Ogni città ha i suoi: intendo i licei considerati “prestigiosi”. A Roma, possono essere il Visconti, il Tasso, il Giulio Cesare (tra i classici); il Righi, tra gli scientifici (e magari tanti altri che, al momento, non mi vengono in mente). A Milano, forse, il Parini, il Volta, il Beccaria. E via dicendo, per altri licei e luoghi d’Italia. Tutti affermano che si tratta di ottime scuole e da ultimo, per alcuni, sembra poterlo desumere anche dai dati di Eduscopio, di cui ho già scritto in Come scegliere un liceo? Ecco la guida che cercavi! e sul quale mi soffermo più avanti.
Tale prestigio, tuttavia, deriva principalmente dall’interazione tra due fattori, che vado discutere in dettaglio. Il primo fattore è quello dell’autoselezione (o della profezia che si autoavvera); il secondo è quello della “etero-selezione”, che si fa tipicamente entro la fine del primo biennio ma che è inefficiente e può generare abbandono scolastico.
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L’autoselezione degli studenti
Quanto al primo fattore: la profezia si autoavvera perché c’è un autoselezione all’entrata. I ragazzi studiosi vanno o vengono mandati nel liceo “prestigioso” perché, lo si considera di fama eccellente, dunque il liceo stesso mantiene la sua fama di eccellenza perché frequentato da ragazze e ragazzi che hanno voglia di impegnarsi o che sono figli di famiglie colte (o solo ambiziose…).
Malgrado la presenza di Eduscopio – che comunque rimane l’unico tentativo di passare dalle opinioni ai dati – rimane il fatto che non c’è modo totalmente oggettivo di misurare se, nel liceo “prestigioso”, sono gli studenti ad essere bravi o gli insegnanti che fanno bene.
Ciò accade anche perché non ci sono in Italia esami oggettivi e standardizzati in entrata e in uscita (salvo gli Invalsi, nati per misurare il sistema nel suo complesso, e comunque in via di abolizione nell’esame di terza secondaria di primo grado).
Quando scrivo della necessità di test standardizzati so di attirare delle critiche. I test standardizzati hanno molti nemici e possono provocare storture (riferimenti al teaching to the test e al cheating abbondano nella letteratura scientifica in tema di Economia dell’istruzione), però tra troppi test standardizzati e nessuno c’è un giusto mezzo, che ci consentirebbe di misurare gli apprendimenti in entrata e in uscita e, dunque, di determinare se il tal liceo ha (anche) buoni professori o (solo) bravi studenti. Insomma: l’accountability delle scuole è possibile solo se esistono esami esterni ed oggettivi. Altrimenti potrebbe benissimo essere che queste scuole sono buone perché ci vanno ragazzi studiosi e non perché hanno insegnanti eccellenti (l’ipotesi veniva avanzata anche dall’economista Paolo Sestito, già presidente dell’Invalsi, nel libro La scuola imperfetta).
Come accennavo all’inizio, Eduscopio in questo senso, ha colmato qualche lacuna, ma mancano dei dati per renderlo un indicatore completo. Per chi non ne sapesse nulla, Eduscopio è un servizio gratuito, creato dalla Fondazione Agnelli, che consente di operare una classifica delle scuole secondarie di secondo grado, sulla base della media dei voti conseguiti agli esami universitari e della percentuale di esami superati dai diplomati di ogni scuola. In mancanza di test standardizzati in entrata e in uscita, però, la classifica che ne risulta è ancora imperfetta. Data la mia scarsa preparazione in una materia importante quale la statistica non sono in grado di coglierne tutti i passaggi, ma consiglio di leggere il Documento Tecnico sugli esiti universitari di Eduscopio, al Paragrafo 7 (Quali confronti sono appropriati?) dove si spiegano varie cose. Intanto vi si spiega che i genitori dovrebbero comparare solo scuole di un territorio circoscritto (la comparazione tra le scuole è tanto più rilevante quanto più è circoscritta in termini territoriali perché “le condizioni in termini di ricchezza economica e di capitale umano dei contesti educativi nei quali le scuole operano possono influire sulla capacità di promuovere apprendimenti di qualità”). Poi si ricorda che è sempre meglio comparare scuole con lo stesso indirizzo di studio (“nel sistema educativo italiano ci può essere molta differenza in partenza tra gli studenti che scelgono diversi indirizzi di studio, sia in termini di risultati scolastici pregressi che di condizioni sociali, culturali ed economiche della famiglia. Questi sono fattori che influenzano gli esiti di apprendimento indipendentemente dall’operato delle scuole”).
