Quando un figlio o una figlia inizia la scuola primaria si scopre un mondo di genitori ultra competitivi, che danno grandissima importanza ai risultati scolastici.
E’ sufficiente recarsi all’uscita di una qualsiasi scuola il giorno delle pagelle. Ebbene, sarà chiaro dai capannelli di genitori, in specie di mamme che brandiscono buste bianche e discutono animatamente confrontando voti ed esprimendo pareri, che l’ansia da prestazione è alle stelle.
Le pagelle vengono analizzate dall’inizio alla fine nei minimi dettagli, si confronta, talvolta ci si arrabbia per un sette piuttosto che un otto, ci si sconforta, oppure ci si vanta. Ci si dimentica, tra l’altro, che i sistemi di valutazione, in qualsiasi contesto, dopo un certo numero di anni tendono a mostrare una tendenza a salire, a inflazionare i gradi o voti alti. Questo fenomeno d’inflazione dei voti scolastici è a volte dovuto alle aspettative stese dei genitori. Alcuni genitori arrivano a premere sui docenti per far lievitare il voto dei figli, anche quando questi ultimi stanno ancora riempiendo pagine e pagine di lettere in corsivo o insiemi di alberi o caramelle.
Ci si dimentica anche che il sistema di valutazione della scuola italiana non è standardizzato e quindi insegnanti diversi formulano giudizi diversi: c’è quella di manica larga e quella dà solo voti bassi.
Anche con i compiti è la stessa cosa. Un anno c’è la maestra che ne assegna a palate e l’anno dopo il diario è vuoto. Tuttavia il primo caso pare più frequente del secondo.
A me – e non sono l’unica – pare che ogni insegnante decida per se’. La mia seconda figlia fece più compiti a casa in prima e seconda elementare che in terza e quarta! Non c’era alcuna ratio pedagogica: era semplicemente cambiata l’insegnante.
C’è quella scena tipica che si svolge all’uscita delle scuole primarie ogni giorno ed, in particolare il venerdì. Suona la campanella, un bambino avanza portando lo zaino su una spalla sola, vede il genitore, si ferma e lascia cadere lo zaino per terra. Il genitore, più spesso la mamma, nel sollevare lo zaino, pone sempre la stessa domanda, non un “ciao”, non un “come stai” ma, con un sospiro, “hai tanti compiti?”. Il bambino, stordito dalle ore di scuola e dal vociare dei compagni che gli sciamano attorno, vomita a velocità supersonica e spesso mangiandosi le parole: “un sacco: c’è storia, una ricerca di nonsocosa, tante pagine di matematica, i verbi di italiano ah…poi una cosa di musica che non ci ho capito nulla e le solite frasi di inglese..e poi boh..”. La madre vacilla, si chiede se ci sarà il tempo per il nuoto e, se è venerdì, già pensa che dovrà organizzare il fine settimana intorno ai compiti.
Gli insegnanti assegnano compiti a casa per svariati motivi: per applicare e integrare ciò che è stato appreso in classe, per far sì che gli studenti si preparino per la lezione successiva, per consentire agli studenti di studiare gli argomenti più a fondo, oppure per sviluppare capacità di ricerca e di organizzazione delle informazioni anche mediante l’utilizzo di diversi strumenti (il libro, la fotocopia, il vocabolario, l’enciclopedia, il computer).
Molti insegnanti e genitori concordano sul fatto che i compiti sviluppano l’iniziativa e la responsabilità. Di recente una giovane mamma mi ha chiesto informazioni su alcune scuole della nostra zona, affermando disinvolta: “vorrei scegliere per mio figlio quella dove assegnano più compiti”. Un altro po’ svenivo, sia per la vaghezza del criterio di valutazione nello scegliere la scuola, sia per l’incauta affermazione.
Molti altri genitori sono stufi di inseguire i figli affinché leggano quelle pagine di storia o finiscano la gragnuola di divisioni a due cifre assegnata un giorno per l’altro. Non necessariamente è sprezzo per la cultura, più spesso è un tentativo di sopravvivenza.
