Che futuro si profila nel nostro paese?
E’ questa la domanda – già ricorrente in molti – che prende il lettore alla fine de “La società signorile di massa” di Luca Ricolfi, sociologo e professore ordinario di analisi dei dati all’Università di Torino.
La tesi del libro di Ricolfi, in sostanza, è la seguente: l’Italia presenta una configurazione sociale di tipo nuovo, la cosiddetta “società signorile di massa” perché – in un corpo principale che resta capitalistico – vede l’innesto, sempre più dominante, di elementi delle società feudali e signorili del passato. Pertanto, l’uso della locuzione “signorile di massa” caratterizzerebbe una società in cui l’economia non cresce più e i cittadini che non lavorano sono più numerosi di coloro che lavorano (rimando al libro stesso per la consultazione di numeri e percentuali).
Come vivono, allora, i tanti che non lavorano? Semplicemente accedendo al surplus di patrimonio accumulato dalle generazioni precedenti (basta pensare al crescente numero di persone che affittano stanze, spesso in nero, a turisti o a studenti in grado di spendere).
Lo traduco in parole più semplici? Stiamo consumando una ricchezza accumulata in passato ma non ne stiamo creando di nuova (e, come si intuisce, i tempi delle vacche grasse finiranno). Come afferma Ricolfi siamo “abbastanza prosperi per permettere a tanti di noi di non lavorare” ma “non siamo abbastanza produttivi per permetterci di conservare a lungo la nostra prosperità”. Ma in tanti preferiscono non vedere.
Luca Ricolfi elenca i tratti distintivi della società signorile di massa in tre primari e cinque secondari.
I tre tratti primari sono l’elevato peso degli inoccupati, l’elevata ricchezza privata e la stagnazione dell’economia.
I tratti secondari della società signorile di massa, invece, sono l’alta presenza di NEET ossia i giovani che non lavorano non studiano (Not in Education, Employment or Training), la diseguaglianza nell’allocazione del lavoro (poche persone lavorano tanto per tante persone che non lavorano per niente), l’altro peso del tempo libero nella vita, il numero molto alto di anziani e il numero molto basso di figli per donna fertile.
Altri paesi, afferma l’Autore, hanno alcune o molte di queste caratteristiche, ma nessun altro paese le ha tutte.
Al di là della fotografia di tipo economico, che potrebbe avere anche i suoi detrattori (sono curiosa di leggere eventuali recensioni critiche), secondo me il libro è molto interessante per il modo in cui mette a fuoco e concettualizza fenomeni che sono sotto gli occhi di tutti e che sono particolarmente rilevanti per chi ha figli in età scolare, universitaria o per chi, anche al di fuori di questi casi, è preoccupato per il futuro.
Si tratta di una lettura utile anche per farsi un bell’esame di coscienza collettivo e, se possibile, rimboccarsi le maniche e ritrovare la voglia di costruire un domani meno precario.
Prendo spunto, quindi, da alcune parti di questo volume che mi hanno colpito di più. Questa non vuol essere una recensione ma una lettura personale del libro – che ho finito in pochissimi giorni – dunque a me sola sono da ascrivere salti logici o eventuali incongruenze.
La disoccupazione volontaria e l’alto numero di NEET
Uno dei tratti distintivi del nostro Paese è la cosiddetta “disoccupazione volontaria” (specialmente tra i giovani ma anche tra le donne) e l’altra è la presenza di un’infrastruttura che Ricolfi definisce – e non a torto – para-schiavistica e fa riferimento alla situazione in cui si trova una parte della popolazione residente, spesso costituita da stranieri, che svolge le mansioni più umili (colf, badanti, operai edili ma anche operatrici nei call center) o che viene sfruttata in modo ignobile e spesso in nero (come, ad esempio molti lavoratori stagionali), perlopiù a beneficio dei cittadini italiani.
Ed è tornando ai giovani che non studiano nè lavorano – i famosi NEET – che Ricolfi si sofferma su un caso tipico, che chiama Jacopo. Trent’anni o giù di lì, Jacopo sta cercando lavoro ma per ora ha trovato, con difficoltà, solo occupazioni poco retribuite vive ancora con i genitori ma da giovane adulto indipendente, sfruttandone la casa di proprietà e la seconda casa per le vacanze e vivendo, tutto sommato, una vita fatta di agi e di consumi. Una realtà che è, tristemente, sempre più comune.
