Ho già scritto in un altro post dei nativi digitali, che sono tanto a loro agio con le tecnologie ma che forse, oltre a saperle usare, dovrebbero imparare a crearle.
Qui intendo riprendere il tema della differenza tra uso della tecnologia e ideazione e progettazione della stessa.
In fin dei conti non serve una grande scienza, specialmente a chi è nativo digitale, per utilizzare un tablet, uno smartphone o un computer per divertirsi o per acquistare beni e servizi. Comunicare in chat o comprare un oggetto sul web, mandare un messaggio o capire in modo intuitivo come usare un videogioco sono tutte cose facili da fare. Serve molta più scienza per ideare software capaci di svolgere funzioni utili e per realizzarli, utilizzando codici e programmi.
Alcuni nativi digitali crescono con un disprezzo infondato per tutto ciò che viene prima dell’era tecnologica che stiamo vivendo. Così varie volte ho immaginato che tanta arroganza si sarebbe potuta stemperare spedendo i ragazzini fissati con i videogiochi a fare un corso di programmazione. Ma, se la mia era una mezza provocazione, che andavo ruminando fra me e me, la verità è che, oggi, la programmazione non è più solo per aspiranti ingegneri informatici, ma si avvia ad essere per tutti.
In un mondo globale e tecnologico, chi sa scrivere un’app, oltre che ad usarla, ha una marcia in più. Conoscere l’abc della programmazione potrebbe essere cruciale per l’educazione del 21° secolo: in un mondo che è sempre più basato sulla tecnologia, i linguaggi di programmazione sono ormai considerati alla stregua delle lingue straniere o delle cosiddette “liberal arts”.
E se javascript fosse la nuova lingua straniera da imparare?
D’altronde, se si applica all’insegnamento del linguaggio informatico il paradigma dell’insegnamento delle lingue straniere, ci si rende conto che la tecnologia è la lingua che tutti sappiamo parlare, ma che non sappiamo ancora scrivere.
Lo sostiene in modo molto convincente in una conferenza TED Mitch Resnick, che dirige il Lifelong Kidergarten Program all’MIT.
Mitch Resnick sostiene quanto segue: che ormai programmare software, scrivendo il linguaggio del software (ossia scrivendo codice) non è più solo per i patiti o i professionisti dell’informatica, ma è il linguaggio che tutti dovrebbero conoscere per poter usare la tecnologia e fare quello che è utile o che piace. Sostiene, inoltre, che per conoscere l’abc della programmazione, non servono più – come un tempo – abilità matematiche particolari o una formazione informatica complessa.
Per dimostrarlo, ha messo su un sito che sia chiama Scratch dove la programmazione è presentata come un gioco.
Con Scratch si può creare un programma e lo si può condividere con altri. Ci sono ragazzini che hanno usato Scratch per progetti di scienze per la scuola o per realizzare storie animate o videogiochi. Secondo Mitch Resnick, quando i bambini creano un progetto come questo, imparano anche a programmare, ma, cosa ancora più importante, programmano per imparare. Perché imparando a programmare, imparano mille altre cose, aprendo nuove opportunità di apprendimento.
Negli Stati Uniti, quello del coding è ormai un movimento.
L’organizzazione code.org propone che a scuola i ragazzi possano imparare a scrivere codici di programmazione. C’è sul loro sito un video che vale la pena di vedere per capire come potrebbe cambiare l’istruzione. Si intitola: “Quello che gran parte delle scuole non insegnano” e ha per protagonisti il fondatore di Microsoft, Bill Gates, il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg e il fondatore di Twitter, Jack Dorsey.
Si tratta di trasformare le nuove generazioni da utenti passivi di tecnologia a creatori di tecnologia.
In realtà tutta la rete si sta attrezzando: sono tanti i siti che offrono lezioni e tutorial gratuiti sulla programmazione (Code School, Treehouse, Code Avengers, Google Code University), così come anche i MOOC (Massive Online Open Courses) sul tema (MIT OpenCourseWare, Coursera, Udacity e non poteva mancare Khan Academy).