I tecnici di Eduscopio poi lamentano, giustamente, di non avere a disposizione “informazioni sulle abilità scolastiche pregresse degli studenti al momento dell’iscrizione alle scuole superiori né sul loro retroterra socio-culturale”, anche se hanno tentato di calcolare l’incidenza dell’autoselezione utilizzando i dati della rilevazione nazionale dell’INVALSI sugli apprendimenti in italiano e matematica della seconda media.
Insomma, è chiaro che senza una valutazione standardizzata delle competenze è impossibile individuare il contributo dei vari fattori (abilità e retroterra sociale degli studenti, composizione delle classi, qualità dei docenti, capacità dei dirigenti, ecc.) che determinano l’outcome della scuola. E sul tema si veda la polemica che ne è nata sul sito RoARS.
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L’etero-selezione
Il secondo fattore è il fattore “etero-selezione”. Nella scuola italiana, a differenza che in altri sistemi, esiste la bocciatura. Ma oltre le bocciature, ci sono le materie a settembre (forse una sanzione pedagogicamente più appropriata) e poi c’è la moral suasion. Il timore di ricorsi in giudizio da parte delle scuole ha reso quest’ultimo strumento ormai dominante. Molti licei adottano un sistema valutativo basato su un trimestre e un pentamestre. Il trimestre si chiude a metà dicembre con la prima pagella. Poi comincia la danza dei cambi, di classe, di indirizzo, di liceo. Si perché nei licei “prestigiosi”, è questa l’epoca in cui parte l’opera di persuasione morale: gli studenti più deboli vengono dissuasi dal continuare. Mi pare chiaro che un sistema siffatto sia inefficiente: tanto valeva la selezione all’entrata, tramite test. Inoltre, il sistema è iniquo.
Se nei primi due anni di percorso superiore, come accade in molti di questi licei, la scuola elimina oltre il 30% dei suoi studenti (che se ne vanno in altre scuole “più facili” o, in taluni casi, raggiunti i 16 anni, smettono proprio di studiare perché ormai disamorati della scuola, bocciati o a rischio bocciatura), non sono certa che il sistema scolastico stia facendo bene. Tra chi si si occupa dell’economia dell’istruzione il fenomeno – mi par di capire – prende il nome di cream skimming. Le scuole portando al diploma solo gli studenti più brillanti, lasciando che quelli con maggiori difficoltà si trasferiscano in altre scuole o abbandonino gli studi.
Un sistema di istruzione – in questo caso una scuola – che si rivolge solo ad una parte dei suoi studenti non è forse un fallimento? Un buon sistema scolastico incentiva gli alunni eccellenti ma cerca di colmare le lacune dei più deboli. Dovrebbe essere in grado di prendere i più lenti, i più svogliati o quelli con più difficoltà oggettive (ad es. i figli di famiglie a rischio povertà) e farli diventare accettabili e prendere i bravi e farli diventare bravissimi. Troppo facile massacrare tutti con brutti voti: si salvano solo i bravi che sarebbero bravi ovunque, in qualunque scuola.
E’ facile fare la scuola d’elite solo con gli studenti bravi. Una scuola che perde studenti ha fallito il suo compito di istruzione perché ha fallito il suo compito di inclusione.
La capacità di inclusione – io credo – è costitutiva del merito di una scuola non meno della capacità di far ottenere bei voti agli allievi.
Come si fa ad includere? Regalando voti? No, il modo per includere sarebbe quello di dare i professori migliori agli studenti peggiori, le più lunghe attenzioni agli studenti più distratti, il più grande sostegno, agli studenti che hanno meno autostima.
Gli insegnanti non ce la possono certo fare da soli. Per fare questo bisognerebbe proprio ripensare il modo in cui si fa scuola, in cui si sta in classe e forse anche rivedere le materie che si studiano in senso più vocazionale. A far la scuola generalista, quella per lo studente medio o medio alto, si fallisce con le code (abbandono scolastico) ma pure con le punte (il fuoriclasse può andare più veloce degli altri).
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L’abbandono scolastico
Sull’abbandono apro una piccola parentesi. Nel luglio 2014, il mensile Tuttoscuola ha pubblicato un Dossier dal titolo Dispersione nella scuola secondaria superiore statale. Meriterebbe un post a sé stante, qui dò solo un breve assaggio. Credo che negli ultimo paio d’anni ci sia stato un lieve miglioramento, ma, comunque, i dati registrati da Tuttoscuola al giugno 2014 sono impressionanti: nei 15 anni precedenti, su 9 milioni di studenti iscritti alle scuole superiori statali che avevano iniziato gli studi, quasi 3 milioni non avevano completato il corso di studi iniziato. Praticamente, uno su tre si è “disperso”, come si dice nel gergo sociologico. Ovviamente non esistono dati pubblici che consentano di sapere quanti studenti, tra quelli che abbandonano la scuola statale, siano poi approdati alla scuola paritaria (se le famiglie se lo potevano permettere) o siano passati alla formazione professionale.
