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Bilinguismo: sai passare rapidamente da una lingua all’altra? I segreti del “code switching”

educazioneglobale bilinguismo e controllo3Per molte persone che padroneggiano più di una lingua, passare rapidamente da una lingua all’altra in modo rapido e con un accento “nativo” (o quasi nativo) è spesso faticoso.

In realtà, gli atteggiamenti verso il (proprio) bilinguismo sono i più vari. Il mio amico Stephen parla sei lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese e rumeno) e altre (che non ricordo) meno bene, con una conoscenza quasi infallibile della grammatica in ciascuna lingua; unica pecca un forte accento nordamericano in tutte le lingue. Mio figlio piccolo parla italiano ed inglese, pronunciando entrambe le lingue con accento più o meno corretto, ma ogni tanto se ne esce con frasi del tipo “questo big truck non mi piace perché è broken” (mischiando le due lingue) oppure “stiamo aspettando per nonna” (i.e. we are waiting for grandma, applicando la struttura grammaticale di una lingua all’altra). Una mia conoscente americana parla perfettamente l’italiano, ma non si accorge assolutamente di quando passa da una lingua all’altra (anche a metà di una frase), con l’ovvio risultato di mettere in imbarazzo chi l’inglese non lo parla. Potrei continuare, ma questi esempi sono sufficienti ad illustrare rapidamente quanto possano essere diverse le attitudini delle persone che conoscono più lingue, soprattutto quando si tratta di passare rapidamente da una lingua all’altra (quello che i linguisti chiamano “code switching“, riferendosi cambiamento di codice linguistico).

The Bilingual BrainQuesto è il terzo ed ultimo post del trittico ispirato a quanto ho appreso nel corso The Bilingual Brain (che poi è anche un libro: The Bilingual Brain: di Arturo E. Hernandez). Il corso, come ricorderà chi mi segue regolarmente, era un massive open online course  e, a chi non sapesse cosa è un MOOC, consiglio di leggere il post Stasera vuoi studiare a Stanford, Harvard o Yale? Accomodati, la lezione è online!

Come avevo già spiegato, i concetti chiave illustrati nel corso, fondamentali per capire come funziona il bilinguismo sono tre:

  1. l’età di acquisizione di ogni lingua (age of acqusition);
  2. il livello di competenza raggiunto in ogni lingua appresa (proficiency);
  3. la quantità di controllo che si ha sulla lingua (control; che è cruciale per passare velocemente da una lingua all’altra, ossia fare code – switching).

In Insegnare l’inglese (o altre lingue) a tuo figlio: a che età iniziare? avevo trattato il tema dell’apprendimento delle lingue alle diverse età, argomentando che la seconda lingua andrebbe appresa come la prima: il prima possibile e “per immersione” e non mediante lezioni di lingua – almeno non come primo approccio.

In Bilinguismo: tre cose che non sapevi (e l’ultima è sorprendente) ho trattato la questione dell’accento nella seconda lingua, di come si acquisisce un buon accento e di come si perde (si, gli accenti si possono anche perdere!). In quel post ho anche affrontato la questione relativa alle competenze linguistiche nella seconda lingua, ossia del “livello” al quale si è arrivati in quella lingua e spiegavo che nessuno è “negato per le lingue” (chi si sentisse ‘negato’ dovrebbe proprio leggerlo!).

In questo post affronto quindi il terzo grande tema centrale per il bilinguismo: quello del controllo sulla lingua. Il controllo che si ha su una lingua è l’abilità che sta alla base del language switching, che, come si è detto, è la capacità di cambiare lingua, di passare da una lingua all’altra.

Personalmente è un tema che mi tocca parecchio, almeno negli ultimi anni. Un tempo mi capitava di parlare inglese solo se ero negli Stati Uniti o in Inghilterra, oppure in qualche viaggio in altri paesi di cui non conoscevo la lingua. Capitava poi in alcune altre occasioni: quando avevo amici dall’estero o occasioni di lavoro all’estero o persone straniere che venivano da noi, oppure vedendo film in lingua originale o leggendo libri inglesi o americani. Ormai, avendo scelto di parlare inglese al terzogenito, parlo metà giornata in italiano e metà in inglese (o quasi). La cosa più difficile non è mai parlare una lingua (o l’altra), ma il momento in cui devo fare frequenti “passaggi di codice”, parlando – quasi contemporaneamente –  sia italiano che inglese a due diverse persone nella stessa stanza.

