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Quante ore deve durare la scuola? E’ meglio più “tempo – scuola” o più tempo libero?

educazioneglobale scuola libriDal post Bilinguismo a scuola: ma il CLIL è il metodo migliore? è nata una discussione interessante. Tra i commenti, qualcuno ha toccato una questione mai veramente risolta, quella del cosiddetto “tempo-scuola” ideale. “Tempo-scuola” è un’espressione di quello strano gergo che potremmo chiamare “scuolese” che, tradotta, significa semplicemente durata della giornata scolastica. Giuridicamente, la quantità del tempo-scuola può essere calcolata da vari punti di vista: come numero annuo di ore d’insegnamento vero e proprio, come numero annuo di ore di permanenza complessiva a scuola, oppure come numero annuo di ore di effettivo apprendimento (a scuola ma anche fuori, in particolare attraverso i compiti a casa). Infine, essa può essere anche considerata come numero annuo di giorni di scuola.

Quanto deve essere lunga la giornata scolastica nella scuola ideale?

Tracciare la durata di una giornata scolastica ottimale non è semplice: ordinamenti scolastici diversi hanno concezioni anche antitetiche del tempo che uno dovrebbe passare a scuola, a volte anche in ragione dei diversi “servizi educativi” che la scuola offriva. Sistemi d’istruzione che hanno scuole dotate di campus con attrezzature sportive, mense e teatri, hanno da sempre concepito la giornata scolastica – anche per i ragazzi della scuola superiore – come qualcosa che tendeva a comprendere anche molte attività che, almeno in Italia, sono state da sempre considerate extra-scolastiche. In generale, poi, le ore passate a scuola dovrebbero essere esaminate congiuntamente alla lunghezza dell’istruzione obbligatoria. In alcuni paesi, la durata della scuola dell’obbligo è più breve e gli studenti hanno un carico di lavoro più pesante; in altri paesi, il carico di lavoro viene distribuito uniformemente su più anni.

L’organizzazione della giornata scolastica nella scuola primaria dei vari Paesi dell’UE presentava storicamente due schemi orari fondamentali (che potevano anche coesistere nello stesso Paese): quello delle lezioni su mezza giornata, generalmente al mattino (orario praticato originariamente in Germania, Grecia, in certe parti d’Italia e in Austria) e quello delle lezioni sia al mattino che al pomeriggio. Quest’ultimo è lo schema del tempo pieno, in uso, pur con tutte le varianti, nella grandissima maggioranza dei Paesi dell’UE. Ormai, quasi ovunque, la tendenza è ad un allungamento della giornata scolastica (sebbene non necessariamente delle lezioni frontali). In questo senso, il tempo-scuola è stato fortemente influenzato, in Italia come in altri paesi, dalla crescente emancipazione femminile e, dunque, dall’incidenza del lavoro extradomestico. L’occupazione femminile ha richiesto un allungamento della giornata scolastica (mai sufficiente, però, a conciliare la “doppia presenza” richiesta alle donne, nel lavoro e nella famiglia). Chi fosse interessato alle comparazioni, può trovare dati aggiornati nella pubblicazione dell’OCSE Education at a Glance, 2015, in particolare nel capitolo D, sull’organizzazione dei sistemi di istruzione.

Il tema delle ore impegnate con la scuola potrebbe sembrare, a prima vista, poco importante di per sé. Si può infatti affermare, con sufficiente margine di sicurezza, che, alla fine, quello che conta è l’apprendimento di conoscenze e di competenze e, come si può immaginare, la qualità non sempre coincide con la quantità, sia per le prime che tanto più per le seconde.

Invece, nel mondo della scuola, il tempo è rilevante ed ha spesso assunto un valore di “credo” pedagogico. Mi piace ricordare, che in un passo di Lettera ad una professoressa, di Don Milani, i ragazzi della scuola di Barbiana affermavano: “ …vi proponiamo tre riforme: I. Non bocciare. II. A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a pieno tempo. III. Agli svogliati basta dargli uno scopo… ”).