Se non è abbastanza, negli USA ci sono summer camps e summer school specializzate in tecnologia: si può fare una “immersive experience” all’InternalDrive’s tech camp, che si tiene in 27 stati diversi con programmi per ragazzine e iragazzini dai 7 ai 18 anni.
In Estonia, paese dove la banda larga è ovunque, e dunque internet veloce esiste anche nel più remoto villaggio, i bambini imparano a programmare a scuola.
Il coding è previsto nei programmi della scuola primaria e i bambini lavorano quasi esclusivamente con il tablet. Se non credete che l’Estonia sarà la nuova Silicon Valley d’Europa, provate a vedere questa puntata del programma di Riccardo Jacona, Presa Diretta; si parla di Telecom, ma, nella parte finale, si racconta dell’Estonia, il paese più connesso del mondo.
Anche il Regno Unito raccoglie la sfida di Stati Uniti e dell’Estonia. Il 2014 sarà “Year of Code” l’anno del linguaggio informatico, e l’insegnamento dei codici di programmazione arriverà nella scuola primaria.
E in Italia? la scuola pubblica è indietro anni luce. Ma qualcosa si muove tra i privati e le Università.
A Milano c’è Coderdojo una sorta di palestra dedicata a ragazzi e ragazze di età compresa tra i 7 e 17 anni che vogliono imparare a programmare, nata in Irlanda e che si sta ora diffondendo in altri paesi. Da un pò di tempo Coderdojo è ora anche a Roma (e cerca volontari per espandere i suoi seminari). Sempre a Roma opera Codemotion, una start up che inaugura in questo mese corsi per bambini alla facoltà di ingegneria di RomaTre, con il motto “programmare è importante come leggere e scrivere”.
E se invece volete fare un tentativo gratis, mettetvi con i vostri figli al computer su scratch.mit.edu o su Codecademy che offre tutorial già utiizzati da milioni di studenti.
Infine, consiglio di dare un’occhiata a questa interessante infografica, sulla scelta di quale linguaggio di programmazione è meglio imparare.
E, quando avete provato, fatemi sapere come è andata!
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da una ventina d’anni la capacità di scrivere autonomamente linee di codice è una priorità, di fatto però limitata a chi era nella cerchia di quelli che potevano. Ricercatori e grafici devono saper scrivere linee di codice altrimenti non innovano. Il Nieman Lab di Harvard fa campagna affinché le scuole di giornalismo insegnino agli aspiranti giornalisti a programmare, in quanto capacità sempre più importante accanto a quella di saper farsi domande e scriverle bene. In definitiva, code is cool. Gli inglesi dal prossimo anno renderanno computer science obbligatorio a scuola dai 5 ai 16 anni. Negli USA quasi tutte le scuole superiori hanno corsi per programmare, che poi vuol dire esercitarsi in una lingua che richiede una logica rigorosa, altrimenti non funziona, ma anche capacità creative per scomporre e risolvere problemi.
La mia prima linea di codice l’ho scritta oltre 30 anni quando avevo 14 anni, imparando da solo sul commodore64. Allora non c’era fretta e chi programmava lo faceva per professione. Mia figlia ha oggi a 13 anni ed ha già sperimentato a scuola diversi linguaggi, Python, PHP, JavaScript, Ruby, Scratch, senza però mai approfondirne nessuno in modo da diventare fluente. E da qui il problema secondo me. Una volta deciso che code is cool, diventa difficile trovare degli insegnanti capaci di trasmettere questa lingua. C’è scarsità di insegnanti, e questi non possono essere creati con qualche linea di codice.
Gradirei avere informazioni relative al Liceo internazionale di Verona
È una realtà molto avanti dalle nostre, a cui possono accedere solo figli di diplomatici.
Ahimè