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Educazione, orientamento sessuale e genere: perché è meglio non avere pregiudizi

educazioneglobale genere e pregiudiziAlcuni anni fa, nel corso di un viaggio tra Stati Uniti e Canada, siamo stati coinvolti – in due giornate successive – nel Gay Pride.

“Coinvolti” è termine errato: il giorno del Gay Pride della grande mela eravamo fuori città e, tornando, non abbiamo capito come mai vi fosse tanto traffico e molte strade chiuse, tra cui la nostra strada nel Village. Era appena finito il Gay Pride, ovviamente, come apprendemmo successivamente.

Al nostro arrivo a Toronto i nostri amici canadesi ci dissero che il Gay Pride era stato festeggiato anche lì e che loro l’avevano “sentito” molto quell’anno perché la figlia minore, all’epoca all’asilo nido, aveva due amichette, rispettivamente una figlie di due mamme e l’altra figlia di due papà.

Il mio primo pensiero fu: “beati voi!”. Poter vivere queste situazioni da bambino è un privilegio: si cresce senza pregiudizi, in una società più libera e più tollerante verso le diversità (che in Canada abbondano).

In effetti, la società canadese è un campione di tolleranza. Ricordo che la nostra amica – mentre le chiedevo delle reazioni degli altri genitori a questa presenza – mi sorrideva quasi sorpresa. “Stai scherzando, vero?  Per noi queste differenze tra famiglie sono il meno! Lo sai cosa si dicono due bambini canadesi che si incontrano per la prima volta al parco giochi?

No, non lo sapevo.

“Bene, la prima domanda che si pongono reciprocamente non è ‘come ti chiami’ ma è ‘tu che lingua parli a casa?’. “Qui il multilinguismo e il multiculturalismo. sono così comuni che questa è la prima domanda che ci si fa! Noi canadesi abbiamo problemi di identità nazionale, figurati se ci facciamo altri problemi!

In buona parte dell’Italia l’aria che si respira è totalmente diversa. Ho ripensato con molta tristezza al racconto di un’amica che era stata ad una cena dei genitori (rectius: delle mamme) della classe della figlia che si lamentavano perché un padre della scuola aveva cambiato sesso, con grande e generalizzato scandalo della comunità scolastica. Si lamentavano chiedendosi come mai una tal “disgrazia” fosse capitata così vicina a loro e ai loro figli.

Peccato non fosse successo in classe di uno dei miei figli. Non intendo fare della persona che ha cambiato sesso un fenomeno da carrozzone, questa persona avrà avuto i suoi motivi e sarà stato un percorso difficile e forse doloroso, ma è indubbio che – per chi gli sta intorno – un evento così privato può essere, oltre che motivo di confusione, anche un’occasione unica di ampliare la conoscenza del mondo, della natura umana e di “normalizzare” o, comunque, comprendere una vicenda rara.

In natura si nasce maschi o femmine; l’ermafroditismo è raro. Tuttavia non vi è solo un modo per essere maschio o femmina. C’è anzitutto la questione dell’orientamento sessuale o affettivo (eterosessuale, omosessuale, bisessuale) ma vi è anche la questione di quanto ci si sente a proprio agio nell’appartenere al proprio genere. Ci sono maschi gay contenti di essere maschi ma effeminati nei modi, ci sono donne gay insospettabili, ci sono persone che vivono sin dall’infanzia la sensazione di appartenere al genere sbagliato.

In Inghilterra, verso la fine degli anni ’80, avevo fatto amicizia con un ragazzo bellissimo. Eravamo ad Oxford e stavamo nello stesso College, lui era un undergraduate di biologia e io, all’epoca, solo una visiting student di giurisprudenza. Passavo a prenderlo al suo dormitorio perché non era mai pronto e mi sedevo ai piedi della scala dove mi aspettavano attese senza fine perché Simon, questo il suo nome, stava ancora trafficando con matita e mascara.

Poi scendeva la scala con l’incedere di una star, faceva un gran sorriso e mi diceva, con tutta l’adorabile e arzigogolata britishness di cui era capace, che era dreadfully sorry e che il suo comportamento era stato inexcusable.

Finalmente uscivamo dall’austero college oxoniense e mi portava a certe feste gay molto esotiche che conosceva solo lui, dove non mancava mai qualche trans sovrappeso che avrebbe fatto la gioia di Fellini.

Qualche anno dopo, avevo preso l’abitudine di frequentare uno dei luoghi-culto della danza romana, dove seguivo una lezione di danza jazz.  Mi ero infilata in una  lezione di jazz avanzato perché mi era comoda come orario, ma la lezione, che era piena di piroette, di pas de bourrée, di giri in arabesque, presupponeva anni di danza classica che non avevo fatto: arrancavo dietro agli altri come potevo.