Sui compiti a casa esisteva anche una Circolare ministeriale del 1969 (n. 177 del 14 maggio 1969, “Riposo festivo degli alunni. Compiti scolastici da svolgere a casa”), con la quale s’invitavano le scuole e non assegnare compiti nel fine settimana a bambini e ragazzi, in modo da far loro passare del tempo in famiglia o dargli tempo per altre attività sportive o culturali. Pare che con le norme sull’autonomia scolastica del 1999, che hanno riconosciuto alle scuole piena autonomia in materia organizzativa, didattica e di ricerca, tutte le Circolari ministeriali che “prescrivono” e “dispongono” non siano più applicabili. Per questo motivo, per ogni scuola dovrebbe far fede, su compiti e criteri di valutazione, il Piano dell’Offerta Formativa (POF).
Aggiungiamo poi che il c.d. “tempo scuola” in Italia è variabile, specie nella scuola primaria. Un bambino che a scuola fa il c.d. “modulo” dovrebbe avere più compiti di uno che fa il tempo pieno. Di fatto, molti bambini del tempo pieno hanno anche compiti durante la settimana.
Ma cosa si fa negli altri Paesi? Difficile fornire una panoramica generale, dal momento in quasi tutti i paesi europei c’è molta differenza tra una scuola e l’altra perché l’autonomia delle singole scuole è principio diffuso. Non prendete quindi quanto segue come oro colato e chiamo la comunità internazionale di educazioneglobale a correggermi laddove sbaglio!
Nella scuola britannica, che conosco meglio, le indicazioni sono chiare: i compiti ci sono, ma con precisi limiti, inoltre il ruolo del genitore è indicato con chiarezza. I bambini, già dal secondo anno della scuola dell’infanzia, ossia dai 4 anni, hanno un piccolo opuscolo, un homework diary che, almeno quando i bambini sono piccoli e non sanno scrivere, deve essere firmato ogni sera dal genitore che si impegna a leggere al bambino il libretto, normalmente di poche pagine, assegnato per quella sera. Questo piccolo diario è anche uno strumento di comunicazione tra casa e scuola e, via via che il bambino cresce e passa ai primi anni di scuola primaria, diventa anche il luogo dove viene chiesto all’allievo di scrivere brevissime schede dei libri letti, in cui deve annotare autore e titolo, una o due righe di descrizione del libro e una o due righe di commento personale.
Il genitore ha sempre l’obbligo di leggere con il bambino ogni sera per alcuni minuti e, più in là, di ascoltarlo mentre legge. I libri della scuola primaria sono solitamente quelli della Oxford Reading Tree, che ho citato in Libri in inglese da leggere ai bambini piccoli e facendo una piccola rassegna di possibili regali di Natale per bambini. Sono ordinati per difficoltà crescente e narrano le avventure, spesso divertenti, di tre fratelli inglesi, del loro cane, della famiglia e, via via, dei loro amici ed esperienze.
Le scuole normalmente comunicano ai genitori che, laddove vengano assegnati compiti, essi sono così ripartiti: dal secondo trimestre dell’ultimo anno di scuola dell’infanzia richiedono 10 minuti per sera e dal primo anno di primaria richiedono 15 minuti per sera, aumentando di 5 minuti in 5 minuti sino ai 50 minuti dei due ultimi anni (Year 5 e Year 6). Gli insegnanti si affannano però a ricordare di tenerli informati qualora i compiti assegnati prendessero troppo tempo e invitano i genitori a saltarli a piè pari in caso di imprevisti o di estrema stanchezza del bambino.
Il principio è che il bambino non deve odiare la scuola e, soprattutto, non deve odiare la lettura. Il fulcro dei compiti dei bambini più piccoli ruota intorno alla lettura. Nella scuola britannica si legge tantissimo, sia per imparare il complicato spelling delle parole, sia perché il ruolo della lettura nella vita di una persona viene considerato fondamentale e questa è una cosa molto bella. Di norma, inoltre, non ci sono compiti durante le vacanze.