Non si può non pensare, però, che l’abbandono scolastico sia una delle cause di due fenomeni purtroppo molto forti in Italia: un fortissimo analfabetismo funzionale (o “di ritorno”) e un’altissima percentuale di ragazzi che non studiano ma neanche lavorano, i famosi NEET (Not in Education, Employment or Training; i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano, non fanno formazione o apprendistato e che l’Istat valuta in 2,2 milioni, pari al 23,9% di quelle classi di età).
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Gli studenti bravi: quelli che restano
Poi ci sono gli studenti bravi o bravini, quelli che nei licei prestigiosi (o solo severi?) rimangono. Cosa sappiamo di loro? Sviluppano nanotecnologie o scoprono il bosone di Higgs? Vincono il Nobel o l’Oscar? Spesso non lo sa neanche la scuola che se li è “capati” con tanta attenzione. Abbiamo dovuto aspettare Eduscopio per avere dati almeno sugli sbocchi universitari successivi.
Anche in altri paesi la selezione è crudele, anzi, molto più crudele. Ma ha un vantaggio: è più trasparente.
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E se la selezione fosse (almeno) trasparente? Il caso di New York
Prendiamo l’esempio estremo di selettività: gli Stati Uniti. Il sistema scolastico americano non è un modello perfetto e ha molte storture, forse peggiori delle nostre. Ha molte ottime scuole e molte pessime scuole. Per quanto attiene a quelle ottime, è spesso crudelmente elitario in base al censo: New York rappresenta il picco di tale elitismo. A Manhattan e dintorni ci sono scuole veramente eccellenti ma costosissime, persino se comparate ai più alti stipendi americani (45.000 dollari l’anno…e stiamo parlando magari del primo anno di scuola primaria!). Inoltre, il processo di ammissione per le scuole private è incredibilmente selettivo: si sottopongono a test di ammissione anche i bambini di 5 anni.
Detto quindi dei difetti vorrei però anche menzionare che New York ha anche alcune ottime scuole pubbliche e alcuni ottimi licei pubblici. Due di questi sono particolarmente significativi.
Uno è a Manhattan e si chiama Stuyvesant. Ci si entra dopo un esame di due ore e mezza. Su 27.000 ragazzi e ragazze che sostengono ogni anno l’esame ne entrano 950 (il 3.5% dei richiedenti). La lista degli studenti eccellenti di questa scuola è molto lunga e tutti sono entrati per merito. Dal 1940 ad oggi, la scuola ha partorito ben 4 premi Nobel. Su Stuveysant leggetevi, se vi interessa, la discussione che ne è scaturita dopo un articolo su Noise From Amerika.
Se misuriamo in vincitori del premio Nobel, però, la scuola che sbanca tutte le altre sta nell’area più malfamata di New York: il Bronx. Eccola: The Bronx High School of Science conta ben 8 ex alunni che hanno preso il premio Nobel (dal 1941 ad oggi). Anche qui entrano in pochi, solo il 5% dei richiedenti. Chi volesse verificare ecco le scuole secondarie che possono vantare più allievi che hanno vinto il Nobel.
Non auspico l’introduzione in Italia di sistemi tanto selettivi, anche la meritocrazia spinta a questi livelli diventa poco equa. Però trovo che almeno in questi casi si seleziona all’entrata, mediante una misurazione oggettiva: apprezzo dunque la trasparenza di tale ‘iniquità’. Se uno potesse frequentarle, scoprirebbe anche che queste scuole somigliano più ad università che a scuole come le intendiamo noi. La competizione è durissima, ma ogni studente si sceglie quali materie fare e a quale livello farle. E nessuno punta al ribasso: la posta in gioco è troppo alta. Scuole molto selettive si, ma anche eccellenti.
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Salve,
ho letto con interesse il suo Post sui Licei eccellenti.
Ho avuto il grande dubbio se iscrivere mia figlia a un liceo eccellente (visto che era uscita col 10 alle medie) che però era un po’ distante da casa, o puntare a un liceo non ‘blasonato’.