Di questa “ideologia” del tempo passato a scuola porto anch’io il ricordo (tutto positivo). Alla fine degli anni ’70, ero una allieva di una grande scuola elementare pubblica in una zona centrale di Roma e noi del “tempo pieno”, prima di pranzo, guardavamo dall’alto in basso gli altri allievi, quelli del tempo solo “normale”, che sciamavano fuori dalla scuola con i loro grembiulini blu. Il nostro senso di superiorità rispetto ai “bambini del tempo normale” – crudele come possono esserlo i pensieri dei bambini – si basava sulla forte connotazione femminista di quegli anni. Quelli che uscivano presto, infatti, erano i figli delle madri casalinghe (o, al massimo, di qualche insegnante che lavorava poche ore). Noi, i duri e puri, i resistenti nelle mura scolastiche tetre e male illuminate, ci ritenevamo una razza a parte: eravamo i figli delle mamme che lavoravano e, dell’impegno delle nostre mamme, portavamo con fierezza i segni, nel nostro stare in classe e in comunità più a lungo degli altri.

Il tempo pieno a me piaceva moltissimo; sebbene tornassi a casa sfinita amavo molto la mia scuola. Noi, all’ora in cui gli altri se ne andavano, il grembiulino ce lo potevamo levare. Invece di tornare a casa con le nostre mamme, andavamo giù alla mensa scolastica che, all’epoca, serviva cibo scongelato di pessima qualità in vaschette d’alluminio piene di olio. Cominciava poi il momento più bello della giornata; in classe i banchi venivano spostati dalla tradizionale posizione ordinata per file, alla posizione a ferro di cavallo e le attività si facevano più varie. Avevamo il coro, la redazione del giornalino della scuola con il ciclostile, le discussioni sull’agricoltura e sull’industria, il laboratorio di falegnameria.

Nel tornare dai ricordi ai concetti, però, non posso fare a meno di notare che il discorso del tempo scuola, ossia quante ore si dovrebbe stare a scuola in un sistema di istruzione ideale, porta con se un tema più interessante, di cui a lungo ho discusso con un paio di persone, senza riuscire a trovare la risposta definitiva.

Il tema in questione era, più o meno, riassumibile come segue: è meglio il tempo libero o il tempo organizzato?

Sino ad ora, infatti, mi sono concentrata solo sulla scuola primaria, ma lasciamo da parte i bambini della scuola primaria (e della scuola dell’infanzia) e concentriamoci, invece, sulla scuola secondaria di primo e di secondo grado, ossia sulla fascia d’età che va dagli 11 ai 19 anni, quando l’eventuale giornata “corta” degli allievi non implica automaticamente un maggior carico per i genitori impegnati con il lavoro.

In questa fase è meglio una scuola che duri poche ore al giorno e demandi allo stesso studente di far sedimentare le proprie conoscenze (studiando autonomamente, svolgendo altre attività come leggere, ad esempio) o è meglio una scuola-campus che “contenga” anche altre cose, oltre alla didattica frontale. Meglio il tradizionale liceo con le lezioni solo al mattino o una scuola che rappresenti anche il contesto organizzato in cui si svolgano, ad esempio, oltre alle lingue straniere (come nelle scuole bilingui) anche lo sport, lo studio individuale, l’arte, la musica etc..? Ovviamente il discorso è anche collegato al novero delle materie di cui dovrebbe essere fatta la scuola superiore ideale, ma non solo.

Insomma, per un adolescente, è meglio il tempo libero o il tempo organizzato (da altri)?

Ci sono sostenitori da entrambe i lati della contesa. Provo, di seguito, ad elencare le ragioni degli uni e quelle degli altri.

