consigli e risorse per essere cosmopoliti

Le tante ragioni per credere (ancora) nell’Europa

Essere italiani sta diventando sempre più scomodo. Non basta vivere in un paese che non cresce economicamente da vent’anni, pagare tasse per servizi che, almeno in alcune parti del territorio, sono radi ed inefficienti, bisogna anche sentire l’umiliazione continua di essere un paese incomprensibile agli altri. Basta mettere il naso fuori casa, andare in un’altra città europea, incontrare gli amici o i conoscenti con cui condividiamo il continente, alcune istituzioni, una parte della storia passata, molte norme e la moneta e sentirsi chiedere: “ma da voi che sta succedendo? Noi siamo preoccupati…”.

Per anni, una delle cose che più m’infastidivano della politica italiana era l’espressione “è l’Europa che ce lo chiede”, perché stava là a simboleggiare la tendenza italiana a cercare sempre in altri un capro espiatorio (per inciso, ricorda tanto un politico italiano quando diceva – circa la mera presenza dell’opposizione, che esiste in tutti gli Stati democratici – “non mi hanno fatto lavorare”).

E’ comodo usare l’Unione Europea (istituzione alla quale abbiamo contribuito sin dalla nascita) come un capro espiatorio ed è ancora più comodo allettare i propri votanti spendendo in deficit, tanto pagheranno le generazioni successive e non si sa bene con che, visto che i ragazzi con migliori prospettive se ne andranno all’estero e visto che l’Italia è una bomba demografica che prima o poi esploderà, se non verranno prese adeguate contromisure.

L’Italia pare comportarsi come il bambino che, quando gioca con gli altri, mette sempre in discussione le regole a gioco iniziato e che, se il risultato non va nella direzione attesa, se ne va portandosi via il pallone. Ci sono sedi e tempi per mettere in discussione le regole, ma questi richiederebbero un disegno logico e coerente, una capacità di negoziare all’interno di una rete di alleanze, una visione di lungo periodo del paese e dell’Europa. Tutte cose che sembrano irrimediabilmente mancare. Del resto si fa sempre prima a criticare e a ribellarsi, che a proporre e costruire. E quando si decidono le regole, gli italiani dove sono? Nel Consiglio Europeo stanno i nostri Capi di Governo e nel Parlamento europeo mandiamo i nostri politici (che poi li scegliamo benissimo…storicamente ci mandiamo gli scarti delle elezioni nazionali!). Se il politico italiano medio diventa peggiore del cittadino italiano medio, allora siamo proprio messi male.

Siamo come Penelope che – nottetempo – disfa la sua tela; solo che non abbiamo una buona ragione per farlo, ma tante pessime ragioni, parziali e transitorie. Quello che Guido Carli definì il “vincolo esterno”, e cioè la necessità per il nostro Paese di scegliere comportamenti virtuosi in quanto parte di una comunità sovranazionale era veramente lungimirante; purtroppo non abbiamo cessato di averne bisogno. Eppure l’euro e il mercato unico europeo hanno portato più vantaggi che costi all’Europa e ai paesi che ne fanno parte, assicurando i benefici della globalizzazione e dell’apertura dei mercati ma, al tempo stesso, proteggendo i Paesi più vulnerabili (come ha affermato il presidente della Bce Mario Draghi proprio ieri, durante un suo intervento al Sant’Anna di Pisa).

Oggi comincio a ritenere che un regime democratico renda assolutamente necessario un alto grado d’istruzione, educazione e civiltà dei propri cittadini. In mancanza di tali presupposti, si abbocca a tante fandonie, lo storytelling delirante che gira sui social media ne è una prova.

 

1. Italiani ed Europei

Eppure l’Europa sempre noi siamo! Un “noi” un po’ più lontano, ne convengo, ma è l’epoca delle identità multiple: si può essere (più) europei senza per forza dover essere (meno) italiani. Forse, tuttavia, gli esseri umani sono così meschini che il senso di appartenenza possono svilupparlo solo in contrasto ad una diversità anche maggiore. Basta provare allora a convivere con un gruppo di persone che includa altri europei e poi africani, arabi e neozelandesi (a me è successo) per accorgersi che la distanza culturale tra un italiano e un tedesco, tra un francese e un olandese è veramente minima. Persino se ci separano le lingue – e persino se si conosce solo l’italiano – sono pronta a scommettere che un testo scritto in tedesco è più decifrabile di un testo scritto in arabo. A parità d’incomprensione si condivide un alfabeto, tantissime regole grammaticali e si intuisce dove è il verbo, ad esempio.