I compagni di mia figlia hanno optato per Tasso e Visconti, noi per un liceo di quartiere, il liceo “Russell” (con indirizzo anche classico). Posso dire a inizio del triennio che dal punto di vista didattico il nostro liceo di quartiere non ha nulla da invidiare ai migliori licei di Roma e mia figlia ha professori assai più preparati della sua migliore amica iscritta al Tasso. Però mi sono in parte pentita di non averla iscritta anch’io lì, perché constato che c’è una spinta centripeta nella scelta della scuola (che secondo me in un passato di minor crisi economica era meno forte), e tutti tendono ad andare più verso il centro rispetto a dove abitano, anche se lo fanno solo, dico SOLO, per ambizione sociale. Il risultato è che mia figlia è l’unica a prendere la metro verso il centro quando esce da scuola e tutti invece vanno verso le periferie, cosicché non ci troviamo nessun amico/a di scuola che abiti nel nostro quartiere!
Se alla fine del ciclo i ragazzi usciti da licei eccellenti risultano più bravi non è per merito di insegnanti o ragazzi migliorii, ma perché avendo operato una dura selezione già al primo anno i professori si sono semplificati il lavoro portando avanti solo i migliori e possono offrire loro un programma di studi ricco di spunti e approfondimenti. Così ai licei più ‘normali’, più inclusivi, e meno selettivi, si penalizzano le eccellenze, che sono costrette a rimanere indietro per aspettare gli altri. Alla fine perciò gli alunni bravi (come mia figlia) di scuole meno ambite risulteranno meno preparati. Però dal punto di vista umano non c’è dubbio che scuole del genere sono scuole migliori perché non spingono fin da subito alla competizione ma educano ancora per qualche anno alla solidarietà…
Complimenti per il suo blog
Buongiorno, mi fa piacere che mi ha segnalato questo articolo su FB (sono elisa lì, per omaggio a figlia di amici). Come dicevo sostanzialmente credo che in Italia si debba cercare di andare oltre l’indirizzamento automatico degli studenti eccellenti verso i licei, almeno in ambito scientifico chimico-biologico. Queste scuole, di impostazione antiquata e solo teorica (anche poco approfondita per quanto riguarda l’ambito di cui parliamo) continuano a formare studenti che poi hanno buoni risultati solo grazie ai due processi descritti nel post, soprattutto grazie al primo: vi vengono indirizzati la maggior parte degli studenti eccellenti, che amano studiare ed approfondire e che con grande fatica, pure seguendo programmi e metodi obsoleti, continuano a farlo anche alle superiori. Questi studenti imparerebbero molto, molto di più e con meno fatica in un tecnico chimico puro o in un tecnico chimico-ambientale. In questi istituti già dal primo anno gli studenti hanno un orario che prevede 3 ore alla settimana per chimica di cui una in laboratorio. Un’ora in cui gli studenti effettivamente lavorano da soli in lab, fanno esperimenti e relazioni di laboratorio. La stessa cosa avviene per fisica. Ad essi si aggiungono due ore di biologia. Più o meno arrivano teoricamente al programma del terzo anno di liceo, alla fine della seconda, ma con una esperienza effettiva pratica molto maggiore (fanno circa 50 esperienze di laboratorio singole nel biennio). Al triennio il divario aumenta ulteriormente con circa 15-17 ore di discipline chimiche (organica, analitica, industriale, microbiologia, biotecnologie) di cui oltre la metà in laboratorio. Nella mia scuola abbiamo laboratori che io, studentessa proveniente dal liceo scientifico, ho visto solo all’università. Ho provato di persona il divario esistente tra gli studenti dello scientifico come me e quelli provenienti dal tecnico, in una facoltà scientifica come farmacia e in quella di chimica. Studenti dello scientifico che studiavano il doppio discipline mai affrontate al liceo, per avere la metà dei risultati (oppure gli stessi voti ma con meno comprensione complessiva) degli studenti del tecnico che semplicemente ripassavano ciò che avevano già studiato negli anni precedenti. Ora che insegno in un tecnico chimico capisco il perché di quelle situazioni con molta chiarezza e mi chiedo quanto sarebbe più avanzata la comunica scientifica italiana se mandassimo i migliori studenti nei tecnici chimici o ambientali o indirizzo salute (ci sono alcuni indirizzi disponibili ma il più diffuso è il chimico puro) invece di mandarli in un liceo scientifico di impostazione obsoleta, in cui si fanno molto bene matematica e fisica teorica (questa non sempre, io per esempio l’ho fatta male causa impostazione matematica pure del professore) ma molto superficialmente