I nostri figli sono nati nell’era del web. Pertanto non sono solo nativi digitali, ma sono anche “nativi connessi”.
Ogni generazione è diversa dalle precedenti, ma ci sono casi in cui la storia fa un salto più ampio, casi in cui si crea un divario maggiore tra genitori e figli, come prima e dopo la rivoluzione industriale (e forse siamo nel bel mezzo di una nuova rivoluzione digitale).
Insomma, ci avete mai pensato? Siamo la prima generazione di genitori di figli iperconnessi. La cosa sarebbe banale se non pensassimo al futuro, ma vorrei farvici pensare.
State leggendo questo post. Ebbene, rispondete ad una domanda: siete nati prima del 1985? Avete dunque dai trent’anni in su?
Dal momento che, nella media, mi leggono persone che sono genitori, la risposta è, in molti casi, positiva. Se ciò è vero, proviamo ad immaginare quando saremo anziani. Ebbene, nessuno di noi ci fa caso, iperconnessi come siamo pure noi, sempre a postare vignette divertenti su Facebook o magari a spippolare sullo smartphone se le riunioni di lavoro si protraggono oltremisura, ma, un giorno, saremo l’ultima generazione a ricordare un mondo senza web.
Un mondo in cui consultavamo dizionari ed enciclopedie e non il traduttore di Google e Wikipedia. Un mondo dove, per trovare la risposta ad una domanda, dovevi compulsare per ore volumi di discipline diverse, dove i giornali erano di carta e se volevi vedere un film ti beccavi quello che c’era in tv. Un mondo nel quale la musica era in vinile o audiocassetta (e l’avevi comprata), e con il walkman bisognava andare avanti o indietro per trovare la canzone giusta. Un mondo musicale fatto di album e non di singole canzoni (ecco, chiedete ai vostri figli cosa è un album e ascoltate le fantasiose risposte…). Dove non potevi leggere al buio perché il tuo libro non era illuminato come il kindle o un tablet e i modi e i tempi di lettura erano diversi. Un mondo dove essere “social” voleva dire essere simpatico a tanti di persona e non virtualmente.
La generazione degli attuali trentenni, così come quella dei 40+enni (alla quale appartengo) sarà un giorno l’ultima a ricordare una esperienza di vita con e senza Internet. Dopo tutto, io ho dovuto chiamare un tecnico per trascrivere al computer (e che computer, ve lo lascio immaginare!) la mia tesi di laurea e non ho nemmeno avuto un indirizzo di posta elettronica fino – credo – al 1994 (e sono stata, comunque, una delle prime).
Ho avuto un’infanzia con la televisione in bianco e nero e senza telecomando. Anzi, a casa mia, se volevo vedere un film su un canale secondario (generalmente un film degli anni ’40), dovevo tenere una mano vicino al televisore per fungere da “antenna umana”. Ho seguito la scuola dell’infanzia Montessori che, all’epoca, si chiamava ancora “asilo”, dove ho imparato ad chiudermi i bottoni ed allacciarmi le scarpe. Come molti di coloro che mi leggono, sono stata bambina in un mondo tutto analogico e ora ho una vita – e dei figli – molto high-tech.
Se vi ritrovate in questa descrizione almeno un po’, vuol dire che, come me, siete nella felice posizione di poter vedere i pro e i contro di entrambi i mondi: quello della stilografica e quello di whattsup.
Non so voi che ne pensate ma, a dire il vero, a me questi mondi – quello pre-web e quello del web 2.0. – piacciono entrambi, dunque questo post non è l’apologia dei bei tempi andati.
I libri continuano a piacermi di carta e apprezzavo molto quel genere di concentrazione che nasce dall’avere poche alternative a propria disposizione. Detto in altre parole, era certamente più facile leggere Proust, quando non c’era il web.
D’altro canto, a me tutta questa tecnologia piace moltissimo, non in sé per sé, ma perché mi consente di fare tutto quello che mi è sempre piaciuto, in modo più evoluto.
Sul web trovo tutto ciò di cui ho bisogno e anche più, posso scrivere questo blog, posso sapere cosa fanno i miei amici stranieri in tempo reale a chilometri (loro direbbero miglia) di distanza. Ho in tasca, come tutti, un solo aggeggio con cui posso telefonare, lavorare, ascoltare musica e podcast di conferenze.
Posso seguire, come sto facendo in questo periodo, un corso universitario americano (gratis, è un MOOC) e corrispondere online con persone di tutto il mondo per confrontarmi su temi che mi interessano. Posso ridere ascoltando Alain de Bottom nelle sue conferenze su TED.com.
Insomma, amo quest’epoca perchè amo il web. Tuttavia ritengo che ci è andata meglio a noi che ai nostri figli, che nel web ci sono nati.
Siamo più fortunati noi, quelli che rimarranno gli ultimi ad aver fatto da generazione spartiacque e vissuto anche in quell’altro mondo, perché è quel mondo che ci consente di apprezzare questo, ma anche di intravederne i possibili limiti, insomma di mantenere ben desto un certo spirito critico.
I nostri figli hanno il grosso svantaggio di dare tutto quello che hanno per scontato e di sviluppare vere e proprie forme di dipendenza dalla tecnologia.
Anzi, forse l’immersione tecnologica in cui vivono i nostri figli sarà il problema più grande che affronteremo come genitori….ma queste riflessioni le lascio al prossimo post!
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ciao! Segnalo che la scuola primaria Pistelli di Roma (quartiere Prtati) ha avviato un progetto sul coding.
Grazie della segnalazione. Non sarà l’unica: sono le conseguenze della Circolare del MIUR del 23 Settembre, che descrive l’iniziativa “Programma il futuro“, ne ho scritto qui https://www.educazioneglobale.com/2014/10/cambiare-la-scuola-e-tu-che-ne-pensi/
Il Convitto nazionale purtroppo non solo non ha inteso iniziare a potenziare l’inglese dalla prima classe (opposizione delle insegnanti) ma non partecipa alle iniziative sul coding…peccato