Per me sono tempi molto tristi. Mia nonna era partigiano, è stata prigioniera a via Tasso, è stata interrogata da Kappler e lei non diceva mai “i Nazisti” per dire “i nemici”, ma, come tutti i romani che hanno vissuto quell’epoca (l’epoca narrata nel film “Roma Città Aperta”), diceva “i Tedeschi”. Così sono cresciuta con l’antipatia per i tedeschi e l’amore per i liberatori americani, salvo poi rendermi conto che, come fa notare Paolo Mieli nelle sue lezioni di Storia, all’inizio della seconda guerra mondiale i tedeschi sarebbero dovuti essere gli Alleati e gli americani gli Invasori…

Proprio per questo, forse, non dimentico che, se oggi “tedesco” non vuol dire più “nemico”, lo dobbiamo anche ad un processo nel quale, per tentativi ed errori, si è ipotizzata prima una Comunità Europea di Difesa, si è realizzata poi una Comunità Economica Europea, divenuta, nel tempo, Comunità Europea ed, infine, Unione Europea. Un gruppo più ristretto di paesi ha poi adottato l’Euro.

Ci siamo dimenticati il perché di queste tappe e forse è meglio ricordarle. Il Novecento era nato sulle aspettative di un progresso senza fine: cinema, elettricità, locomotiva avevano rivoluzionato la tecnologia e l’economia (come negli ultimi anni ha fatto il web). Poi la grande guerra, la crisi finanziaria degli anni’30, l’ascesa del nazismo, la seconda guerra mondiale, l’olocausto e la bomba atomica hanno mostrato che il futuro non è sempre più roseo.

E’ proprio dall’autocritica collettiva del secondo dopoguerra che sono nate tante cose, tra cui l’idea di un’Europa in cui non ci si trucidasse a vicenda.

Questa Europa potrà avere i molti difetti che le vogliamo imputare e che potremmo, insieme, superare, ma è un enorme passo avanti in un continente dove ci si è ammazzati per millenni. La pace non è mai scontata. Se ce lo dimentichiamo, credo, è perché a scuola l’Europa non la studiamo mai abbastanza.

Le due guerre mondiali del secolo scorso ci hanno lasciato circa 60 milioni di morti, 76 milioni di feriti e ingenti distruzioni di abitazioni, industrie, strade e ponti, solo sul territorio europeo. Se c’è proprio l’idea che 70 anni di pace nel vecchio continente non valgono nulla, che conquiste come la pace e la libertà di viaggiare senza confini tra vari paesi e con una sola moneta non piacciono più, che si vuole smantellare tutto, che si stava meglio prima dell’Europa e dell’Euro (ma la storia può ripetersi ma non tornare indietro) che l’essere un paese piccolo e provinciale va bene, che piace l’idea di poter creare una finta ricchezza svalutando una moneta debole e marginale, spendendo e spandendo i soldi che non ci sono, creando deficit e debito da far pagare ai nipoti dei nipoti… se è veramente così, io spero di non vederne le conseguenze.

2. L’Europa ci conviene

Ma se gli argomenti identitari non smuovono le masse, ve ne sono ben altri che dovrebbero far riflettere.

I cantori del nazionalismo a tutti i costi o sono ignoranti, o sono in mala fede (io suppongo che siano vere entrambe le ipotesi). I tempi in cui si poteva giocare con una moneta nazionale debole, da svalutare a piacimento per esportare a iosa sono finiti. Il mondo, là fuori, non è più quello di un tempo.

Economie molto più avanzate della nostra si fanno guerre commerciali non solo con dazi e tariffe, ma anche a colpi di innovazione. Le automobili sono diventate computer con le ruote, il commercio è sempre più online e i pagamenti sono sempre più virtuali. L’uso sempre più diffuso dell’intelligenza artificiale, sempre più “embedded” negli strumenti di uso quotidiano (smartphone, automobili, assistenti virtuali). Si afferma l’intelligenza artificiale “conversazionale”, di cui gli assistenti vocali Siri di Apple e Alexa di Amazon sono esempi ben noti, ma anche  Google Now e Cortana di Microsoft.