Nella scuola francese da quest’anno scolastico, da quello che ho letto, i compiti si fanno a scuola. “Devoirs fait” si chiama il programma, anzi, la promessa elettorale di Emmanuel Macron e del suo ministro dell’Educazione Jean Michel Blanquer. La sostituzione dei compiti con ore “di studio accompagnato” in classe pare sia la realtà per gli studenti da quest’anno. Mamme francesi, a voi la parola!
Alla scuola tedesca, da quanto ho letto, ci sono compiti durante l’anno scolastico ma non compiti per le vacanze.
Anche nella scuola olandese leggo che non ci sono praticamente compiti, la scuola è coinvolgente con molti esercizi pratici e con poche interruzioni: chiude il 10 Luglio e riapre il 25 Agosto. Vi sono poi 4 settimane di chiusura sparse all’interno dell’anno.
Negli ultimi anni, anche dal confronto internazionale con altri sistemi scolastici ed, in particolare, con le scuole del nord Europa, si è creato un vero e proprio movimento contrario ai compiti. Nato come gruppo Facebook, Basta compiti! sta diventando una sorta di mantra.
Indubbiamente copiare le scuole finlandesi o olandesi può rivelarsi un boomerang. Se la differenza fosse solo nell’assegnare o non assegnare compiti a casa sarebbe facile, ma ben sappiamo che entrano in gioco una miriade di elementi di diversità, dalla spesa pubblica per istruzione, all’efficacia del sostegno, nella struttura scolastica, degli alunni più deboli, dall’entità dello stipendio e dello status degli insegnanti, alla maggiore equità sociale e migliore ripartizione delle cure parentali tra genitori. Insomma: grande investimento nella scuola, assegnazione degli insegnanti migliori agli studenti peggiori o più svantaggiati, migliori stipendi dei docenti, padri molto coinvolti nella cura dei figli sono forse le chiavi per una scuola più efficace e più coinvolgente, dove assegnare compiti possa essere più l’eccezione che la regola.
Consapevole non solo dei benefici, ma anche dei limiti che derivano dalla comparazione tra sistemi diversi, sono però anch’io favorevole all’abolizione totale dei “compiti” almeno alla scuola primaria, e all’istituzione, in loro luogo, di piccole biblioteche scolastiche, magari in ambienti con divanetti e tappeti, dove gli allievi vengano portati un paio d’ore una volta a settimana e possano scegliere, se vogliono, libri da leggere o anche solo sfogliare a casa e da riportare la settimana successiva. Troppi anni ho passato vedendo bambini – non solo i miei – arrivare alle cinque a casa solo per dover riaprire i libri e ricominciare tediosi esercizi per il giorno dopo. Per non dire di quelli che iniziavano i compiti solo alle sette o alle otto di sera, dopo lo sport.
Vedo quindi con favore il progetto sperimentale di abolizione dei compiti a casa che coinvolge, in Italia, le scuole primarie e persino medie di cinque province italiane (Biella, Verbania, Milano, Torino e Trapani).
La sperimentazione coinvolge in tutto 166 classi e si chiama Modi. E’ partita grazie a un pedagogista del MIUR, Raffaele Ciambrone, che l’ha proposta all’Ufficio scolastico provinciale. Il progetto impatta anche sulla didattica, che è stata riorganizzata a blocchi: per una settimana si svolgono solo le materie umanistiche la mattina e le esercitazioni il pomeriggio. La settimana seguente tocca, invece, a quelle scientifiche. Se qualche insegnante o genitore coinvolto mi legge lo/la invito ad aggiungere un commento sul blog, a beneficio di tutti. Sono molto interessata a sapere come procede la sperimentazione e penso lo saranno anche molti lettori.
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Compiti si’, compiti no.