educazioneglobale bilinguismo e controllo2Bilinguismo e neuroscienze: cosa ci consente di passare da una lingua all’altra

La sede del controllo nel cervello, secondo quanto appreso nel corso, risiede in un luogo specifico: la corteccia prefrontale dorsolaterale che è considerata, un vero e proprio “language switch. Uno studio del 1999 (Meuter Allport) proprio sul code switiching ha dimostrato che il passaggio da una lingua all’altra è possibile solo se il lobo frontale è integro. Questa zona del nostro cervello cresce dalla nascita ai 25 anni, poi negli anni si riduce in massa.  Ma il fatto che si riduca quanto a massa non vuol dire che funzioni meno: anzi, il controllo – e dunque la capacità di passare rapidamente da una lingua all’altra, senza confondersi – raggiunge la sua massima efficienza negli adulti.  Pertanto gli adulti bilingui sono più rapidi a passare da una lingua all’altra rispetto ai bambini bilingui o agli anziani bilingui: i primi perché non hanno ancora completato lo sviluppo del lobo frontale e i secondi perché si degradano i processi di mielinizzazione dei neuroni (la mielinizzazione consente ai messaggi tra i neuroni di procedere più rapidamente).

Gli studi più interessanti sul bilinguismo sono però, tristemente, quelli relativi alle persone che hanno subito un danno cerebrale: qui è rilevante la law of regression, ossia il principio che, in caso di danno cerebrale che impatta l’area più coinvolta nell’uso delle lingue (l’emisfero sinistro), si perdono le lingue “al contrario”. Rimangono la (o le) lingue apprese da bambini. Questo perché l’apprendimento precoce di una lingua è totalmente diverso da un apprendimento tardivo, il primo è più automatico sensoriale motorio e il secondo è più razionale, come ho già spiegato in Insegnare l’inglese (o altre lingue) a tuo figlio: a che età iniziare?

educazioneglobale bilinguismo e controllo2Il bilinguismo è un buon esercizio per il cervello

Gli esperimenti di Ellen Bialystock hanno dimostrato che il passaggio da una lingua all’altra è un buon esercizio per il cervello. I bambini bilingui possono dissociare più facilmente oggetto e nome dell’oggetto (il nome con cui etichettiamo l’oggetto) perché hanno due etichette diverse per uno stesso oggetto, dunque i bambini bilingui hanno più flessibilità. Paradossalmente, il vantaggio cognitivo derivante dal bilinguismo, non c’è per chi è bilingue tra una ligua parlata e il linguaggio dei segni (utilizzato dai non udenti): non c’è interferenza tra le due lingue perché una è verbale e l’altra no.

educazioneglobale bilinguismo e controllo1Per quanto riguarda le lingue è sempre meglio l’apprendimento precoce e ludico

Nel corso che ho seguito, il professor Hernandez ha citato uno studio che paragonava due gruppi di bilingui, uno che aveva appreso la lingua per immersione e l’altro che aveva appreso la lingua a scuola, come una materia di studio. Posti di fronte ad una batteria di test, i bilingui che avevano appreso la lingua “per immersione” (spesso in famiglia) avevano avuto meno problemi a ricordare rapidamente una serie di parole nella seconda lingua, il che suggerisce che chi apprende una lingua “per immersione” attiva un collegamento automatico tra concetti e parole. Le parole apprese nella seconda lingua sono più direttamente legate al loro significato. Ciò suggerisce che le lingue apprese in modo formale, tramite lezioni di lingua, per intenderci, risultano meno naturali di quelle apprese in famiglia o, comunque, in un contesto sociale o anche scolastico che funziona “per immersione”. Se si apprende in un contesto meno naturale c’è bisogno di un maggiore controllo. Più controllo equivale ad un maggiore sforzo. La verità, dimostrata anche scientificamente, è che si tende ad associare la lingua con il tempo, il luogo e le persone con le quali la si è appresa. Le lingue sono incorporate nel luogo (e, a volte, nel tempo) dell’esperienza fatta per apprenderle (the words that fit the language or the context comes faster than the one that does not). Più è vasto il tempo, il luogo e maggiori le persone con le quali la si è appresa e più conoscenza e controllo della lingua si ha.

educazioneglobale bilinguismo e controllo1Conclusioni

Età di apprendimento della lingua, competenza e controllo sono i tre fattori chiave del bilinguismo. Detto in altri termini: bisogna imparare una lingua il prima possibile, parlarla più spesso e più a lungo possibile (anche ad un livello “alto” in termini di contenuti) e sapere che, comunque, il passaggio da una lingua all’altra richiede sempre un pò di fatica.