Non è che in Italia manchi il potenziale per fare innovazione, tutt’altro, ma è come al solito il “sistema paese” che potrebbe far di più.  Dal 2008 l’Institut Européen d’Administration des Affaires – INSEAD, la Cornell University e la World Intellectual Property Organization – WIPO pubblicano annualmente il Global Innovation Index. L’indice è utilizzato per valutare le economie di 126 Paesi ed è redatto sulla base di 80 indicatori, che vanno dal numero di nuovi brevetti alla creazione di APP, dalla spesa per istruzione al numero di pubblicazioni tecniche e scientifiche.

Tutti i nostri partner europei cui ci piace compararci (Francia, Germania, Regno Unito etc…) fanno parecchio meglio di noi. La top ten è quasi tutta europea, con qualche eccezione: dopo la Svizzera, seguono Olanda, Svezia, Regno Unito, Singapore, Stati Uniti, Finlandia, Danimarca, Germania e Irlanda. L’Italia è, invece, trentunesima, dopo Slovenia, Cipro, Spagna e Repubblica Ceca. I risultati peggiori per l’Italia riguardano l’innovazione tecnologica, lo sfruttamento delle soluzioni ICT e la trasformazione digitale. Come pensiamo di poterci isolare?

Dovremmo riflettere anche sul fatto che il peso di un paese, oltre che dalla sua capacità di innovare, è anche dato dal suo peso specifico in termini di popolazione. L’Italia – è noto – ha un grosso problema demografico: è un paese che invecchia, dove siamo molto sotto al livello di rimpiazzo. Nel 2017 eravamo 60,6 milioni. Secondo le proiezioni ISTAT in Italia la popolazione residente attesa nel 2045 sarà pari, secondo lo scenario mediano, a 59 milioni. Nel 2065, a 54,1 milioni. Sembra poca la differenza, ma si tratta di milioni di persone in meno. Inoltre, come ormai noto, sarà accentuato l’aumento del numero di anziani: gli ultra 65enni saranno circa il 30% della popolazione.

Nel suo ultimo libro, lo studioso israeliano Yuval Noah Harari, già autore di Sapiens e di Homo Deus, nota come nazionalismo e isolazionismo sono ancora più pericolosi oggi – nel contesto di problemi globali come il cambiamento climatico – piuttosto di quanto lo fossero nel Novecento, nel contesto di possibili guerre nucleari. La guerra nucleare è una minaccia per tutti mentre il cambiamento climatico ha impatti differenziati a seconda dei paesi; il nostro, sicuramente, è uno di quelli che potrebbero risultare più colpiti per via dell’estensione delle coste (già che ci siamo, tutti i nostri governanti o aspiranti tali dovrebbero leggere questo libro, molto scorrevole, che si chiama 21 lezioni per il XXI secolo).

Ora, se un paese fa poca innovazione, ha una popolazione che invecchia nonché un alto debito pubblico, bassa produttività e tanti altri problemi (alcuni dei quali troppo grandi per affrontarli da soli), forse non gli conviene così tanto fare la voce grossa con gli altri: l’unione fa la forza; anzi, qui è l’Unione (europea) che può fare la forza.

Può non piacere ma la forza dell’Italia, pur con tutto il suo glorioso passato, le sue bellezze artistiche, il suo patrimonio culturale e l’ingegno dei suoi abitanti è anche quella di far parte dell’Europa.

 

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Comments

  1. Cara Elisabetta,
    un altro splendido post.
    L’Italia soffre di bassa crescita da prima dell’euro; le “svalutazioni competitive” della valuta nazionale che vagheggiano i detrattori della moneta unica non risolsero il problema negli anni ’80 e ’90 e sarebbero ancora meno efficaci oggi. Lo ha ricordato bene il Presidente della BCE Mario Draghi nel discorso di ieri, sabato 15 dicembre, al Sant’Anna di Pisa, discorso che a te ovviamente non è sfuggito.
    La strada maestra – e anche unica – per collocare l’economia italiana su un sentiero di crescita sostenibile e sostenuta è quella delle riforme strutturali e istituzionali, che significa promuovere l’innovazione, migliorare la qualità di scuole e università, accrescere la partecipazione al mercato del lavoro delle donne e dei giovani, ridurre le pastoie burocratiche per le imprese, elevare l’efficienza della giustizia civile, intensificare la concorrenza nel settore dei servizi professionali, etc.
    Non cerchiamo scorciatoie monetarie o fiscali, perché non ve ne sono. Continuiamo a operare per una trasformazione strutturale del nostro sistema produttivo e una evoluzione delle nostre istituzioni. L’Europa è una grande opportunità per tutti i popoli europei. L’Italia può trarne grandi benefici e svolgervi un ruolo da protagonista.
    Giuseppe

      1. Gentile Elisabetta,

        Le rispondo qui visto che non mi e possibile seguendo la sua di risposte.