Nella classe però c’era, con mio grande sollievo, almeno una persona molto ma molto più imbranata di me. Questa persona più imbranata di me era visibilmente un uomo, ma indossava calze color carne su gambe magre e pelose, aveva un body azzurro e un gonnellino e portava in testa una parrucca di capelli biondi con frangetta che temevo potesse, prima o poi, volare dall’altra parte della sala al primo passo falso.

Vorrei chiarire che persino un tipo così, in quel contesto, avrebbe potuto passare inosservato se solo avesse saputo danzare. In quel centro di danza nel quartiere Flaminio passava allora (e forse passa ancora) tutto il variegato sottobosco dello spettacolo. Il solo frequentarlo era già uno spettacolo in sè. C’era un’atmosfera vibrante alla “Saranno Famosi“, scarpette da classica logore per l’uso e mostrate come trofei, corpi allungati a fare stretching in ogni corridoio, da scavalcare per raggiungere la sala e conquistare un posto davanti allo specchio.  V’erano certe note e scollacciate soubrette da varietà che si allenavano lì ogni pomeriggio, delle trans nello spogliatoio delle donne che ti spaventavano per la voce tonante e persino una star di film per adulti che avrebbe, di lì a poco, avuto uno spazio in televisione, sia pure in seconda serata, e che, malgrado tutto, era una delle persone più educate e cortesi che trovavo là dentro.  Sorrideva spesso ed era l’unica che non ti spostava la tua borsa di danza per mettere la sua e che ti chiedeva scusa se, inavvertitamente, ti dava un gomitata mentre ci si cambiava.  La sua morte fu prematura ed ebbe larghissima eco, perché,  nel frattempo, era diventata un personaggio pubblico. A me dispiacque, perché avevo serbato il ricordo della sua gentilezza.

A distanza di anni, ho spesso ripensato al travestito della lezione di danza jazz e riflettuto sul suo coraggio: non tanto il coraggio e la sfrontatezza con cui si presentava ad una lezione palesemente molto più difficile del suo livello, ma, soprattutto, il coraggio con cui indossava senza alcuna grazia o pretesa di grazia, degli abiti femminili.

Forse era il coraggio di chi, essendo più vecchio di noi, aveva conquistato una sua certa idea di libertà o d’identità.

Sana o malsana che fosse quell’identità, giusta o sbagliata, lui stava lì, al suo posto, nell’ultima fila, senza apparente arroganza né apparente esibizionismo. Non ho mai saputo nulla di lui, neanche se poi uscisse da lì in giacca e cravatta.

Chi ancora avesse pregiudizi nei confronti di cambia sesso dovrebbe leggere un libro che mi è stato prestato tempo fa da una collega economista. Nel leggerlo mi sono resa conto che delle persone che avevo incontrato grazie a Simon o del travestito che incontravo a danza, in fondo non sapevo proprio nulla: le ragioni, le esperienze, le motivazioni.

Il libro si chiama Crossing, ed è stato tradotto in italiano con il titolo di Passaggi.

Deirdre McCloskey, l’autrice di questo libro, è un’economista americana che ha superato i settanta anni ed è una delle massime teoriche del libero mercato. Alta e carismatica, McCloskey ha insegnato per quindici anni alla Università dell’Illinois di Chicago.

Perché un’economista scrive del cambio di sesso? E’ presto detto: senza voler nulla togliere alla sua carriera di economista, il fatto più notevole che la riguarda è che, sino a 52 anni, Deidre è stata un uomo (Donald, sposato con una donna e padre di due figli).

Insomma, Deirdre McCloskey ha vissuto per mezzo secolo nei panni di Donald McCloskey. Il suo non è uno studio economico ma un’autobiografia.

Ho letto con molto interesse Crossing qualche anno fa; è un libro un pò tirato per le lunghe, ma di una sincerità disarmante. Un memoir in cui un’intellettuale che racconta come ci si sente a nascere uomo e a diventare donna (passando anche per le fasi del travestitismo e della transessualità).

Nell’introduzione, Deirdre afferma: “se siete stati forestieri (mi) potete in qualche modo capire, perché il cambiamento di genere è molto simile a un viaggio in un paese straniero (…) Ho visitato la femminilità e ci sono rimasto. Benché abbia scoperto molti piaceri nell’essere donna che non mi sarei mai immaginato, e anche molti dolori, non è per questi che l’ho fatto: il punto non era fare il calcolo dei piaceri e dei dolori, il punto era chi io ero”.

