Si può scegliere la scuola ma per avere una scuola che funziona ci vogliono bravi insegnanti. Anzi, i bravi insegnanti sono proprio il presupposto per avere una scuola eccellente.
E qui arriva la prima difficoltà: cosa è un/a bravo/a insegnante? Sembra che tutti siamo in grado di identificare, almeno istintivamente, chi sa insegnare.
Chi ha figli a scuola, dopo pochi mesi, sviluppa la consapevolezza della qualità dell’insegnamento che i figli stanno ricevendo. E, soprattutto, ce l’hanno bambini e ragazzi. I bravi insegnanti aiutano allievi e studenti quando questi sono confusi, spiegano i concetti in classe, non ti sommergono di compiti, rispiegano con pazienza una cosa più volte, non ti mortificano, sono pronti a rivedere il proprio giudizio.
Sappiamo, inoltre, che docenti capaci fanno un’enorme differenza nell’apprendimento degli studenti. Studi svolti negli Stati Uniti dall’economista Eric Hanuscek (e possibili grazie alla valutazione comparativa dei test standardizzati) hanno dimostrato che, per la fascia scuola primaria e secondaria di primo grado, avere brave/i insegnanti può tradursi in un anno e mezzo di scolarità in più. Insomma, un cattivo insegnante ti lascia indietro di un anno e mezzo rispetto ai tuoi coetanei che hanno docenti migliori.
In Italia tendiamo a pensare che l’insegnamento sia un mestiere vocazionale ed artigianale. Che sia un talento e che sia modellato sulla persona. Se forse quella della vocazione può essere una verità plausibile (c’è chi ce l’ha – anche se a volte la vocazione viene strada facendo), quella del talento naturale è un po’ una scusa fittizia.
Ad insegnare o ad insegnare meglio si può imparare: si può migliorare con il tempo. Inoltre, le tecniche artigiane possono essere “messe a sistema”, ossia sistematizzate.
Qualcuno lo ha fatto – e da quasi più di un decennio. Si chiama Doug Lemov, ha preso un MBA ad Harvard ed è un formatore di insegnanti nelle Uncommon Schools, un network di charter schools che ha lo scopo di migliorare le opportunità d’istruzione degli studenti provenienti da contesti sociali svantaggiati.
È autore di un libro uscito nel 2010 dal titolo Teach Like a Champion: 42 Rules for Getting Better at Getting Better, e di un volume successivo, Teach like a champion 2.0 che, nel 2015, è stato tradotto e riadattato per l’Italia con il titolo Teach like a champion. 62 tecniche per un insegnamento di successo.
Il testo di Lemov ha un titolo molto americano (insegna come un campione!) e non ha nulla di teorico, è tutto pratica. Ed è esattamente quello che serve, perché il mondo è pieno di testi di pedagogia ma, almeno che io sappia, non c’era sinora stato un studio “sul campo” così dettagliato.
Teach like a champion elenca una serie di tecniche e strategie che possono essere utilizzate per insegnare e per risolvere i problemi di insegnamento con allievi difficili.
Secondo Lemov, i grandi insegnanti usano tecniche ripetitive di gestione della classe per sfruttare in modo ottimale ogni momento. Sulla base delle sue osservazioni, Lemov ha accuratamente descritto queste tecniche. Alla base del libro sta l’osservazione del comportamento in classe di un numero elevato di insegnanti: il buon maestro intuisce perfettamente il clima della classe, è consapevole di ciò che la gestualità degli allievi comunica e lo sa interpretare; predilige sempre il contatto visivo con i ragazzi e sceglie punti strategici dell’ambiente d’apprendimento, i punti caldi, dai quali può intervenire tempestivamente modulando la voce, i gesti, il proprio linguaggio verbale e non verbale.
Oggi Teach like a Champion è un sito, una serie di brevi video e di risorse – anche gratuite – per migliorare le tecniche di insegnamento.
L’attenzione ai bravi insegnanti si è comunque andata moltiplicando negli ultimi decenni. Il Global Teacher prize, una sorta di premio Nobel per il docente “migliore del mondo” (che vale un milione di dollari a rate per dieci anni), l’italiano Premio Nazionale Insegnanti lanciato dall’allora ministro Stefania Giannini, sono iniziative che hanno comunque il beneficio di porre sotto i riflettori la figura dei docenti. Non sono, peraltro, le uniche. La Gates Foundation, di cui ho scritto in “A Vancouver e Seattle: appunti di un viaggio di famiglia” ha lanciato da tempo un programma chiamato MET Measures of Effective Teaching, per identificare i comportamenti degli insegnanti più efficaci. L’idea è che se riesci a misurare le performance degli insegnanti puoi anche divulgare le migliori tecniche di insegnamento a tutti coloro che hanno a che fare con l’età evolutiva.
Ma anche altre iniziative, come Teach for America, l’organizzazione americana che manda i più bravi neolaureati a insegnare nelle scuole dei quartieri poveri e, nel Regno Unito, Now Teach che aiuta le persone che hanno già avuto una carriera di successo a diventare grandi insegnanti, sono il segnale di un’attenzione crescente verso l’insegnamento. Comunque un buon segnale, se non altro.
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Proprio in questa ultima settimana ho studiato per il mio corso di laurea il contributo di Lemov. Compresi video di lezioni e interviste con vari insegnanti.
Tempo fa è uscito un nell’articolo su questi temi su Internazionale.
Il fatto che si possa insegnare ad insegnare dovrebbbe essere inculcato in ogni educatore… e chi non vuole imparare perché “si è sempre fatto così” via, a casa (e scusatemi la democraticità 😀 ).