisiva dal titolo “Vent’anni al Duemila”.
In quella trasmissione, si chiedeva ad alcune importanti personalità del mondo culturale, politico, e scientifico di formulare previsioni sul futuro.
Furono invitati, tra gli altri, il filosofo Norberto Bobbio, il semiologo ed esperto di comunicazione Umberto Eco, la scienziata Rita Levi Montalcini, il critico d’arte Giulio Carlo Argan, lo psicanalista Cesare Musatti, gli scrittori Andrea Zanzotto, Alberto Arbasino ed Italo Calvino.
Il 2000 era solo un ventennio più in là, eppure quella data, per via del cambio contemporaneo di secolo e di milennio, appariva allora esoticamente lontana.
Io ero poco più che bambina e quel programma era decisamente tarato su un pubblico adulto, non saprei proprio spiegare perché produsse su di me un’impressione fortissima, forse perché ero una lettrice di Italo Calvino. Avevo tra i dieci e gli undici anni e, all’epoca, a parte Calvino ed Eco, gli altri nomi mi erano del tutto sconosciuti.
Da quella trasmissione fu poi edito un libro, curato da Alberto Sinigaglia (Vent’anni al Duemila, Roma, ERI-Edizioni Rai, 1982) che ho la fortuna di possedere e che è interessante rileggere oggi, ora che l’anno 2000 è alle nostre spalle.
Alcune di quelle previsioni si sono rivelate esatte, alcune sbagliate o imprecise. Altre, ancora, sono sempre valide nella loro astrattezza.
Tra quelle esatte vanno annoverate quelle avanzate da Umberto Eco che, sia pur con il lessico di quegli anni, già prevedeva le conseguenze della diffusione dei personal computer (“videoterminali”), della posta elettronica, dei forum (“a una fase successiva di sviluppo potrò intrattenermi con i miei corrispondenti a un altro video terminale”), di internet (denominato “cervello elettronico”) e della rarefazione dei contatti umani a fronte della moltiplicazione di quelli digitali (“avremo sempre più individui isolati di fronte a dei fantasmi elettronici”). Eco intravedeva anche il futuro dell’istruzione, nell’educazione a distanza (oggi parleremmo di MOOC) di cui era pioniera, in Inghilterra, la Open University e parlava della diffusione dell’inglese (“è una lingua che ha un numero di vocaboli molto superiore all’italiano e a tante altre lingue, e una rapidità enorme nel coniare nuovi vocaboli”).
Al termine di ciascuna intervista, il giornalista poneva a tutti la stessa domanda: chiedeva ai suoi ospiti di indicare tre chiavi, tre talismani per il futuro, tre competenze fondamentali da possedere o da trasmettere, che sarebbero state importanti nel 2000.
Era una domanda aperta e, per certi versi, poteva essere anche una domanda idiota; tuttavia, avendola posta ad alcuni degli intellettuali più noti di quel decennio, le risposte furono varie ed interessanti.
Alcuni degli studiosi coinvolti risposero enumerando le competenze che avrebbero dovuto possedere le persone nel 2000; altri dettero risposte più simboliche; altri, ancora, fecero previsioni nel loro campo di indagine circa i problemi o le soluzioni ai problemi che avrebbero caratterizzato la nuova epoca. Pochi, infine, si sottrassero alla domanda.
Quella di Calvino fu la risposta più sorprendente nella sua apparente semplicità. L’intervistatore chiese allo scrittore cosa sarebbe servito nel 2000. Calvino, con la sua caratteristica parlata lenta, a tratti quasi infantile, lo sguardo perduto in cose lontane (che uno studioso di programmazione neuro-linguistica potrebbe divertirsi ad analizzare), così rispose:
- primo: “Imparare molte poesie a memoria; da bambini, da giovani, anche da vecchi. Fanno compagnia, uno se le ripete mentalmente…”;
- secondo: “Fare delle operazioni di aritmetica. A mano. Fare delle divisioni a più cifre. Estrarre qualche radice quadrata” questo per educarsi alla precisione, al rigore;
- terzo: “ricordarsi sempre che tutto quello che abbiamo può esserci tolto da un momento all’altro”. Chissà a cosa pensava lo scrittore nel rispondere. La seconda guerra mondiale e il nazismo allora sembravano dietro l’angolo, se ne portavano ancora le ferite. Io ero una ragazzina impressionabile, che aveva letto subito il Diario di Anna Frank e troppo presto tutti i romanzi e i racconti di Primo Levi. A me quelle parole arrivarono come un pugno nello stomaco; mi sembrò, all’epoca, di sapere esattamente a cosa si riferiva Calvino con quella frase.