Non se ne esce. Anche perche’ ognuna delle due tesi ha le sue ragioni. Da un lato, non ritornare per conto proprio sugli argomenti spiegati puo’ lasciare grosse lacune. Dall’altro, la matita troppo temperata, semplicemente, si spezza. Ognuno, credo, ha diritto a una vita personale, ma l’affermazione resta teorica se questo qualcuno e’ impegnato fino alle 16 a scuola, poi deve fare i compiti fino a sera e durante le vacanze (e’ successo a ragazzini che conosco, e ho motivo di ritenere non si tratti di bamboccioni) deve comunque adattarsi ad aprire libri e quaderni ogni giorno, per evitare il sovraccarico finale.
Proporrei quindi di fare come si fa sul lavoro: definire prima di tutto un orario massimo, comprensivo ANCHE dello studio a casa, da non superare ogni settimana, e assegnare i compiti di conseguenza, secondo un “tempario”, a sua volta definito in anticipo, e se del caso corretto in corso d’opera.
A me piacerebbe fossero assegnati compiti “a fasce”: pochi obbligatori, altri facoltativi. Capisco però che un genitore dovrebbe penare non poco per far fare i facoltativi, nel caso lo volesse.Noi fortunatamente usciamo da scuola 2 giorni alle 16:20, 2 giorni alle 12:50 e il venerdì alle 12:20. Poi avremo anche tutti i nostri vantaggi cognitivi, ok.Ma non è possibile che i compiti si riducano a 10 minuti di orologio contati 2-3 giorni a settimana (inclusi sabato e domenica).E ci sono mamme dei compagni che hanno comunque i figli affaticati.Noi facciamo lezioni di inglese, suoniamo il piano tutti i giorni, leggiamo i libri ORT, facciamo tanto gioco libero, e io mi invento esercizi di italiano e matematica per occupare ogni tanto il tempo.Ecco, potessi scegliere esercizi tra una rosa di facoltativi proposti dalla maestra sarebbe più semplice, oltre che più “accettabile” per i miei bambini.
Occorre ammetterlo: se lo studente deve fare anche un sacco di compiti a casa per imparare qualcosa, allora il professore ha almeno in parte fallito nell’insegnare l’argomento in classe. Se l’insegnante davvero fa imparare tutto l’argomento allora non servono compiti per casa. Certo, non fare nessun compito per casa è un ideale a cui tendere che in effetti non sempre è realizzabile (a volte per troppi studenti in classe, altre volte per docenti con qualità non perfette e così via), tuttavia vorrei che nelle scuole:
1) I docenti non diano compiti per casa su argomenti sui quali lo studente ha già dimostrato di sapere in modo più che buono e semmai aggiungano compiti per casa su argomenti che al momento sono i più difficili per lo studente
2) Gli studenti possano dire “professore, per il momento non mi dia il voto su esercizi per casa su questo argomento che trovo troppo difficili, piuttosto facciamo più esercizi di quel tipo in classe solo con me, così li imparo meglio”. Insomma, occorre una “personalizzazione” dei compiti per casa.
3) A partire dalle scuole superiori dovrebbe essere tolto l’obbligo di fare i compiti per casa e di controllare se gli studenti li hanno fatti, in quanto a quell’età i ragazzi sono ormai responsabili delle loro scelte e se non hanno fatto abbastanza esercizi al fine di imparare bene un argomento è un male non perché disobbediscono al docente ma perché avranno difficoltà poi ogni volta che servirà sapere quell’argomento nella vita quotidiana, “non scholae sed vitae discimus”…
Insomma, il problema per me non è: “compiti a casa sì, compiti a casa no” ma quando e perché fare compiti a casa, dunque la questione si deve porre in modo differente e solo dopo si decide cosa fare.
Ciao.
I compiti sono uno strumento e come ogni strumento il fulcro della discussione deve vertere sul suo uso. Quanto usarlo – o anche se usarlo oppure no – dipende dalle situazioni; è un argomento abbastanza complicato.
Sono convinto che l’abolizione totale dei compiti nella scuola primaria sia quanto meno un pio obbiettivo. Nella scuola primaria i programmi sono quelli che sono e ci sono ben cinque anni per approfondirli: ciò significa che l’aggiunta dei compiti è un surplus del tutto inutile e spesso, come sostiene Michele De trovandomi perfettamente d’accordo, il simbolo del fallimento di un professore.