1. Le ragioni dei sostenitori del “tempo organizzato” e della scuola che dura tutto il giorno

Secondo una persona con cui dialogavo, coloro che imparano ad organizzarsi in modo autonomo sono, solitamente, coloro che metodici lo erano comunque e che, prima o poi, trovano semplicemente la motivazione per realizzare qualcosa di cui, almeno in potenza, sarebbero stati capaci comunque sin dall’inizio. Solo chi è già una persona che ha autodisciplina se la dare anche da sola.

Secondo questa tesi, per allenare l’autodisciplina è necessario vivere in un ambiente disciplinato. Se non sei disciplinato, un ambiente strutturato ti ‘contiene’ e ti forma.

Una scuola fatta solo di lezioni frontali e che demandi allo studente tutto il resto ti può trasferire nozioni ma non insegnare ad organizzarsi. Con una scuola così, chi non è organizzato autonomamente corre il serio rischio di perdersi, vivacchia perdendo più o meno tempo e conseguendo risultati solo in maniera spesso correlata agli stimoli e agli obblighi imposti dal contesto familiare.

2. Le ragioni dei sostenitori del “tempo libero” come strumento di autodisciplina

I sostenitori del valore del tempo libero come strumento di autoeducazione sono di tutt’altro avviso. Ritengono, ad esempio, che le scuole tipo campus non consentono di imparare ad organizzarsi da solo. Che l’ambiente che ‘eterodisciplina’ finisce per far perdere la capacità di disciplinarsi per proprio conto. Che le cose che si imparano in autonomia sono più importanti e la loro lezione dura più a lungo. Affermano che non si può dare per scontato che ragazzi che sono stati 8-9 ore in una scuola in cui tutto (lo studio, lo sport, la socializzazione) è organizzato, poi imparino l’arte di organizzarsi da soli. Dicono che se ad un adolescente c’è sempre una sovra-struttura ad obbligarlo a studiare (a prescindere che siano i genitori, lo studio assistito a scuola, il precettore ecc.…), imparerà mai, attraverso l’errore (prendere un 3 perché invece di studiare ha guardato la tv, ad esempio), a motivarsi da solo?

I sostenitori del tempo libero credono che motivarsi e darsi un’autodisciplina è una delle lezioni più importanti della vita, così come avere una mentalità di crescita. Qualche ricerca sembra dargli ragione (una in particolare affermava che i ragazzi il cui tempo è stato meno strutturato e scandito in attività decise da altri sanno poi fissare e perseguire meglio i propri obiettivi), ma non saprei valutarne la qualità dei risultati.

C’è una soluzione unica per tutti?

Al termine di questa riflessione non sono sicura che le soluzioni che vanno bene per uno studente vadano bene ad un altro. C’è chi ha bisogno di tempo per dedicarlo ai propri interessi e c’è chi, nel vuoto, non riesce a darsi una regola. Tra questi secondi, c’è chi procrastina il dovere (come, ad esempio, lo studio) e poi se la cava, sia pur con uno sforzo finale assai maggiore, e chi procrastina e poi non combina nulla. Alla fine, non tutti imparano il valore dell’autodisciplina. Qualcuno perde l’anno e si pentirà troppo tardi e nessuno sa dirci con certezza se questo dipenda o meno dalla genetica (o dalla cultura famigliare). Aspetto di sentire l’opinione di chi mi legge!

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Comments

  1. se il contesto familiare è stimolante e quello scolastico è degradato, è meglio il tempo ridotto. Se il contesto familiare è degradato, meglio la scuola, a condizione non sia malmessa. Per questo motivo, le classi sociali svantaggiate hanno un interesse maggiore al tempo pieno. In altri termini, l’investimento sociale nel tempo pieno ha un rendimento più alto a Scampia che al Vomero. Nella realtà si verifica il contrario, le scuole migliori e il tempo pieno sono nei quartieri socio-economicamente più avvantaggiati.