Tra i passaggi che intendo evidenziare – forse perché hanno reso sistematiche una serie di osservazioni empiriche – c’è quello che riguarda l’analisi del tempo libero e dei suoi usi.
Tempo libero usato per il consumo e non per la cultura
La maggior parte delle persone ritiene di non avere abbastanza tempo libero e di avere una vita frenetica, ma ciò non risponde al vero: abbiamo molto più tempo libero di quanto non ne avessero le generazioni passate. Ma questo tempo “liberato” non è stato usato (come auspicava Domenico De Masi nel gradevole saggio Il futuro del lavoro e nel successivo libro L’ozio creativo), per innalzare il proprio livello culturale, per vivere più maniera più saggia e salutare, per coltivare affetti ed amicizie, per leggere e per studiare. Tutt’altro. Anziché usare la cultura per riempire il tempo libero si è scelto di usare i consumi per “attrezzarlo”.
Il tempo libero – afferma Ricolfi – non lo si sa più riempire da soli ma si sente la necessità di farselo animare da intrattenitori di vario tipo, colmare da una miriade di oggetti di consumo, spendere in realtà virtuali (un ossimoro) o in servizi alla persona. Da qui nasce l’ossessione per lo shopping come passatempo e l’impressionante sviluppo di beni, servizi e attività il cui scopo primario è quello di aiutarci a “consumare” piuttosto che a “vivere” il tempo libero.
Ricolfi mette in mezzo tutto: l’enorme industria dell’intrattenimento basata sul cibo (ma oggi si dice food), fatta di apericene, aperifeste, pub, piadinerie, focaccerie, bistrot, sushi bar e di cibo portato a domicilio (il mercato del food delivery, che aumenta il fatturato in modo siderale di anno in anno), ma anche i mercatini o le mostre-mercato (una locuzione detestabile perché ipocrita) insieme a personal trainer, truccatori e massaggiatori, organizzatori di matrimoni e feste a tema varie, primi tra tutti gli animatori nelle sempre più esagerate feste per bambini (gli unici che sapevano ancora giocare…).
In questa cultura del consumo (o “non cultura” del consumo), La società signorile di massa si sofferma molto su un fenomeno che è sotto lo sguardo di tutti: la moltiplicazione dei locali dove si mangia. Gli italiani che erano sempre usi cucinare e mangiare in casa (almeno di sera o di domenica), ora mangiano continuamente fuori casa. Sembra un’affermazione banale ma non lo è quando Ricolfi ne descrive le conseguenze: mangiare fuori casa significa anche adottare un atteggiamento da turista (“con il corredo di libertà e spensieratezza che al turista è associato”), mentre cucinare in casa vuol dire adottare uno stile di vita più parsimonioso, da lavoratore.
Ricolfi non lo dice, ma va da sé, che non è tanto l’uso sporadico di questi beni o servizi che colpisce ma è la prevalenza del consumo in sé che emerge preponderante. Dunque il tema non è tanto una cena fuori casa per incontrare un amico, ma è l’uscita per l’uscita che diventa patologica. E ancora di più – aggiungo io – il caso in cui l’aperitivo nel luogo famoso, l’acquisto del bene di lusso o la vacanza esotica è fatta per conformarsi ad uno standard e per poi condividere, postare, fotografare, instagrammare il momento, il luogo, il piatto che stiamo mangiando, in una continua rincorsa sociale di uno stile di vita certamente ostentato ma non necessariamente goduto.
Insomma: alla fine bisogna aver fatto qualcosa di eccitante nel weekend da raccontare agli altri. Poco importa se ci siamo o non ci siamo divertiti.
L’ostentazione del consumo
A proposito di conformarsi ad uno standard che prima di essere di gusto è solo di consumo e di ostentazione del consumo, mi viene in mente un aneddoto personale.