        Per quanto riguarda l’aspetto giuridico ritengo che la stessa Corte Costituzionale abbia detto diversamente da quanto lei sostiene. Ha infatti posto dei controlimiti invalicabili alla legislazione europea quando questa va contro i principi fondamentali della carta costituzionale. Per quanto ne so anche la corte costituzionale tedesca ha fatto lo stesso.

        Circa lo spirito cosmopolita e aperto, secondo quanto lei scrive, sul globo terracqueo lo avranno solo i cittadini della unione europea perché tutti gli altri 7 miliardi e un po’, vivendo in nazioni sovrane, saranno come me nostalgici di tutto quello che è entro ai limiti delle frontiere nazionali.

        Com’è ho detto io sono profondamente favorevole a una unione europea intesa come federazione di stati sul modello americano, con una costituzione che vede la felicità e il benessere dei cittadini avanti a tutto, non come nei trattati europei dove, prima, viene la competizione tra gli Stati….se i trattati li leggiamo.

        Termino dicendo che credo nel dialogo tra le persone che la pensano diversamente

    1. Signor Giuseppe, lei dice cose oggettivamente i esatte. Se va a vedersi l’andamento del Pil nel tempo potra vedere che anche negli anni 90 questo aumentava piu velocemente che dal 2000 a oggi. Basta che lei cerchi questi dati sul sito della Banca d’Italia.

      Negli anni 90 abbiamo assistito a un rallentamento della crescita quando abbiamo accettato di stare dentro allo SME, un sistema di cambi quasi fissi. Già allora avremmo dovuto capire che una moneta unica non era quella che ci serviva.

      Le opinioni sono tutte rispettabili, ma non tutte sono tre. I dati invece sono sempre veri

  2. Un sito che parla di educazione non dovrebbe entrare a piedi pari su argomenti strettamente politici…, Ma facciamolo.

    L’Unione Europea, così si dice perché questa non e da confondere con l’Europa continente, piu vasta della Ue, che si e realizzata è ben diversa dall’unione federale che ci avevano raccontato sarebbe stata. E un accrocchio di stati con lingue, culture ed economie diverse che non stanno insieme. Dal punto di vista monetario, adottare una moneta unica e un non senso. Non lo dico io, ma illustri economisti e anche politici nostrani come Prodi e Amato. I trattati europei poi sono palesemente anticostituzionale violando diversi articoli della nostra Costituzione Italiana.

    Sul fatto della Lira, non ha senso economico dire che si e svalutata rispetto ad altre valute. Se ad esempio il Marco tedesco si rivalutata verso la Lira non si può dire che era colpa della Lira che si svalutata. Inoltre non ha neppure senso parlare di moneta forte o debole, occorre che una economia abbia la sua moneta che sia espressione della propria economia.

  3. Gentile sig. Marcello, perche’ a suo parere in un sito che parla di educazione non si dovrebbe parlare di politica? mi sembra che l’una faccia parte dell’altra, ma vorrei sapere perche’ lei la pensa diversamente.

    1. forse perché l’educazione non è la politica? Poi che cosa c’è di relativo all’educazione nell’articolo?

      Ma a me signor Francesco piacerebbe di piu leggere un suo commento sulle mie affermazioni….sarebbe più interessante, almeno per me.