    La questione del tempo libero e strutturato è diversa da quella tra tempo ridotto vs pieno. Il tempo libero può esserlo anche nella scuola tempo pieno, così come strutturata può essere la vita di un adolescente che frequenta scuola solo la mattina. Il tempo strutturato non vuol dire rigido o qualcosa di omogeno, in quanto puà sia significare un impegno intenso su una attività esigente (ad esempio, pratica di pianoforte 4 ore al giorno) oppure esposizione a diverse attività (musica, danza, piscina, lingua etc.). Di contro, il tempo libero può essere dedicato alla PlayStation e a FB oppure ad attività come la lettura, o lo scoprire la città e nuove situazioni in bici o col motorino.

  2. Molte grazie per questo post interessante, ricco come sempre di informazioni utili.

    Penso che un po’ di tempo libero serva a tutti i bambini, in generale, dalla primaria fino ai 19 anni, ma è innegabile che dove non ci sono mezzi (economici, culturali, di tempo, etc..) famigliari il tempo libero si riduca spesso a “spreco di tempo”, pertanto, in tali casi, meglio e ben venga un tempo strutturato a scuola.

    Viceversa, per chi può in qualche modo strutturare il tempo dei propri figli anche al di fuori della scuola, credo sia meglio un tempo ridotto perché:

    a) forse fuori si riescono a fare meglio certe attività (il violino imparato a scuola insieme a 20-25 compagni, di cui magari la metà poco interessata e/o poco dotata, forse è meno efficace dello stesso violino imparato fuori, in una scuola di musica o con insegnate dedicato, in un contesto di maggiore interesse);

    b) si possono comunque fare esperienze di gruppo e/o di collettività, anche se non si è più con i propri compagni di classe;

    c) c’è il rischio che una scuola in cui si faccia di tutto, dalle lezioni alla musica allo sport, si riduca un po’ anche a “luogo sicuro” per i genitori che, mandando i figli lì, sanno che, una volta usciti alla sera, hanno già fatto tutto e non ci si deve più occupare di molto altro. Non so, se non è strettamente necessaria, una scuola così alla fine non mi pare così accattivante per il bambino.

    Vero è che altrove, ad esempio in UK o Svizzera, esistono molte boarding school in cui i bambini vivono almeno dal lunedì al venerdì, se non anche il weekend, e sono molto buone (penso a Eaton, per esempio, o a certi collegi svizzeri), quindi magari invece questo è un modello che funziona benissimo, però non so se quelle realtà siano davvero paragonabili con un tempo pieno italiano o una qualunque scuola bilingue full-time, e non so se alla fine facciano la felicità dei bambini.