Ben altro argomento è lo scopo con cui si fanno i compiti. Nella scuola italiana è fondamentale sdradicare il concetto tradizionalista di maestro\buon pastore\capo e cominciare a rielabore la sua figura con una chiave simile a quella utilizzata dal sistema scolastico americano dove l’insegnante è maestro\allenatore – adattandolo ovviamente ai nostri bisogni – l’uomo al quale rivolgersi per la sfida che aspetta ogni studente che vuole fare carriera scolastica: gli esami universitari.
In questa prospettiva l’insegnante è un tuo alleato contro il “nemico\test” e non più l’autorità, benigna o maligna, nella classe. Autorità che sta venendo sempre più spesso meno.In quest’ottica i compiti diventano non una imposizione, ma una strategia per uno scopo ben più importante di un pagliaccesco “benino” sul diario.
DeAmicis ne soffrirà, ma io me ne farei una ragione.
Come al solito, bel pezzo Elisabetta. Faccio un commento da teorico/scienzato sociale, quindi con un punto di vista leggermente diverso da qullo del genitore.
I compiti a casa riducono la mobilità sociale. È naturale che un bambino in una famiglia benestante, i cui genitori sono istruiti e hanno anche ben chiara l’importanza dell’apprendimento in giovane età, venga seguito di più (spinto e aiutato a finire i compiti) di quello i cui genitori sono semi-analfabeti, o convinti che la principale funzione della scuola sia “child care”. Ovviamente ci sono eccezioni in entrambe le direzioni, ma se questo è vero, allora ne segue che, in media, la quantità e la qualità dell’insegnamento che un bambino riceve dipendono dalla condizione socio-economica dei genitori, e se la quantità e la qualità dell’insegnamento a loro volta influenzano il successo scolastico e lavorativo futuro, allora i compiti a casa rafforzano le differenze di privilegio iniziale.
Al di là delle conseguenze sull’uguaglainza, così la società perde il potenziale contributo futuro di bambini bravi che crescono in famiglie svantaggiate e che troveranno più difficile emergere e raggiungere posizioni di successo.
Mi piace e condivido questa visione interessante.Ma la proposta sarebbe quindi…no compiti per evitare di aumentare la disuguaglianza? Arrendersi all’evidenza dei fatti? Grazie.
Onestamente, nel leggere la frase per cui “i compiti a casa riducono la mobilita’ sociale, io di primo acchito la avevo presa alla lettera, intendendola come riferita alla “mobilita’ fisica”. E’ facile criticare i ragazzi perche’ non frequentano musei, conferenze e simili: talvolta nel pomeriggio ci sono apountamenti interessanti, ma niente. Bisogna correre a casa, perche’ ci sono i compiti da fare. Ma studiamo per la scuola o per la vita?
Scomodare Seneca, che non era un gran fan della scuola, mi ha fatto sorridere un pò, devo ammetterlo, ma questa frase mi ha fatto anche persare a quello che Seneca intedeva dire sul serio; se non sbaglio (e non sbaglio visto che Wikpedia mi ha chiarito ciò che io non ricordavo), intendeva proprio il contrario – “non impariamo per la vita, ma per la scuola” diceva lui, anche se, erroneamente, gli viene affibbiata la citazione al contrario creando confusione poi quando lo si studia – e, tutto sommato, credo che questa frase rappresenti degnamente il problema: abbiamo perso per strada il senso originario dell’insegnamento e con essi i metodi che dovrebbero essere positivi per gli studenti.
L’eccesso di compiti – o la loro semplice esistenza – potrebbero (e forse sono) semplici metodi per sopperire alla mancaza di voglia di fare pratica. Quindi si delega al compito uno dei più importanti metodi per imparare sul serio le cose: far pratica!
Non vanno nei musei o alle conferenze per far pratica, e per farla male!
Questo è molto, molto grave.
