Educazione Globale

Manifesto per una scuola europea

educazioneglobale Scuola EuropeaViviamo in tempi sicuramente interessanti. Come tutti sappiamo, giovedi 23 giugno si tiene nel Regno Unito il referendum con il quale il paese potrebbe decidere la famosa Brexit, ossia la sua uscita dall’Unione Europea. In caso di vittoria di Brexit, l’uscita dalla UE non sarebbe automatica ma darebbe mandato politico al governo britannico per ridiscutere con l’UE tutti i trattati che ha siglato e trovare un accordo sulle condizioni dell’uscita.

Dopo un così lungo cammino di integrazione europea, nato per mettere fine alle guerre tra paesi limitrofi, imboccare la strada contraria, quella anti – Europea, pare una follia.

E’ per questo che viviamo in tempi interessanti, per questo paradosso: il mondo non è mai stato così globalizzato eppure i nuovi nazionalismi non sono mai stati così forti. L’Unione Europea non è mai stata così ampia, eppure l’idea di Europa non è mai stata così debole. Ascoltando la puntata di Intelligence Squared intitolata Greece versus Rome mi chiedevo: dobbiamo alla cultura greca la nozione di democrazia e a quella romana quella di cosmopolitismo, perché non riusciamo a farle convivere, magari in un nuovo ultra-Stato europeo?

Mentre l’Europa diventa anti – europeista diventa ancora più urgente formare i cittadini europei. Forse, infatti, per creare veramente un’Europa unita e una cittadinanza europea, avremmo bisogno di qualcos’altro, ossia di una scuola veramente europea, che formi i giovani europei. Non mi riferisco qui a quella quindicina di scuole europee già esistenti, che si trovano solo in poche città con lo scopo principale di accogliere i figli dei funzionari europei. Mi riferisco alla necessità che scuole di tal fatta siano accessibili a tutti. Insomma, ci serve una scuola europea, con lo stesso curriculum e lo stesso titolo finale, pubblica e gratuita per tutti i giovani dell’Unione Europea.

Sino ad oggi, della formazione dei cittadini degli Stati nazionali si sono occupati, come era naturale, i sistemi scolastici nazionali. Ogni sistema scolastico ha pertanto caratteristiche diverse perché si è evoluto in uno Stato diverso. In passato, però, queste differenze non contavano più di tanto dal momento che ogni cittadino si limitava a scegliere, per i suoi figli, la scuola pubblica del suo paese.

Oggi, tuttavia, in molte città vi sono scuole che afferiscono a sistemi di istruzione diversi; così i genitori possono fare “shopping around” tra scuola italiana, francese, inglese, spagnola, americana e tedesca, talvolta anche cinese, più una serie di modelli ibridi. Ma questa possibilità di scelta è riservata solo agli abbienti, dunque quanto mai iniqua. Inoltre, esisterebbero anche altri sistemi scolastici che hanno caratteristiche positive: ad esempio la scuola finlandese, sempre in buona posizione nei test OCSE – PISA. Ogni modello ha i suoi punti di forza e debolezza: in uno la tecnologia, in un altro la presenza della cultura classica e così via.

Dunque, i sistemi di istruzione sono ormai in concorrenza. La tendenziale diffusione di modelli globali, come l’International Baccalaureate, ha accentuato questa concorrenza e, come in ogni genere di competizione, vi sono i vincitori e i vinti. Escono vincitori gli inglesi, che esportano education a tutto spiano, anche per via dello status dell’inglese come “lingua franca” del mondo moderno. Escono sconfitti gli italiani, che hanno un sistema scolastico disuniforme per qualità, dove convivono – in modo stridente – gli asili nido di Reggio Emilia (modello di eccellenza nel mondo) e le troppe scuole che sono allo sfascio (fisico e simbolico).

Così molti italiani che possono scappano dalla scuola italiana (rectius: da alcune scuole italiane, dipende dal territorio) e “comprano” modelli stranieri (specie quello anglo-sassone, ma non solo). In questo acquisto di un sistema straniero c’è spesso una buona dose di inconsapevolezza: c’è chi non distingue il contenuto del servizio che paga a caro prezzo. Si sceglie la scuola inglese o americana per la lingua o per il curriculum? Chi vuole la lingua deve capire che la “scuola in inglese” è una cosa, ma la “scuola inglese” è un’altra (perché porta con sé la sua cultura). Anche con il CLIL, con il programma Cambridge international o con le scuole bilingui, alla fine, bisognerebbe porsi la stessa domanda: cosa veramente si sta scegliendo?

Sempre di più, mi pare, non è più sufficiente solo confrontare le esperienze. E’ certo importante che tante scuole, a cominciare dai grandi licei pubblici italiani, abbiano progetti di gemellaggio e di scambio internazionale con le scuole di Edimburgo o di Colonia, di Parigi o di Bruxelles. Ma confrontare esperienze ed importare standard (come gli insegnamenti e gli esami IGCSE, ad esempio) non è più sufficiente.

E’ ora più che mai necessario capire quali siano i problemi comuni e quali soluzioni si possano dare, in modo da sviluppare il modello di convivenza europea dei prossimi anni. Occorre porre le basi per costruire un modello didattico ibrido, che superi le scuole nazionali.

L’Europa ha bisogno di una scuola europea anche per dare risposta all’invasione pacifica di migranti che cercano una vita migliore (a volte cercano soltanto una vita, e trovano invece la morte nelle acque del mediterraneo).

Le domande che questa ondata umana solleva sono divenute più che mai urgenti, ma sono anche le nostre: in quale direzione deve orientarsi un’educazione segnata dalla presenza di cittadinanze multiple? Come gestire il fatto che alle varie cittadinanze degli Stati Nazionali UE si sono aggiunte altre culture, razze, cittadinanze, religioni? La cosiddetta “via dell’intercultura” può ritenersi ancora la più utile da percorrere?

Vorrei chiudere questo mio auspicio – poiché altro non è che in auspicio – con l’estratto da una intervista ad Alessandro Baricco (A questa Europa manca un sequel. Invito i narratori del continente a pensare un futuro possibile, Corriere della Sera del 15 novembre 2015) che afferma: “ … Gli europei parlano lingue diverse e quella franca usata da tutti, l’inglese, arriva da un altro polo, gli Stati Uniti, e dalla Gran Bretagna, che nell’Europa ci sta meno volentieri di tutti (…) ho spesso pensato che dovremmo avere una scuola comune. Tutti abbiamo lo stesso problema, perché ognuno dovrebbe risolverselo da sé? Facciamo grandi studi, scateniamo intelligenze potenti. Perché non proviamo a mettere insieme tutto, decisamente, facendo appunto una scuola comune. E lì, certo, sorgerebbe il problema della lingua. Ma come è fantastico pensare che quel confine lì, di cui parlavo prima, nel giro di qualche decennio lo attraversi in macchina senza passaporto, e se te lo dicevano nel 1939 sembrava una follia, molte cose che oggi possono sembrare pura follia potrebbero domani diventare realtà. Io sono abbastanza convinto che il bilinguismo sia qualcosa che ormai in Europa possiamo permetterci. Due lingue madri. D’altronde in passato si scrivevano documenti in latino e poi si parlavano lingue diverse. Non è una cosa che non sia esistita”.

 

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