      1. Ciao Marcello,
        su educazione e politica ti rispondo io, che ho scritto il post.
        Il presupposto di questo sito è che i figli che cresciamo si confrontano con un mondo globalizzato e non più solo con uno Stato-nazione. Per un giovane italiano (ma anche per noi!), però, il primo confine (più ampio di quello nazionale) è quello europeo. Avere una identità europea è importante, prima di tutto sul piano culturale ma anche sul piano politico. Per ricordarlo basta leggere “il mondo di ieri” di Stefan Zweig o certi passaggi delle “Memorie d’oltretomba” di Chateaubriand. Entrambe i grandi intellettuali, a distanza di due secoli, viaggiavano senza passaporti o lasciapassare e si sentivano cittadini europei. Non è bastato. Due guerre mondiali ci hanno insegnato che la cultura non basta agli esseri umani per non trucidarsi a vicenda. Zweig si è suicidato proprio per questo.
        Servono anche istituzioni comuni, interessi economici comuni. Servirebbe anche una fiscalità e una politica di difesa comune. Che l’Unione Europea sia incompleta e sbilanciata siamo tutti d’accordo, purtroppo è un’involuzione che è iniziata con il fallimento della Costituzione europea (nel 2000, se non erro?). Che le economie dei paesi che ne fanno parte vadano a velocità diverse è palese. Io, però, non credo affatto che all’Italia possa far bene rinunciare a stare con gli altri.
        Se hai una moneta tua puoi svalutare, è ovvio, ma poi quanto ti costa l’energia che non produci? Chi la vuole in tasca una moneta che perde continuamente di valore? Puoi vivere di solo turismo? Ma non mi voglio addentrare in temi economici, perché non ho una competenza sufficiente.
        Mi basta dire che l’educazione – da sempre – è anche una educazione alla cittadinanza, il che coinvolge per forza anche la politica.
        Poi ognuno interpreta la nozione di cittadinanza come crede, però io non ho chiamato questo blog “educazione locale” oppure “italiani prima di tutto”…
        Io sono invece anche l’autrice di quest’altro post:
        https://www.educazioneglobale.com/2016/03/la-liberta-e-un-passaporto-ovvero-ma-quanto-e-difficile-essere-cosmopoliti/
        che forse ti spiega meglio perché la penso come la penso.
        Ero e resto europeista; il fatto più interessante è che prima ero “mainstream” e oggi sono invece in minoranza.
        I confini non mi sono mai piaciuti. La cosa che più mi interessa sono “le vite degli altri”.
        Elisabetta

        1. Parlare di stato nazione non è negare il gli alieni. Oggi ci sono più stati nazione di 50 anni fa, provare per credere, ma si viaggia piu di 50 anni fa. Lo stato nazione che amministra un territorio più piccolo permette una maggiore vicinanza tra cittadini e amministratori e quindi maggiore efficienza e democraticità.

          Essere Sovranista non vuol dire chiudere le frontiere, ma controllare per ragioni di sicurezza ed equilibrio, chi entra e chi esce.

          Essere Sovranista vuol dire anche controllare i flussi di denaro in entrata e in uscita perché questi possono creare squilibri notevoli a danno di tutti.

          Essere Sovranista vuol dire se vuole la Costituzione Italiana.

          Se guardiamo alla statistica solo pochi paesi hanno avuto qualche vantaggio dall’unione Europea, quelli che hanno potuto svalutare la propria moneta senza che gli altri potessero difendersi. La maggior parte degli altri hanno costruito la loro ricchezza con la loro sovranità e la loro moneta. Mi spiace ma questi sono fatti oggettivi e storici.

          Purtroppo molti giovani italiani sono costretti ad andarsene perché le politiche di austerità, che non hanno alcuna base economica, hanno ridotto la nostra capacità produttiva e i posti di lavoro. Anche qui e un fatto.

          Cosa succederà? Purtroppo la ue si dissolvera, forse in modo cruento. Per questo i veri europeisti chiedono che ciò avvenga pacificamente per ricominciare con una più graduale avvicinamento tra gli Stati.

  4. Non sono politologa né sociologa, semplicemente cittadina.
    Mi sento europea da quando ho sei anni forse meno. Ne ho quasi sessanta. Dopo la guerra le popolazioni e i governi, devastati nell’animo e nella geografia, hanno cercato di ricostruire un continente orientandolo alla cooperazione e al superamento dei rancori. Poi non so che è successo. Si è persa la memoria e con essa la volontà di dare ognuno il meglio che si può all’interno di una comunità che faceva invidia.
    Penso che una delle prime cose da fare era tendere a uniformare le scuole europee in maniera molto più incisiva, anche a costo di qualche rinuncia accademica.
    Solo il personale pensiero di un’europeista convinta. Credo sia la sede per esprimerlo.