Dei tre fattori, tuttavia, il primo – ossia l’età di acquisizione – rimane cruciale nell’apprendimento delle lingue. E se bisogna impararle da piccoli allora è chiaro che le “lezioni” non sono il modo migliore per insegnare una lingua per bambini e ragazzi, ma, piuttosto, che beneficiano di essere “immersi” nella lingua in modo giocoso.

E per chi è adulto e vuole imparare una lingua allora non c’è speranza?

In realtà c’è. Certo, raggiungere un alta competenza e avere un accento “nativo” iniziando da adulti è difficile, dunque raro. Ma si può raggiungere un livello discreto se si fa leva sui 3 fattori–chiave per l’apprendimento delle lingue (fattori, lo ripeto, che valgono solo per gli adulti): la motivazione, la precedente esperienza di apprendimento delle lingue, la strategia di apprendimento. Ne parleremo prossimamente!

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Comments

  1. Buongiorno, sono la mamma di un bimbo di 3 anni che stiamo crescendo trilingue ( o almeno ci proviamo!) e vorrei raccontare la mia situazione e i miei dubbi. Viviamo a buenos aires, quindi lingua “sociale” spagnolo , lingua materna italiano e lingua paterna greca. Direi che il piccolo e’ esposto in egual misura alle 3 lingue. Stiamo usando il metodo OPOL sin dalla nascita. Ad oggi mostra una comprensione totale di tutte e tre le lingue. Parla da circa un annetto mischiando parole di una e l’altra lingua (costruendo vocaboli a volte anche molto graziosi!). Posso dire che nonostante tutto l’impegno che ci mettiamo nel fargli sviluppare un linguaggio che cresca in egual misura per cada lingua, noto una predominanza della lingua “sociale”. Spesso quando chiede qualcosa lo fa in spagnolo. se gli chiediamo noi qualcosa istintivamente risponde in spagnolo, poi quando gli diciamo che non capiamo piano piano cerca di cambiare registro e gli vengono fuori le parole giuste (non sempre) e se lo vediamo in difficolta’ lo aiutiamo o lo correggiamo con la frase corretta. Ecco, diciamo che il code switching non e’ proprio immediato. Siamo forse noi a sbagliare qualcosa? Sara’ normale questo processo per la sua eta’? Il fatto di “pretendere” che si sforzi a parlare nella lingua a cui gli si rivolge puo creare un rifiuto con l’andare del tempo? Dobbiamo continuare cosi? Purtroppo non e’ cosi facile trovare degli specialisti in questo settore (almeno qui in sudamerica) e mi piacerebbe confrontarmi su questi aspetti con qualcuno che ha avuto esperienze simili.
    Un caro saluto e complimenti per il sito!