La memoria – madre di tutte le muse – il rigore, la consapevolezza di poter perdere tutto: queste, per Italo Calvino, le qualità ideali da possedere nel futuro (in un futuro che è già passato).
Qualche anno fa, per puro caso, sono riuscita a rivedere uno spezzone dell’intervista a Calvino. Sembra passato un secolo e più: riprese lunghe e fisse, tempi televisivi oggi impensabili. La distanza con il montaggio di certi programmi attuali (come quello della trasmissione “X Factor”, ad esempio) è incolmabile.
Mi piacerebbe vedere, oggi, un programma del genere, un programma nel quale chiedere a dieci intellettuali del nostro tempo, quali sono le competenze chiave per il futuro; lo immagino condotto da Massimo Bernardini o da Gianni Riotta, ma lo vorrei in prima serata, sulla RAI e non relegato su Rai Storia (altrimenti lo vedremmo in pochi).
Ecco, un genitore deve porsi queste stesse domande. Cosa trasmettere? Quali valori o saperi saranno fondamentali? Cosa crediamo possa servire in futuro a noi, ai nostri figli e ai loro figli?
Questo esercizio proiettivo tocca il problema intrinseco dell’educazione, dal punto di vista dei genitori e degli educatori. Il problema è che noi educhiamo oggi chi vivrà domani e, quindi, è come se equipaggiassimo i nostri figli di capacità e conoscenze che, solo in parte, saranno utili, necessarie o adatte al loro futuro.
Educare oggi chi vivrà domani è sempre una sfida. Non siamo in grado di prevedere in tutto e per tutto di quali abilità e di quali conoscenze avranno bisogno i nostri figli per il resto della loro vita; possiamo però provarci. Alcune delle conoscenze che impartiremo o dei valori che trasmetteremo saranno loro utili nel corso della vita. Altri saranno inutili perché obsoleti o, addirittura, controproducenti.
In secondo luogo, perché l’educazione non è solo l’acquisizione di abilità e competenze ma è intessuta anche di cose solo apparentemente inutili come, ad esempio, la consapevolezza della propria storia, della propria identità, individuale e collettiva. Essere educati o istruiti è anche avere il senso delle cose da cui uno viene, senza sapere quali saranno quelle verso le quali uno va.
I nostri figli cresceranno in un mondo molto diverso dal nostro. Quali potrebbero essere le chiavi per il futuro?
La storia – antica o recente che sia – conta innumerevoli previsioni sbagliate: si credeva il Titanic inaffondabile e il computer un elaboratore per pochi eletti.
E’ vero che a far previsioni si può sbagliare, ma a non farne non ci si orienta, ci si lascia vivere, si procede come brancolando nel buio.
Allora lancio una sfida a chi mi legge, stabiliamo un orizzonte temporale non troppo lontano. Io propongo il 2050. Quali sono, secondo voi, dal vostro angolo visuale (di genitori o educatori ma anche di professionisti in un certo campo o, semplicemente di persone) le tre chiavi per il 2050? Di quali competenze, capacità o conoscenze bisogna dotarsi? Quali sono le cose bisognerà sapere o saper fare, avere o essere?
Lascio questa domanda volutamente aperta, forse troppo; sono curiosa delle vostre risposte.
Chi crede di avere una risposta lasci pure un commento. In palio non c’è niente, ma qualcuno di noi potrebbe pure azzeccare! E, magari, anche se non siamo Italo Calvino o Umberto Eco, sarà interessante rileggerci tra trent’anni.
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Mi sento la persona meno adatta per fare previsioni sul futuro dal punto di vista tecnologico, come ha saputo fare, mirabilmente, Umberto Eco. Sono più affine a quanto scritto da Calvino.