  3. La mia scelta parla da sola. Il Convitto nazionale è la scuola pubblica più simile ad un college.
    I bambini alle elementari stanno a scuola dalle h 7.50 di mattina alle ore 17.10 del pomeriggio (minimo).
    Non è un tempo pieno classico. L’orario è infatti è organizzato su due rientri. Negli altri pomeriggi vengono svolte sia attività di studio (compiti!) che ricreative, anche all’aperto. In più, per chi vuole la scuola offre corsi di musica, di lingua e di sport.
    Lo ammetto: per me è stata una scelta principalmente motivata dal lavoro mio e di mio marito, a tempo pieno e con orari che possono variare a seconda delle necessità (reperibilità, emergenze).
    Ho pensato che non potendo seguire mia figlia come avrei voluto, preferivo optare per una scuola in cui lei potesse far tutto. In più al Convitto c’è la figura dell’educatore (quella che una volta veniva definita dell’ istitutore) che rende il tempo trascorso particolarmente formativo anche per quanto attiene l’apprendimento della capacità, da parte dei bambini, di sviluppare una propria autonomia attraverso delle buone pratiche (disciplina e metodo).
    Io credo che se i genitori sono fortunati e l’indole del bambino è autonoma e responsabile, va bene tutto, ma nel caso di figli un po’ pigri e distratti lasciarli alle cure di una baby sitter non è il massimo.
    La mia scelta, in particolare, ha tenuto conto del futuro scenario adolescenziale.
    Alle medie (secondaria di I grado), scuole pubbliche dove i ragazzi possano stare anche durante il pomeriggio sono una rarità. E quello secondo me è proprio il periodo più delicato. L’idea di “contenere” i possibili viraggi adolescenziali grazie alla scuola (sport, compiti e socializzazione con il gruppo) mi è sembrata davvero molto buona. Quel che a me preoccupa è pensare che i ragazzi possano trascorrere pomeriggi di inattività, di noia da soli a casa, magari davanti al pc, senza che i genitori possano farci nulla (perché assenti). E poi durante l’adolescenza i pari sono un punto di riferimento fondamentale.
    I momenti di sconforto, se superati insieme agli altri, possono essere più facilmente affrontabili. Molto pericoloso è, invece, l’isolamento: per questo il Convitto, dove anche i ragazzi mangiano, fanno i compiti, sport e passano il tempo libero insieme, mi sembra protettivo rispetto a possibili momenti di sconforto o crisi.
    Non credo che questo, poi, possa comportare un’incapacità organizzativa:Interiorizzare un buon metodo e delle regole è un patrimonio a cui attingere in futuro, anche tenuto conto che il senso di responsabilità personale è un valore basilare del progetto educativo. Buon metodo porta generalmente buoni risultati e i buoni risultati rafforzano la sicurezza in se stessi dei ragazzi.
    Queste sono state le mie priorità. Poi certo, il corso di coro all’Auditorium di Santa Cecilia è meglio di quello fatto a scuola ecc…Ma mi considero, nel complesso, soddisfatta di quello che la scuola mi offre e la presenza degli educatori, per la mia esperienza, è preziosissima.

  4. Personalmente non saprei proprio dire cosa possa essere meglio. I miei figli finiscono alle 15.30 per cui hanno poi il tempo di fare dello sport o gioco libero visto che la scuola non dà compiti a casa tranne che per il weekend ( ma molto blandi). Certo è che pranzando a scuola l’aiuto ai genitori è notevole. per ora sono piccoli e confrontandomi con i figli di amici che alla scuola pubblica sono sommersi da compiti a casa non farei cambio. A bambini di scuola primaria “annegarli” con due tre ore di compiti al giorno mi sembra un’esagerazione. Tra l’altro finisce che i compiti li fanno i genitori insieme ai figli con davvero poca utilità per i bimbi. Una massa di nozioni tra l’altro inutili, preferisco che seguano il metodo della loro scuola che mi sembra maggiormente indirizzato a sviluppare le capacità “procedurali” piuttosto che riempirli di una marea di nozioni ed esercizi completamente sconnessi dalla realtà.
    Ovviamente con l’ingresso alle medie e alle superiori cambierà la mole e l’impegno . Per quanto riguarda il convitto ho delle riserve sul lasciare i figli tutta la settimana fuori casa dal lunedì al venerdì per cinque anni di superiori ( il figlio di un amico segue questo percorso) . Il rapporto costante e quotidiano con i miei figli lo ritengo molto importante per il loro sviluppo affettivo ( che non è affatto secondario) .

    1. Anche io avrei difficoltà a lasciare i miei figli fuori casa tutta la settimana, e non credo che il liceo europeo, x quel che ho letto sul sito, valga davvero la pena e lo sforzo.

      Altro discorso: ma perché le nozioni in quanto tali sono una massa di “roba” inutile? E gli esercizi individuali a casa non servono proprio a nulla?A me non dispiacerebbe che avessero un carico “giusto” di compiti x abituarsi ad organizzarsi autononamente nello studio e che imparassero qsa anche di nozionistico perché “sappiano” e non solo “sappiano fare”.