  5. Gentile sig. Marcello,
    le rispondo in due punti.
    Il primo. Questo articolo ha tutto a che fare con l’educazione, almeno se si ritiene che educare significhi portare un giovane ad essere cittadino critico e consapevole.
    Il secondo. Io sono e resto europeista per due ragioni. Intanto, essere cittadino europeo moltiplica le mie possibilita’, non le riduce. Se voglio, posso scegliere di andare a vivere dove mi pare, da Norrtalie a Vigo, e non da Casalpusterlengo a Castrovillari: ho un continente e non una penisola. Poi, tutti i sovranisti hanno un tratto in comune: credere che la soluzione ai problemi dell’Italia di oggi sia facile e semplice (uscire dall’euro, dall’UE, dalle Nazioni Unite, stampare tanta moneta, e quel che volete). Io onestamente non ci credo: di solito la via per uscire dai problemi e’ semplice, ma lunga e faticosa, e coincide con il lavorare sodo con criterio.

    1. Nel pieno rispetto della sue opinione le faccio presente che per consentire il libero movimento Delle persone non era necessario scrivere trattati poco leggibili e poco democratici dove il parlamento conta assai poco e le decisioni vengono prese principalmente in una commissione formata da persone che sono frutto di mediazioni in cui il voto di popoli poco puo influire.
      Se penso poi come e stato trattato il popolo greco….

      Lei dice che nell’Unione Europea le sue possibilità sono aumentate. Me ne rallegro, peccato che a milioni di nostri concittadini, tra cui io, le occasioni sono diminuite e una assurda austerità economica, un nonsense secondo le principali teorie economiche, abbia diminuito il potere di acquisto. Il fatto che i poveri in Italia siano aumentati con l’euro mentre con la lira erano diminuiti dovrebbe suggerirci qualcosa.

      Infine, essendo persona con grande rispetto per la Costituzione Italiana, avendo giurato di rispettarla e difenderla non una ma due volte, non posso che rilevare l’incompatibilità dei trattati europei con la nostra carta fondante. Siccome nei suddetti trattati, prima della solidarietà tra i popoli si mette la competizione tra le nazioni, foriera di guerre, io sono dalla parte della nostra costituzione.

      1. Mi scusi, che i trattati europei si possano criticare sotto il profilo politico e’ del tutto possibile ed anzi fa parte del dibattito democratico, ma che siano incostituzionali alla luce dell’art. 11 della Carta non mi pare sia vero.

        1. Sig. spiegami, provero a spiegarglielo.

          Per prima cosa leggendo i verbali della costituente vedra che la proposta fatta per citare nell’ stesso articolo la possibilità di una futura unione europea di bocciato. Ma questo non è fondamentale.

          L’articolo 11 parla di limitazione, non di cessione e sovranità. I due termini non sono sinonimi. Il primo prevede che la stato non perda mai tale sovranità, pur ponendo dei limiti, il secondo invece disegna una perdita totale e definitiva, in contrasto con l’articolo 1.

          La parità citata nell’articolo 11 non viene rispettato dal momento che alcuni paesi hanno mantenuto la sovranità monetaria e altri no. Non e rispettata se alcuni paesi possono derivare dal deficit del 3% mente litall’I no. Non e rispettata quando la corte costituzionale tedesca affe ma che la costituzione tedesca e superiore sempre ai trattati e ha l’ultima parola, mentre si pretende che così non sia per quella italiana.

          No .viene rispettato l’articolo che prevede che il risparmio sia tutelato e coordinato dallo stato, art 47, e non dalla BCE ecc….e potrei continuare

          Com’è vede basta leggere la costituzione italiana per comprenderne la incompatibilità con i trattati….