Incontri così, che siano con un libro o con una persona, sono eventi per certi versi fortunati, di quelle fortune minori, ma che sono utili e che forse dovremmo augurarci di avere nelle vite dei nostri figli, se non altro per avere – noi e loro – meno pregiudizi. Se penso che i musulmani siano tutti terroristi e i napoletani caciaroni, se ritengo che i parigini siano tutti spocchiosi e gli americani tutti ignoranti, mi ritrovo una vita predeterminata, di giudizi espressi a priori.  Mi diventa difficile, così, avvicinarmi al Corano, credere nella lealtà dell’amico napoletano, confidarmi con un francese che vive a Parigi senza temere il suo giudizio, conoscere l’intellettuale statunitense che ama la storia dell’arte e conosce tutti i Caravaggio o le statue del Bernini assai meglio di me.

A ben vedere, il pregiudizio è un inciampo.

Il pregiudizio è un ostacolo alla comprensione del mondo.

Un ostacolo, però, non solo per chi lo subisce e viene, pertanto, emarginato o snobbato, ma altrettanto per chi lo coltiva in sé e si tiene la sua idea prefissata ben stretta, arroccandosi e chiudendosi in un microcosmo popolato solo dei propri simili. Per questo motivo, le persone che potremmo definire “opportuniste in modo lungimirante” cercano o dovrebbero cercare di non coltivare troppi pregiudizi nei confronti degli altri. Ragazzi, che sia chiaro, in questo senso io sono una grande opportunista…

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Comments

  1. Posso fare un commento “politically incorrect”?

    Anche qui ci tocca leggere di “orientamento sessuale e genere”, direi per non essere “da meno” all’interno del dibattuto culturale-intellettuale predominante “del momento”?

    Premettendo che condivido in pieno le considerazioni sul pregiudizio e la necessità di consentire, in qualche modo, a chiunque di esprimere la propria identità come meglio crede, e di cambiarla qualora lo ritenga fondamentale per la sua vita, in poche parole, di lasciare ad ognuno la libertà di gestire la propria sfera sessuale senza doverci per forza mettere morbosamente il naso dentro, possiamo però anche dire che questo tema ha “stufato”?

    Francamente, non se ne può più di sentire che ovunque l’unico argomento di interesse, cool, sul quale bisogna avere un’opinione e del quale bisogna occuparsi debba essere la tutela urbi et orbi delle persone LGBT. E’ la priorità del momento a cui nessuno può – ahime! – sottrarsi.

    Io non ho nulla contro chi cambia sesso, avrà già le sue belle difficoltà personali a riconoscere e gestire questo aspetto della propria vita che di certo non gli manco io con le mie considerazioni, i miei pregiudizi o le mie invadenti e forse talvolta non richieste solidarietà.

    Però non ci vedo nulla di male e così bigotto nell’esternare qualche sorpresa apprendendo che il papà di un compagno di proprio figlio/a è diventato, nottetempo, una seconda mamma…non si può più nemmeno esprimere un’opinione in controtendenza?

    Perché non si deve più avere la libertà o il diritto di affermare che un evento, uno qualunque e a maggior ragione uno simile, ci stupisce, ci turba, ci fa arrabbiare, ci inorridisce? Sono ammessi solo più i commenti positivi?

    Perché la società deve essere solo più orientata a comprendere il “loro” disagio, e fare di tutto per alleviarlo, e non deve più nemmeno ospitare il disagio degli altri, di coloro i quali, per quanto sani o malsani possano essere i loro pensieri, ritengono che il cambio di genere, di sesso, di identità o l’ostentazione dell’omossessualità siano comportamenti non tanto giusti o sbagliati in sè ma che, semplicemente, li turbano?

    Perché non si può dire che, tra tutto lo scibile umano che un figlio quasi ignora, un genitore può decidere che, per ampliare la conoscenza del mondo del proprio pargolo, non vuole partire proprio dal tema della natura umana e della “normalizzazione” di vicende rare?

    Con tutto il rispetto per le scelte personali di chiunque e il riconoscimento del diritto a vivere serenamente la propria condizione, qualunque essa sia.

    Tutti devono avere il diritto e la libertà di esprimersi nella società, ma non necessariamente tutte le scelte private, che nel privato devono essere sì difese e consentite, devono avere anche una legittimazione pubblica e un’approvazione condivisa.

  2. Io, che sono un povero ignorante, dico solo questo. Perché è meglio non avere pregiudizi? perché la persona dall’orientamento sessuale non convenzionale potrebbe essere tuo figlio/a.