le altre discipline. Purtroppo questa consapevolezza manca, sia a livello ministeriale, sia a livello di alcuni professori di formazione liceale ed impostazione universitaria simile (e sono i professori che il nostro ministero assegna coerentemente alle classi di insegnamento nei licei). A proposito, gli insegnanti vengono assegnati in una scuola a seconda di anzianità e posti liberi, oltre che a richiesta dello stesso insegnante, quindi il dibattito “ci sono i migliori professori nel liceo o ..” è certamente poco appropriato…può capitare l’insegnante anziano bravissimo, o l’insegnante molto scarso…avranno entrambi i migliori studenti rispetto alle altre scuole. Anzi, i giovani insegnanti sono spesso in altre scuole per motivi di anzianità e posti liberi. Credo sia Inutile a questo punto il discorso il rimodernamento del liceo, che dovrebbe essere rifondato come orario e tipo di insegnanti che vi insegnano (dipende dalle classi di insegnamento che assegna il ministero ad ogni disciplina in ogni scuola) in modo tale da farlo assomigliare ad un tecnico chimico. Ci avevano provato anni fa col liceo tecnologico Michelangelo, in cui insegnavano insegnanti delle cdc chimiche che ora insegnano solo al tecnico, ma che ora non esiste più e che era comunque una copia sbiadita del tecnico. Sarebbe semplicemente sufficiente che insegnanti delle medie e famiglie diventassero coscienti che esiste un’altra scelta molto qualificante per gli studenti che vogliono fare chimica, biologia, a livello alto. In alcune zone questo sta avvenendo, io ad esempio ho nelle mie classi studenti eccellenti che escono dalle medie inferiori con 10, 9 e frequentano questo indirizzo proprio per andare poi a medicina, farmacia, chimica. Questa consapevolezza in tante zone è però limitata e sarebbe davvero importante espanderla.
Per quanto riguarda i temi della seconda parte dell’articolo, il sistema americano è certamente selettivo per censo e da questi punti di vista non me lo auguro. Lo stesso sistema ha però presente una grande selettività per merito che noi non abbiamo…o meglio, sfruttiamo poco, proprio a causa della predilezione liceale, che non è abbastanza costruttiva e formante per i migliori studenti appassionati di materie scientifiche e anche a causa della mancata selezione oggettiva in ingresso.
Il riorientamento in corso d’anno invece lo trovo utile per lo studente che si renda conto di avere troppe lacune, magari accumulate fin dalla primaria (e qui ci sarebbe da discutere anche), spesso causa un livellamento verso il basso di tutta la prima fascia di istruzione. Inoltre, non tutti gli studenti sono portati per un certo tipo di scuola e spesso un riorientamento è utile per la loro serenità…anche se i genitori spesso non concordano.
Grazie Chiara (e non Elisa) per il tuo informato contributo.
Tu affermi: “Ora che insegno in un tecnico chimico capisco il perché di quelle situazioni con molta chiarezza e mi chiedo quanto sarebbe più avanzata la comunica scientifica italiana se mandassimo i migliori studenti nei tecnici chimici o ambientali o indirizzo salute (…) invece di mandarli in un liceo scientifico di impostazione obsoleta, in cui si fanno molto bene matematica e fisica teorica (questa non sempre)…ma molto superficialmente le altre discipline”.
Non sono solo i pregiudizi che “sviano” gli studenti studiosi dai tecnici, ma è anche la situazione degli istituti tecnici in molte città italiane (specie da Roma in giù, con le opportune eccezioni che vi saranno certamente). Resta il fatto che scegliere l’indirizzo di studi di una ragazzina o un ragazzino di 13-14 anni è un terno al lotto, per cui gli indirizzi professionalizzanti tendono ad essere scartati. Io nel post scrivevo della riforma dei programmi dei licei perché conosco solo quelli, ma in realtà auspico una riforma di tutta l’istruzione superiore, con un biennio comune a tutti ed un biennio finale in cui le materie si scelgono, comprese quelle molto tecniche o laboratoriali.
Di fatto, oggi la scuola superiore si sceglie tra dicembre e febbraio della terza media di un ragazzino. Che ne può sapere costui (o costei) di ciò che viene dopo? E’ per questo che spesso la scelta è dei genitori e che a volte è una scelta anche del contesto. Non serve un genio a comprendere che i compagni di classe e di scuola dei propri figli alle superiori potrebbero diventare alcuni degli amici che ti seguono per tutta la vita, dunque i genitori badano anche a questo elemento, anche se nessuno lo dice mai con grande chiarezza. Insomma, tante sono le riflessioni da fare e i cambiamenti da apportare…