          1. Marcello, non penso che gli altri lettori di questo blog siano così interessati ad una discussione giuridica. Comunque tutti, a partire dalla Corte costituzionale, in Italia, ritengono che i limiti europei al diritto nazionale discendano dall’art. 117, I comma, che trascrivo.
            “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
            Molte sentenze della Corte Costituzionale confermano questa conclusione, che comporta il riconoscimento costituzionale della supremazia dei trattati europei e delle altre fonti del diritto europeo sul diritto nazionale.
            Questo per quanto riguarda la questione giuridica, sulla quale gli orientamenti della Corte sono dirimenti.
            Ma il punto è un altro. Chi capita su questo sito – e ci ritorna – è normalmente una persona che crede che un’educazione e una formazione aperta, tollerante e cosmopolita sia più auspicabile di una chiusa nella propria identità nazionale, regionale o famigliare. Qui capitano i genitori che vogliono solo “far imparare l’inglese” ai propri figli come anche coloro che aspirano a farli sentire (o a sentirsi) un po’ più cittadini del mondo (beninteso nei limiti che ci sono imposti dai nostri passaporti, che sono sì, nazionali ma anche europei).
            E’ difficile credere nel cosmopolitismo senza credere in un’Europa unita, sempre più unita, anche se tali idee sembrano diventate minoritarie (o forse lo sembrano nel mondo distopico dei social network…).
            Il mio post riguardava l’identità culturale europea e, per quanto mi riguarda, se questa identità si costruisce anche limitando un po’ gli ‘animal spirits’ della sovranità nazionale, ben venga. Poi, ovviamente, altri possono pensarla diversamente.
            Concludo consigliando a tutti un podcast molto divertente e spiritoso sull’Europa. Si chiama https://europeanspodcast.com/who-are-we/
            si possono scaricare le puntate sul proprio smartphone sia per Apple che per Android.

  6. L’Unione Europea e l’Europa in generale , parafrasando Sevegnini “è un capolavoro”. Premesso che i mali dell’Italia sicuramente non derivano dall’Europa ma da scelte proprie, è indubbio che l’Europa ha portato tantissimi benefici a tutti i paesi della comunità: prosperità economica, libertà di movimento, occasioni lavorative e di vita per tutti. La gran parte dei paesi dell’Unione Europea grazie all’Europa hanno avuto la possibilità di avere un grosso sviluppo economico e sociale. I problemi non mancano ma sono infinitamente minori dei vantaggi. Ho la famiglia divisa in quattro paesi e anche se va di moda sparare contro l’Unione Europea non posso non vedere le grandi opportunità che ha dato a tutti questi paesi. Non ultimo ricordo le decine di migliaia di giovani italiani che ogni anno si trasferiscono ( da cittadini europei) in altri paesi dove possono avere delle possibilità che mancano a casa propria: solo per questo varrebbe la pena di tifare per l’Europa. Sarà perché sono cittadino di più paesi ma certe recrudescenze sovraniste proprio non le condivido.

    1. Dati alla mano il resto del mondo e cresciuto mediamente più della media della UE da un punto di vista economico.

      Dati alla mano i paesi della UE con moneta sovrana sono mediamente cresciuti di più che quelli con leurol.

      La crescita dentro l’area euro e stata molto disomogenea, sempre dati alla mano.

      Dati alla mano l’Italia con la Lira andava meglio che con l’euro, anche quando stava dentro allo SME.

      Dati alla mano i paesi dentro all’euro che vanno meglio sono quelli che avrebbero visto una forte rivalutazione della loro moneta nazionale con riduzione delle esportazioni. Di fatto il loro benessere si basa su una svalutazione continua all’interno dell’area Euro senza possibilità di difesa da parte degli altri stati.

      Anche una volta si viaggiava, si poteva trovare lavoro all’estero ecc. Non servivano i trattati illeggibili europei o una moneta unica. È servito certamente per chi ha tanti soldi e li può spostare senza chiedere l’autorizzazione allo stato, facendo grandi danni economici al paese, vedi FIAT.

      I giovani italiani se ne vanno perché non trovano lavoro in Italia grazie alle politiche di austerità chieste da Bruxelles…..Sempre dati alla mano.

      Insomma non capisco le sue sicurezza da dove provengano.

      I convinti europeisti come me vogliono una Europa dove i paesi riacquistano la loro sovranità poi si accordino su alcune cose come la libertà di movimento Delle persone.

      Ps. Disponibilissimo a l’incarico i dati alla mano se non li trovate in rete. Guardate com’è variato il PIL e il debito/Pil negli ultimi 50 anni e avrete le risposte.