  3. Sì, ma non per questo devo insegnargli/le che chi la pensa diversamente da lui/lei debba essere tacitato senza se e senza ma. E comunque, come in tutte le cose e le diversità della vita, ci sono delle differenze…si può essere omosessuali e vivere la propria natura ed identità in trasparenza, in ostentazione o in provocazione, ed è comprensibile che i tre livelli di comportamento possano suscitare tre rispettive reazioni negli altri. Come in tutte le cose della vita, non solo nei comportamenti sessuali.

    Ecco, io certamente insegnerei a mio figlio/a a vivere in trasparenza, non necessariamente in provocazione.

    E comunque omosessualità, famiglie omosessuali. transessuali o persone che cambiano sesso con cure ormonali sono per me realtà molto differenti tra loro, e se posso da un lato condannare il rifiuto aprioristico che taluni hanno dell’omosessualità come atteggiamento retrogrado, posso anche dall’altro lato comprendere le difficoltà di chi si deve relazionare con genitori di compagni, amici dei figli, conoscenti di famiglia, insegnanti o educatori che da uomini diventano donne, o che si vestono da donne e mantengono la barba, o realtà simili.

    E se mio figlio diventasse una persona così tanto non convenzionale, gli spiegherei che non può pretendere che tutto il mondo approvi, accetti, condivida e non obietti. Anche se è mio figlio/a. Anche se io amerò e approverò incondizionatamente.

    E sostenere che solo perché una cosa avviene nel proprio giardino allora debba diventare di interesse e approvazione globale mi ricorda tanto quei genitori moderni che a scuola difendono i propri figli dalle nefandezze più ingiustificabili solo perché sono i propri figli.

  4. Proprio perche’ non ho esperienza diretta ne’ conoscenza qualificata della materia, mi limito a quanto ho gia’ detto. Mi permetto solo di aggiungere che il solo accostamento della tematica in esame alle “nefandezze” di qualcuno mi pare improprio.

  5. “Alla lettera e in senso generale il pregiudizio è un giudizio anticipato rispetto alla valutazione dei fatti. Risponde a questa accezione l’uso comune del termine in locuzioni quali “esaminare un problema senza pregiudizi”, o “essere spregiudicati”. In senso più tecnico e restrittivo il vocabolo serve invece a designare, e inscindibilmente a connotare in senso negativo, qualsiasi atteggiamento sfavorevole o ostile, in particolare quando esso presenti, oltre che caratteri di superficialità e indebita generalizzazione (v. Allport, 1954), anche caratteristiche di rigidità, cioè quando implichi il rifiuto di metterne in dubbio la fondatezza e la resistenza a verificarne la pertinenza e la coerenza.”. Questa fu la definizione che diede del termine “pregiudizio” un mio grande e compianto maestro, il prof. Giovanni Jervis (enc. Treccani) Parlando di pregiudizio, tuttavia aggiunse anche che non bisogna avere troppi pregiudizi…anche sui pregiudizi.
    Detto questo, chi è passato attraverso le esperienze che Elisabetta ha citato, lo ha fatto probabilmente con un certo grado di sofferenza, intraprendendo un percorso di consapevolezza non facile, coraggioso. Con le loro diversità, il loro narcisismo, gli aspetti istrionici, sono persone mai banali. Confrontarsi con un punto di vista differente dal nostro fa sempre bene. Fosse anche per confermare il nostro pregiudizio ;)!

  6. Ovviamente la mia ultima frase va letta in senso provocatorio. Il confronto con punti di vista diversi dal nostro, anche sul modo di concepire la famiglia e il proprio genere, è sempre molto utile a prescindere dal fatto che poi si resta della propria opinione
    A questo punto però non si tratta di pregiudizio ma di un proprio giudizio. E abituare i nostri figli a questo tipo di dialettica è fondamentale tenuto conto dell’universo sempre più complesso e sfaccettato con il quale andranno a confrontarsi.