Comunque ecco le mie tre:
1) diventare almeno bilingue. Non basta sapere la lingua n 2 abbastanza bene, ma perfettamente bene.
2) non dimenticare la lingua n 1, l’italiano. La ricchezza, la musicalità, la bellezza della nostra lingua madre è stata ammirata da molti. Le nuove generazioni non tralascino la capacità di usare i congiuntivi, non limitino il loro vocabolario e ne siano orgogliosi.
3) Recuperare un po’ di sfiducia nella tecnica. Provocatoriamente voglio dire che dobbiamo rivalutare il potere catartico delle materie considerate meno utili. Per anni la letteratura e le arti figurative hanno avuto un ruolo importante per la nostra crescita personale. In esse ci siamo rispecchiati, hanno contribuito alla nostra formazione, hanno saputo dar forma a pensieri ed emozioni altrimenti indecifrabili. Non le abbandoniamo. E non le sottovalutiamo.
Lavinia
Volevo fare un bel discorso argomentato, tipo tema di liceo, ma mi sono accorto che non ne sono capace: sono troppo politicamente scorretto. E del resto, coi temi scontentavo spesso i docenti…
Vi propongo allora un gioco, il gioco dei contrari. Andate su youtube, cercate la canzone “Italiano medio” degli Articolo 31, fate il contrario di tutto cio’ che dice, e otterrete le chiavi -un mazzo intero”- per il futuro.
Vi propongo le chiavi per il futuro di Howard Gardner , le sue cinque chiavi per aprire il futuro: la padronanza delle maggiori teorie e interpretazioni del mondo (comprese scienza, matematica, storia); la capacità di integrare idee e conoscenze di diverse aree disciplinari in un insieme coerente; la capacità di affrontare la soluzione di problemi nuovi; la consapevolezza delle differenze tra uomini e culture diverse; la consapevole accettazione della propria responsabilità personale e generale.
Per i miei figli punto su bi-trilunguismo (con l’inglese principe), sullo sviluppo sociale ed emotivo ( che crescano soprattutto come persone) , e grande attenzione a padroneggiare la tecnologia digitale.
Benissimo Howard Gardner, ci potresti citare l’opera? Grazie!
Cinque chiavi per il futuro – 19 ott 2010
di Howard Gardner (Autore), E. Dornetti (Traduttore). Feltrinelli
Five Minds for the Future
By Professor Howard Gardner – COPYRIGHT Howard Gardner 2008
Note: This paper was given as an oral presentation at the Ecolint Meeting in
Geneva, January 13, 2008. It has been edited only in the interest of clarity.
Introduction:
I am an admirer of the International Baccalaureate. I consider IBO the source of strength
in education, because I believe the International Baccalaureate is more forward looking,
more globally oriented, and less faddish than other educational enterprises.
Caro Daniele, è per caso che ci hai citato quel libro, vero? 🙂 🙂
Ho scritto questo post da poco ed ora se ne è andato anche Umberto Eco, che prese parte alla trasmissione “Vent’anni al duemila”. Ieri sera lo rivedevo su Rai Sat Storia nella trasmissione di Riotta “Eco della Storia”.
Mi piace ricordarlo oggi, con una delle sue citazioni forse più note, quando diceva che chi non legge è masochista:
“Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro”
Umberto Eco
Alla mia età 68 anni non ho molta fiducia che riuscirò a leggere queste mia parole nel 2050!!!
Le tre cose che credo o vorrei tanto saranno diverse sono:
1) avremo tutti maggiore rispetto per l’ambiente e cureremo di più la ns terra
2) i fabbricanti di armi rinunceranno ai loro guadagni sporchi e magari dedicheranno le loro energie a fabbricare oggetti utili all’umanità
3) il petrolio non sarà più la ns fonte di energia primaria e finalmente potremo usare il mare non solo come fonte di energia ma anche per dissetare il terzo mondo
Grazie Gabriella, delle tre cose temo che la seconda sia la più difficile da realizzare, sulla terza ripongo qualche speranza: le tecnologie già ci sono per l’una e per l’altra cosa ma sono troppo costose. Quando saranno a buon mercato è tutto da vedere