    1. Ciao Franci, intanto ti dico che sono molto contenta di avere qualcuno che mi legge da Buenos Aires, se non altro perché sono una grande lettrice di Borges!
      Ti rispondo sulla base delle mie conoscenze, di persona bilingue che sta crescendo figli bilingui e che ha letto molto sul bilinguismo, tanto per chiarire i limiti anche di quello che so. Insomma, non sono una specialista, ecco.
      Ciò che mi narri è, secondo la mia esperienza, assolutamente normale. La lingua “sociale”, la lingua del posto in cui si vive, sarà sempre la lingua dominante, salvo i casi in cui non si viva in una “bolla” di expat che frequentano scuole da expat (nel tuo caso, una scuola italiana o una scuola greca in loco).
      Bisogna essere realistici e sapere che lo spagnolo sarà comunque la lingua dominante di tuo figlio e che lui parlerà lo spagnolo con l’accento argentino di Buenos Aires qualunque sia il vostro accento in spagnolo.
      In altre parole, molto difficilmente sarà un “trilingue bilanciato”, salvo che, ad un certo punto della sua vita, non viva per un periodo in Italia o in Grecia. Ma il fatto che non sia bilanciato non vuol dire che non sarà trilingue.
      Solitamente, quando si usa l’OPOL, la lingua dominante del bambino molto piccolo è quella della mamma. Lentamente, crescendo, il contesto sociale (e il gruppo dei pari, quando sarà scolarizzato) assume importanza e la lingua più forte è quella della socialità.
      Lo vedo anche con mio figlio (ore 4 anni) e ne scriverò presto su questo sito. L’altro giorno ero in congedo parentale perché lui non andava a scuola e siamo stati buona parte della giornata insieme. Per molte ore non gli è uscita una parola di italiano. Ma è bastato che incontrassi un’altra mamma in un museo per bambini e mi mettessi a parlare con lei che lui, improvvisamente, ha cominciato prima a mischiare le lingue (code mixing) in modo quasi enfatico “Can you please allacciare my shoes?” e poi a parlare direttamente in italiano. E’ normale.
      Quando siamo tutti insieme, lui, io, le sorelle (di cui una gli parla in inglese e l’altra in italiano), il papà (che gli parla in italiano) lui parla SOLO italiano, usando un po’ di inglese quando si rivolge a me.
      E’ una questione di input. Tu prova a calcolare la quantità di tempo dedicata all’immersione in ciascuna lingua ed hai una misura del risultato. Serve almeno il 25% – 30% delle ore di veglia di immersione totale in una lingua per sviluppare e mantenere una lingua ed ottenere un bi-tri-quadri linguismo anche se sbilanciato. Dunque bisogna essere realistici.
      Quanto a forzare la mano ci sono genitori che lo fanno, con ottimi risultati. Io non l’ho fatto perché mio figlio mi sente parlare italiano con tutti e non potrei mai fingere di non capire la lingua, ma forse non l’avrei fatto comunque per carattere. Quando mi parla in italiano siamo da soli mi limito a dirgli ridendo “English please!” e continuo imperterrita la conversazione in inglese anche se lui utilizza l’italiano. Nel giro di due frasi fa il switch all’inglese spontaneamente, almeno finché ha le parole per esprimersi.
      Quello che ti posso consigliare di fare è di
      – valutare la quantità di esposizione in ciascuna lingua per un paio di giorni;
      – cercare di aumentare l’interazione nelle due lingue minoritarie, veicolandole anche con altri mezzi (leggergli di più in greco e in italiano, ad esempio);
      – invitarlo a rispondere in italiano e in greco quando parlate, ma senza dare troppa importanza se non lo fa: mantenete la conversazione viva, senza interruzioni (keep the ball rolling!)
      – trovare altre famiglie greche e italiane con figli di quella età e creare delle situazioni sociali in cui tutti parlano ciascuna lingua minoritaria, mostrando che anche essa è un lingua “sociale”.
      Quest’ultimo consiglio è il più importante e lo sarà di più quando vostro figlio crescerà. Occorre creargli intorno dei modelli sociali che gli facciano percepire che le lingue di mamma e papà sono una richezza e non un inciampo. Ma questa è una considerazione molto forward looking: c’è un momento, nell’adolescenza, in cui per affermarsi ed esistere un figlio rifiuta i genitori e il loro mondo. Non è detto che questo rifiuto prenda la forma di rifiuto della lingua ma potrebbe, dunque è importante che le lingue minoritarie siano parte del suo mondo, anche del mondo dei suoi coetanei e non siano solo le lingue dei genitori e dei nonni.

  2. Ciao Elisabetta, grazie per la tua rassicurante e chiara risposta.
    Ho iniziato a seguirti da Atene qualche mese fa quando verso settembre, stavamo entrando nella giungla della ricerca della scuola per il piccolo (gia il prossimo anno probabilmente ci trasferiremo li).
    Il dilemma scuola bilingue o non bilingue, mi ha portato nelle tue pagine virtuali.
    Come puoi capire siamo una famiglia in continuo movimento. Fino adesso abbiamo avuto la fortuna di passare almeno 3 mesi all’anno nei nostri paesi e questo, come dici tu, e’ un bene per l’apprendimento delle lingue per mio figlio. Quest’anno qui in Argentina frequentera’ il secondo anno di asilo e per la prima volta introdurranno l’inglese. Aiuto, ti confesso che mi preoccupa un po..anche se due ore a settimana non le sentira’ neanche. Secondo te dovremmo usare qualche accorgimento per facilitare l’approccio con questa quarta lingua?
    Sono contenta di aver trovato questo sito!
    Un caro saluto.

    1. Ciao Franci,
      no, io non userei nessun accorgimento al momento con l’inglese, visto che ognuno di voi genitori è già “portatore” di una lingua minoritaria.
      L’unica cosa che potete fare, nel caso, è far capire a vostro figlio che conoscete l’inglese. Dunque, se e quando dirà una parola o una canzone o qualsiasi altra cosa in questa lingua, provare a sottolineare la cosa o a riprendere il vocabolo in qualche modo. Mi sembra già che facciate molto così!

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