  7. Intervengo per dire che ho trovato molto deprimente il dibattito sui matrimoni gay e sulle adozioni, conclusosi con il compromesso in Parlamento, dibattito che lascia l’Italia molto indietro rispetto al resto del mondo civile. Anche in UK ovviamente c’è gente che disapprova dei matrimoni gay, così come c’è gente che disapprova dei matrimoni tra persone di colore diverso, o di classe sociale diversa. Ci sono però due importanti differenze con l’Italia: in UK che pensa così si guarda bene dal dirlo in pubblico. Nella scuola dei miei figli (quasi tutta “bianca” e rurale, e dove comunque ogni anno qualche studente si dichiara gay) la strada più certa per l’emarginazione da parte dei compagni è fare commenti omofobi o razzisti: i ragazzi semplicemente certe cose non le accettano. La seconda differenza è che quelli che mantengono queste opinioni stanno letteralmente sparendo, sono anziani, rimasti con la mente a 50-70 anni fa, è impossibile cambiarli, porteranno le loro retrograde opinioni con sé nella tomba. Confrontando le reazioni pubbliche in Italia all’annuncio del figlio di Vendola (un politico che sottolineo non mi piace) con quelle in Inghilterra all’annuncio del figlio di Elton John, è stato davvero triste scoprire che il più becero e bigotto quotidiano inglese è comunque meno becero e bigotto del più aperto e liberale quotidiano italiano (i weblink sono nel mio tweet del 2 marzo, @giannidefraja).

    1. Gentile professore, purtroppo in Italia e’ l’opposto, nel senso che la battuta omofoba, razzista e sessista (statisticamente la piu’ frequente) e’ il segno distintivo della persona arrivata e di successo. Non faccio i nomi, peraltro noti a tutti coloro i quali leggono i giornali, non per scrupolo, ma solo per non annoiare con un lungo elenco. Sovente si da’ la colpa a (una certa idea di) chiesa cattolica, ma penso che abbia ragione lei: queste sono idee da vecchi, e la demografia ci dice che l’Italia e’ uno dei paesi piu’ vecchi del mondo. Detto questo, una curiosita’: siccome le coscienze si formano, quali azioni positive si adottano nella scuola inglese in merito? per esempio, nella scuola dei suoi figli cosa si fa perche’ chi magari sente certi discorsi a casa capisca che non e’ il caso (scusi il gioco di parole)? Grazie, e mi saluti la sua bella universita’!

  8. Mi sembra comunque di poter dire che i nostri giovani, da questo punto di vista, sono più avanti di noi delle generazioni passate anche in Italia, nonostante il poco che si faccia in tal senso.

  9. Non sono completamente d’accordo con il punto di vista di Gianni de Fraja . Secondo me rischiamo infatti di passare da un approccio omofobo e razzista ad uno in cui le differenze si minimizzano eccessivamente. Ripeto, i pregiudizi non vanno demonizzati, ma osservati criticamente.
    E’ innegabile che ad esempio una coppia caratterizzata da profonde differenze socio-culturali o economiche rischi di dover affrontare dei problemi in virtù di questo sbilanciamento. All’inizio magari no, ma con gli anni i nostri modelli sociali di riferimento si fanno sentire e si possono scontrare. Il nostro background non si azzera in virtù di un principio, per quanto democratico e affascinante.
    Una donna che guadagna di più del compagno, generalmente deve fare i conti con l’inevitabile, magari indicibile, senso di frustrazione che questo (al compagno) comporta. L’uomo deve fare i conti con dei modelli atavici, spesso legati al nostro essere animali (se pur culturali), in cui, ad esempio, il maschio è dominatore e mira a marcare e a conquista il territorio (gli studi etologici e antropologici ce lo insegnano). Ci si può opporre culturalmente, ma non sottovalutiamoli. Lo stesso dicasi per le famiglie omogenitoriali, o per le coppie provenienti da culture molto differenti. Sono scelte che a mio avviso comportano una certa fatica per “mettere d’accordo” i nuovi modelli comportamentali con quelli iscritti nel nostro corredo genetico e/o socio-culturale stratificati nei secoli. A volte, inoltre, i comportamenti anticonvenzionali possono costituire addirittura delle reazioni al proprio background non sempre indicative di un autentico superamento da ciò che vogliamo “combattere” ponendoci in maniera radicalmente opposta.
    Scusate, ma rimuovere e negare questi aspetti facendo finta che non esistono, per me è un po’ miope.

  10. Per gli amici romani segnalo un interessante convegno sull’argomento: “La famiglia da concepire – il benessere dei bambini e delle bambine con genitori gay e lesbiche” http://www.lovemakesafamily.it
    23 giugno 2016 Aula Magna facoltà di medicina e psicologia Università La Sapienza di Roma. Gratuito. I relatori sono dei professori di rilevante importanza. Oltre ai bravissimi V. Lingiardi e A.M. Speranza (orientamento psicodinamico relazionale), interverrà S. Golombrok la direttrice del Centre for Family Research dell’Università di Cambridge sul tema ” famiglie moderne: genitori e figli nelle nuove forme di famiglia”.

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