  5. Scusa Daniele ma il Convitto può essere frequentato anche da “esterni”, come fa mia figlia. Lei, finite le attività sportive o ricreative torna a casa. Il tempo che trascorriamo insieme quindi è solo di gioco o conversazione visto che la parte “compiti” è svolta a scuola. A casa non si portano né libri né quaderni! Dalla terza non so, forse ci chiederà di sentirle le lezioni orali, ma niente di più.

  6. Si lo sapevo Lavinia anche se molti lo frequentano da interni per cui i ragazzi ( come il figlio del mio amico) rimangono nel convitto tutta la settimana. Anche perché banalmente il liceo europeo è talmente raro che per poterlo frequentare bisogna necessariamente o spostarsi o sperare di avere un posto nel convitto ( cosa non semplice tra l’altro).

  7. Un aneddoto, realmente accadutomi all’edizione di due anni fa della fiera “Study in U.K.”. E’ presente la rappresentante di una boarding school, la quale illustra a chiunque la voglia ascoltare le caratteristiche di quell’istituto, che accoglie a convitto gli studenti a partire dai tre anni (sì, avete letto bene) di età. Ad un certo punto, soggiunge: “Noi cerchiamo di mantenere un 20% massimo di studenti stranieri, perché vogliamo restare una scuola inglese tradizionale. Per esempio, nel fine settimana non si va mica a casa: siamo tutti lì!”
    Punti di vista…

    1. Tutti chi?Allievi ed insegnanti o genitori, allievi ed insegnanti?Fa una bella differenza…opterei x la seconda, delle due quella più difficile da realizzare x gli stranieri, giustamente limitati quindi nel numero.In tal caso, approccio molto simile alle nostrane scuole cattoliche in cui, effettivamente, si è sempre tutti lì…

  8. Veramente, la signora intendeva allievi e insegnanti, senza genitori. E’ un uso anglosassone -per un esempio illustre, basta vedere la biografia di Churchill- che quando il bimbo sta alla boarding school veda i genitori praticamente solo a Natale e a Pasqua, e forse gli stranieri lo accettano meno.

  9. Ah, scusa, ora ho capito, non mi era chiaro…ma in tal caso perché limitare a priori l’accesso agli stranieri? Voglio dire: se la scuola è organizzata così e lo straniero viene informato e gli sta bene, perché non accettarlo?

    Avevo inteso che il problema fosse la distanza dalla scuola (per cui gli stranieri potevano essere svantaggiati a raggiungerla in caso di momenti di condivisione) ma se tanto devono restare lì solo i bambini, che differenza fa se la famiglia, da vedersi solo a Natale e Pasqua, sta ad un’ora di auto dalla scuola o ad un’ora di aereo?

    Non ha senso il discorso della teacher…gli stranieri che non accettano questa cosa semplicemente non si iscriveranno lì, non è la scuola che ha bisogno di mantenere un numero massimo di studenti non inglesi…a meno che non sia un qualcosa legato a certo snobismo della scuola stessa che preferisce cittadini nazionali inglesi (e non ci sarebbe nulla di male, ognuno decide liberamente chi accettare).

    1. Onestamente. non ho chiesto i dettagli. Devo però dire, anche con riferimento a casi che di recente hanno fatto discutere sulla stampa quotidiana del Regno Unito, che nelle scuole di quel Paese un alunno con familiari all’estero, sia o no cittadino nazionale, se è un bimbo o un ragazzino, pone dei problemi. Sono infatti state introdotte due normative. La prima, che recepisce una prassi già vigente da tempo, equipara in sostanza le assenze da scuola alle assenze da lavoro: sono giustificate solo in presenza di un certificato medico, altrimenti occorre chiedere le “ferie” al dirigente scolastico, o addirittura al Council, una sorta di Ufficio scolastico provinciale, che non necessariamente le concedono. In caso di trasgressione, sono previste salatissime pene pecuniarie, che se non pagate, almeno sulla carta, comportano pene detentive. La seconda dà autonomia ad ogni scuola nel fissare il calendario, per cui di due o tre fratellini uno può essere a scuola, gli altri no, anche nella stessa città e nello stesso ordine di scuola. I problemi nascono appunto nel caso di alunni che hanno i genitori all’estero, spesso il papà che lavora overseas, e per stare con loro, per ragioni di costo dei biglietti aerei ovvero di calendari scoordinati, dovrebbero stare a casa da scuola: di recente una mamma, assolutamente British, ha portato il caso davanti alla magistratura. Posso immaginare che un collegio non sia entusiasta se con alunni stranieri problematiche di questo tipo si moltiplicano.