Anni fa, per una strana serie di circostanze, mi trovai ad accompagnare in un negozio una conoscente. Colà incontrammo altre persone che lei conosceva, che si aggiravano provando capi e commentando. In quel frangente, mi colpì una giovane donna che guardava delle scarpe con tacco altissimo e pienedi borchie. Al di là dei gusti, il prezzo era esorbitante: 350 euro per camminare sostanzialmente scomodi. il commento mi uscì spontaneo: “E chi comprerebbe mai delle scarpe ad un prezzo del genere?”. La donna si girò, con aria serafica, dicendo “Ah…ma io tanto le prendo a rate!”, mostrando così di non aver capito assolutamente il senso della mia affermazione, spinta più dalla moderazione che dalla mancanza di liquidità.
Perché cito questo esempio? Forse perché la risposta era fornita in modo così casuale da far capire quanto il pagamento rateale anche per l’oggetto superfluo fosse comune. In altre generazioni, l’idea di indebitarsi per acquistare la versione di lusso di un oggetto ordinario era fuori discussione. Ora è diffusa, un chiaro esempio di “consumo opulento”.
Altri elementi che l’Autore pone in luce sono ben più preoccupanti: la rincorsa continua di emozioni forti per cui è diventato molto comune occupare il tempo libero sia con il binge drinking, sia con il consumo di droghe, nonché il dilagare del gioco d’azzardo. Non so quanto ciò accada ad altri ma le poche volte che entro da un tabaccaio, anche la signora più insospettabile chiede un “gratta e vinci”. Le basterebbe conoscere un pochino di statistica e di probabilità per convincersi che è assai meglio tenerseli in tasca quei soldi. Siamo diventati un popolo di bevitori e giocatori.
Tanti gli altri temi del libro che tralascio, per mancanza di tempo; solo qualche osservazione finale.
La definizione di società signorile di massa non è solo suggestiva ma anche inquietante. Il libro fotografa e descrive una società che non giudica. Le conseguenze dell’analisi svolta emergono – però – ben chiare: gli italiani non solo non stanno costruendo un futuro, ma stanno facendo baldoria utilizzando la ricchezza accumulata dalle generazioni precedenti e, se ciò a qualcuno ricorda la decadenza dell’impero romano, sappia che fa il medesimo effetto anche a me.
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Interessantissimi spunti di riflessione (con rammarico).
Quello che più colpisce, inoltre, di questo quadro, è l’impressione che l’attività di pensiero, quello astratto, non faccia più parte della nostra vita, e non parlo di ambito filosofico, ma di normali ragionamenti che sarebbero doverosi anche per scelte quotidiane. Quello che vedo è che, in questo turbine di consumo a tutti i livelli (tanto per ogni bene c’è il suo corrispondente low cost), la gente non pensa, ma “fa”, spesso acefalamente.
Eppure la scolarità è cresciuta, la “cultura” è alla portata di chiunque la cerchi, ma questo non sono più certa che produca quello che dovrebbe produrre.
Leggerò il libro per intero.
Grazie Elisabetta.
Scusate le osservazioni apocalittiche….
Non per sembrare presuntuoso, ma i fenomeni rilevati dal prof. Ricolfi li avevo notati anche io, e non da ieri. In proposito, osservare chi ti circonda all’ora dello spritz in una citta’ (?) dell’ operoso (?) Nordest puo’ essere istruttivo. E formulo a voce alta una domanda che pure mi faccio non da ieri: quando finisce la pensione di babbo e di mamma, cosa succede?
Ho comprato e letto in due giorni il libro grazie a questo interessante post…se ci aggiungo le ultime rilevazioni OCSE PISA viene male…la parte del libro che mi ha colpito di più è quella che parla del decadimento del sistema di istruzione pubblico
negli ultimi 40 anni. ..incontro ancora molte persone, nati tra i ’70 e gli ’80, genitori di adolescenti, saldamente convinti che la scuola pubblica (o una certa cattolica di antica tradizione) sia la migliore scelta per i propri figli…ma non sono affatto sicura che ciò che ricordiamo noi della nostra scuola corrisponda a quanto c’è oggi a disposizione…
O, forse, Valeria, corrisponde, sia pure in maniera annacquata, e proprio per questo non è più adatta al mondo di oggi.
Grazie Elisabetta per gli spunti di riflessione. Le ripercussioni sul sistema pensionistico saranno micidiali: pochi contributi, pochi figli. Chi pagherà i servizi (pagati dalle tasse) in futuro? I pochi nati (dagli anni novanta) potranno sostenere le molteplici pensioni dei tanti anziani, sempre più longevi? E se i pochi neanche pagano i contributi, o li pagano poco? Evidentemente no.