Guardi, avevo inteso rielaborare, non citare…
Comunque, sulla necessita’ di far pratica, sono d’accordo.
Ma con giudizio.
Per cosi’ dire: se vuoi diventare pugile, devi sicuramente saltar la corda e dar pugni al sacco.
Ma se ti limiti a far quello, perche’ non hai tempo di fare altro, non salirai mai sul quadrato a combattere.
Io non mi spingo a tanto. Mi piacerebbe che i compiti non venissero dati almeno durante il we. Il fine settimana noi non partiamo….per fare i compiti! I bambini quando hanno tempo di leggersi un libro che gli piace se devono sempre seguire un serrato elenco di cose da fare dettate dagli insegnanti? Come fargli capire che almeno il sabato è bene che potenzino l’inglese, per compensare le mancanze delle scuole pubbliche beninteso, quando poi devono stare almeno un pomeriggio a tavolino a studiare ancora? Quando possono stare con la famiglia, fare una gita, imparare dall’osservare, stimolare la loro curiosità dopo un surplus di attività intellettuale già organizzata dalle maestre? Mi chiedo: qual è l’obiettivo? La performance dei bambini oppure (sospetto) la performance degli insegnanti che fanno a gara tra di loro a chi è più “bravo” (= severo)?
Non c’è dubbio che la questione compiti va drasticamente ripensata.
Dovrebbero essere un consolidamento di ciò che si è imparato, ma in dosi minime.
La mia esperienza nella scuola pubblica è stata che alle elementari il lavoro a casa era poco e solo nel we. Passando alle medie siamo (tutta la famiglia ne ha pesantemente risentito) stati travolti da una mole di compiti totalizzante.
Il primo a saltare è stato lo strumento musicale, poi lo sport ridotto nella settimana. Piano piano anche la narrativa è uscita di scena, bisogna anche riposare la testa e soprattutto, dormire il numero di ore necessarie a ragazzi che crescono.
Ma la cosa peggiore è che è difficilissimo portare avanti il bilinguismo. Non riesco più a parlare con mio figlio in inglese come prima, anzi ci sono molti giorni che non ci riesco proprio. Non c’è lo spazio mentale per spingere anche su quello.
Io sono molto scontenta, ma altri genitori si esprimono in senso di approvazione per questo sistema, quasi avessero timore del tempo libero dei figli e preferiscano saperli seduti ad una scrivania invece che autonomamente pensanti e liberi di fare o dire anche qualche cavolata. Che sia questa da ritenersi una “buona preparazione”? A mio parere è un sistema che più che altro spinge alla passività mentale, a non coniugare quanto appreso con la vita e inoltre estremamente anti democratico come è stato detto in questo blog.
Ammetto che, ringraziando l’organizzazione del Convitto, i nostri problemi si concentrano nel we, in quanto i bambini svolgono tutti i compiti della settimana a scuola (ed infatti i libri li riportano a casa solo nel fine settimana),
Esite un equilibrio. Nella scuola di mio figlio i compiti sono pochi perché tutto viene fatto a scuola ma non in maniera noiosa . I ragazzini sono felicissimi di andare a scuola dove applicano un pò tutta questa nuova metodologia tipica del curriculum IB che è l’antitesi della scuola frontale. I compiti sono pochi e vengono assegnati da una settimana all’altra per cui si possono fare durante la settimana o nel weekend a seconda di quanto uno preferisce. Mio figlio che è alle elementari in media impiega circa un’ora alla settimana per farli ( in realtà anche meno perché li fa molto velocemente). Ai compiti aggiungono dei libri da leggere a scelta ( ogni settimana un libro diverso in italiano e uno in inglese ) ma senza vincoli . I compiti crescono con l’età dei ragazzi ma sempre molto contenuti rispetto a quello che sento dagli amici delle scuole statali. Se qualcuno poi ha dei dubbi sul rendimento di questo metodo posso confermare che agli esami di terza media, fatti da privatisti presso il plesso scolastico statale , ogni anno, danno risultati eccezionali .