  10. Daniele, da quel che so io essere accettati al liceo europeo da convittori è più semplice che da non convittori. I convitti nazionali sono ancora aperti e hanno dei fondi speciali è proprio in virtù degli interni 😉 e non so al nord, ma a Roma la maggior parte degli alunni richiedono, invece, la frequentazione del C.N. da esterni. Ma questo prendilo sempre con il beneficio del dubbio, considerando che mia figlia fa la seconda elementare. Lo so da mamme di figli più grandi, non da esperienza diretta.

  11. Ciao Lavinia al nord e a Venezia in particolare ( da quello che mi dicono gli amici ) è il contrario: i posto sono pochi e stilano una classifica. Mi sembra che da quest’anno hanno avuto dei fondi per ristrutturare un edificio e potranno aumentare i posti ( Venezia).

  12. Grazie per l’informazione Daniele…sembra proprio l’opposto di quanto accade a Roma! Interessante!

  13. post interessante trovato su italians di Severgnini :
    Prima media, quattro ore di compiti: è mai possibile?

    Caro BSEV, sono le 10:30 di notte e io aiuto mia figlia, undici anni, che frequenta la prima media, a finire i compiti probabilmente assegnati in maggior mole per punizione, perché i bambini hanno disturbato la lezione chiacchierando e scherzando. Moltissimi bambini italiani che frequentano le scuole medie trascorrono le sere di tutti i giorni da soli, chiusi in casa a fare compiti. Spesso anche la domenica. L’unico momento della giornata in cui incontrano dei coetanei, è la mattina a scuola. Non dovrebbe sorprendere che a scuola socializzino, scherzino, chiacchierino e ridano fra loro: quando altro potrebbero farlo? Ma per risposta, vengono puniti con ancora più compiti, vengono avvisati i genitori, fioccano gli otto in condotta. È proprio necessario che a undici anni un bambino debba passare tre-quattro ore al giorno, tutti i giorni, a fare compiti a casa? È necessario che apprenda tante nozioni, anche al costo di impedirgli di avere una vita sociale; di giocare; di passare del tempo all’aria aperta; di camminare; di mettere a fuoco lo sguardo all’infinito, attività che alla loro età devono e si meritano di vivere? Ne risulteranno davvero migliori cittadini, o eruditi disadattati, miopi, sovrappeso e stressati? Temo che questo metodo didattico avrà un costo pesante sullo sviluppo degli adolescenti e quindi dei futuri adulti: ho paura che il sistema scolastico italiano, con la frenesia di “mettersi al passo con l’Europa” e risalire le classifiche OCSE-PISA, stia commettendo uno spaventoso errore, di cui ci pentiremo per ben più di una generazione.

  14. Un certo Aristotele diceva che la virtù sta nel giusto mezzo. Sicuramente dopo avere ascoltato il docente bisogna ripetere le cose ascoltate e fare esercizio, e sbaglierebbe chi pensasse che il lavoro scolastico sia limitato a quello che si fa in aula. Ma tra il fare nulla e l’essere oberati di compiti non si può trovare un giusto equilibrio? Questo per i compiti durante l’anno. Quanto ai compiti per le vacanze, chiedo la par condicio: si assegni del lavoro da svolgere anche ai lavoratori in ferie!

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