Credo che ciò determinerà un impoverimento progressivo: i ricchi potranno permettersi istruzione e sanità privata (che sarà la migliore, probabilmente) e gli altri, potranno accedere a servizi pubblici sempre meno efficienti.
Io faccio un continuo sforzo da anni, per rifiutare il vantaggio del nero che viene spesso proposto (anche dai medici). Costerà di più, ma dobbiamo partire dal nostro piccolo.
Quanto alla questione del food, la preparazione casalinga richiede più tempo (anche per la spesa), più stoviglie da lavare, più fatica. Se il driver ti porta tutto pronto a casa per un prezzo ragionevole – che importa la verifica della qualità del prodotto – perché cucinare?
Un tempo le donne preparavano pranzi per famiglie intere, disponevano di pentoloni era una festa. Ma oggi spesso si arriva la sera tardi, magari dopo ore di traffico, stremati e durante i fine settimana si fa tutto quello che non si riesce a fare nei giorni lavorativi della settimana (we faticosissimi!).
A parte questo, ormai andare a prendere un aperitivo o cenare in un posto carino è un lusso accessibile. Come il tour al centro commerciale, per la soddisfazione dello shopping low cost ( vedi outlet), sostenibile e anche rateizzato.
Tanto, che metti a fare da parte i soldi per una casa che non potrai mai comprare? O per un futuro a cui non puoi neanche pensare, perché vivi alla giornata? Guardare al futuro, per molti è davvero impensabile. Troppo nero, si rimuove.
Sono troppo pessimista?
…e a proposito dei driver che consegnano a casa (dalla cena al libro) si pone un immenso problema sulle condizioni lavorative che, per non aumentare troppo i prezzi, vengono proposte ed accettate da questo tipo di lavoratori. E all’impoverimento dei negozianti al dettaglio. Vabbè altri problemi giganteschi.
Ti dirò, Lavinia, un amico di una delle figlie, usando un’app, si è messo una sera a far delle consegne con il motorino, a dire il vero più per curiosità che per bisogno. Sarà che era il fine settimana, sarà che è educato e carino, ma in due ore di lavoro in due quartieri limitrofi ha guadagnato come se avesse fatto due lezioni private assai ben pagate, tra pagamento delle consegne e mance spontanee. Certo, è un lavoro senza tutele, senza futuro (anche questa moda finirà) e, se lo fai in bicicletta, molto più faticoso. In più non so quanto assicurato in caso di incidenti (devo chiedere meglio), però capisco perché tanti giovani stranieri corrono su e giù per la città con questi zaini quadrati sulle spalle.
Elisabetta nella maggior parte dei casi nessuna tutela assicurativa…infatti tempo fa uno di questi ragazzi ha avuto un incidente gravissimo e hanno fatto sciopero proprio per chiedere maggior tutela.
Ecco, questo è terribile.
Anche a me ha colpito molto questo libro di Ricolfi. Infatti l” ho letto in 3 giorni!
Quello che ho da aggiungere è che spessissimo nelle analisi dei comportamenti non facciamo mai i conti con gli aspetti emozionali e psicologici, tranne che menzionare ogni tanto le parole STRESS ED EMOZIONI.
Leggendo le opinioni di Elisabetta ho trovato ad un certo punto la parola EGOISMO relativamente ai genitori che sono felici di appartenere a quella categoria di persone che hanno avuto la brillante idea di mandare i propri figli in licei selezionati per accrescerne la cultura, senza badare al fatto che il confronto dei propri figli con ragazzi di una società poco acculturata non porti nulla di buono nemmeno ai propri figli. Eh già, penso proprio che sia questo uno dei problemi più diffuso e incisivo che tende a spiegare la scelta di determinati comportamenti come quello di “non impegnarsi abbadtanza” ” bruciare il tempo libeto” “consumare per consumare” ecc. La generazione che è stata figlia della prima e della seconda guerra mondiale purtroppo ha generato una genìa fatta di “comodi figli che hanno solo ricevuto” non solo in termini di ricchezza e benessere, ma anche in termini di “attenzioni ” e “proiezioni nobili” che hanno messo gli attuali adulti in ginocchio di fronte a tutta una serie di problematiche sociali ed economiche. Infatti i nati tra gli anni 50 e gli anni 80, cioè gli adulti di oggi, abbiamo goduto di madri casalinghe che ci hanno fatto trovare il pasto caldo, il letto fatto al mattino, il completino nuovo sul letto al ritorno da scuola, un padre che si e occupato di pagare le nostre bollette del telefono, di sbrigare noie burocratiche al posto nostro, di fornirci di contante per portare la fidanzata al cinema, ecc ecc. Gli attuali adulti facciamo parte di una generazione che , non solo non ha vissuto alcuna guerra che ci avrebbe permesso di lottare insieme per un valore sociale comune, ha solo ricevuto danaro, benessere, tempo libero, comprensione, empatia, pensando di essere il polo di un sistema che gira intorno ad ognuno, volto a farci diventare ” ricchi signori” del futuro. Tutti abbiamo sentito dire, “vestiti come un signore”, ” ti compro l” auto cosi vai i giro come un signore” , ” fai vacanze da signore” ecc ecc. Ecco che così ci si aggancia al libro di Ricolfi sulla società signorile di massa! Oggi, questi ” signori” siamo adulti che ricoprono ruoli di ogni tipo, alcuni anche importanti in termini di servizio civico e sociale, per cui, prima di tutto siamo diventati GENITORI, INSEGNANTI, PROFESSIONISTI, IMPIEGATI NEL PUBBLICO, ecc. Ma siamo davvero “cresciuti” per poter assolvere a questi ruoli? NO! Siamo bambini grandi: egocentrici, individualisti, competitivi, passivi, annoiati ecc e quel che è peggio è che siamo detentori della responsabilità verso le nuove generazioni, i nostri figli, allievi, utenti giovani, ecc.
I comportamenti di consumismo per consumare, utilizzo per utiluzzare, gioco per giocare, cibo per mangiare, si sviluppano dal mero scopo di esprimere il proprio egocentrismo. Abbiamo sempre di più obiettivi personali legati alla carriera, alla ricchezza, all’ accumulo di oggetti, all’ accumulo di esperienza, invece che obiettivi sociali come mangiare per stare insieme, giocare per stare con gli altri, lavorare per contribuire ad obiettivi comuni, ecc. Abbiamo perso la più grande risorsa sociale e civile, l’ EMPATIA, che ha permesso i passato, di essere un popolo, una comunità, una società civile.Abbiamo anche perso il senso del sacrificio e la capacità attiva dell’ IMPEGNO che ha permesso, in passato, di tollerare le frustrazioni e impiegare in modo costruttivo. EMPATIA E IMPEGNO sono pilastri fondamentali di una società bassta sul lavoro e sull’ impegno civile! Siamo invece egocentrici come i bambini! E così, nel ruolo di genitori e insegnanti, ci poniamo come “bambini grandi” che convivono con ” bambini piccoli” entriando continuamente in competizione con i nostri figli e con i nostri allievi. E così i figli crescono con baby sitter e animatori e gli allievi vengono seguiti da tutor scolastici ( i più fortunati!), perché la carriera dei genitori e i programmi ministeriali degli insegnanti vengono.prima di ogni spazio condiviso e per SPAZIO, intendo SPAZIO EMOTIVO, PRESENZA EMOTIVA, SPAZIO COMUNE.
Questi nostri figli e allievi oggi sono SOLI, non in grado di gestire le proprie emozioni e i propri bisogni. Non hanno esempi e non sono ascoltati, inoltre hanno molte richieste in ogni campo. Sono in competizione con gli adulti e per chi è più fragile, il successo è arduo e a volte impossibile…e allora seguono chiunque gli faccia da “guida” come influencers, vari personaggi che assumono ruoli carismatici in internet, tra i profili fb, snapchat, Whatsapp. Il suicidio negli adolescenti è in forte aumento. Perché? Quando le richieste competitive sono più alte della propria percezione di adeguatezza in termini di risorse personali, qualcosa fa crick!
Mi auguro che i ragazzi del cambiamento, del clima, del green style, ecc siano il frutto di senso critico che possa portare a generazioni più adulte, cioè più civili, piu istruite, più emozionali, più impegnate e più adatte di noi a riprodurre ricchezza!