      1. Marcello, sono un po’ di corsa ma ti rispondo io, abbiamo capito la tua posizione, ti assicuro che ora puoi smettere di fare campagna elettorale :), perché il messaggio è chiaro.
        L’Italia sono tanti anni che non cresce (ma il debito si) ma c’entra poco la moneta unica e c’entrano molto di più i nostri Governi, irresponsabili e alla ricerca di consenso facile, il basso livello complessivo di istruzione generale degli italiani (metà dei quali ha solo la terza media) che sicuramente non favorisce lo sviluppo, gli scarsi investimenti nell’istruzione e nella ricerca e anche nell’innovazione. Tanto è vero che gli altri paesi europei stanno messi meglio di noi (anche se la ricchezza delle famiglie è più alta in Italia che altrove, guarda un po’). Una buona parte del debito pubblico è stata creata in epoche in cui c’era la lira e si poteva svalutare a proprio piacimento, ed è ovvio che se devi pagare gli interessi sul debito non ti resta molto danaro per altro.
        I politici italiani – con alcune eccezioni – non sono mai stati molto forward looking o lo sono stati solo per garantirsi l’immediato futuro restando nell’arena politica e al potere.
        Infine, io non penso che la storia possa tornare indietro. Quando si sfascia un ordine cui si è faticosamente arrivati, normalmente si passa alla rivoluzione e poi alla guerra.

        1. No Elisabetta,

          non sia ingiusta. Non faccio campagna elettorale per nessuno! Confuto pareri che cozzano coi fatti. Faccio semplicemente e umilmente un opera di ristabilimento della verità. Non si possono fare affermazioni che non poggiano su dati veritieri e non rispondono alle analisi di molti economisti di assoluto e comprovato valore a livello internazionale.

          Il debito pubblico è debito solo in un paese che ha adottato una moneta straniera che non controlla, come l’euro, mentre di fatto non lo è in paesi che la sovranità monetaria è solida. Non lo dico io, lo dicono paesi come gli USA, la Cina, il Giappone , la UK ecc.

          Derubricare ciò a propaganda elettorale non è corretto. Lei dice “c’entrano molto di più i nostri Governi, irresponsabili e alla ricerca di consenso facile,”. Cosa hanno fatto questi governi? Siamo da più di 30 anni in avanzo primario e ciò vuol dire che lo stato spende MENO di quello che raccoglie dalle tasse. Sottrae risorse economiche all’economia e ciò fa aumentare il debito/PIL. Guardi che sono arrivati ad ammetterlo anche economisti come Alesina e Giavazzi sul corriere. Zingales lo ha già fatto da tempo. L’FMI ha ammesso che si sono sbagliati sull’austerità espansiva. La BCE ha certificato col suo vicepresidente che la crisi europea è da debito pubblico, non privato.

          “Una buona parte del debito pubblico è stata creata in epoche in cui c’era la lira e si poteva svalutare a proprio piacimento” anche qui è certificato dai dati che il problema del debito fu causato nel 1981 dal cosiddetto divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Svalutare non è un peccato. Le nazioni lo fanno. La Germania è in perenne svalutazione competitiva dall’entrata in vigore dell’euro. Il suo Marco avrebbe dovuto rivalutare per eccesso di esportazioni come ogni persona che conosce un pò di economia ben sa.

          Perchè spendo il mio tempo per scrivere queste cose qui e altrove, facendo enormi sforzi per portare prove tecniche a ciò che dico? Per due motivi.

          1) Per amore di verità.
          2) Perchè le decisione prese da tutti (o forse da pochi nella non conoscenza dei più delle cose) toccano anche me e se sono sbagliate perchè fondate su presupposti che negano la realtà dei fatti, anche io pago.

          Ecco perchè mi sforzo di portare ovunque elementi di verità. Non perchè sono un messia, ma perchè ho perso un pò di tempo per studia e per documentarmi.

          Se vuole che smetta di scrivere sul suo blog me lo dica chiaramente, ma non dica che faccio campagna elettorale. Ho mai scritto di votare questo o quel partito forse? Mi dica che lei vuole rimanere della sua idea, che preferisce sottrarsi a ogni pacato e democratico confronto di idee io smetterò di rispondere. Però i fatti rimangono fatti.

          Cordialmente

          PS. Se non i politici chi? i tecnocrati? Sono meglio? E la democrazia dove la mettiamo?

  7. Gentile Direttore.ra Elisabetta,

    Mi spiace che lei pensi che ai suoi lettori non interessino gli aspetti giuridici, soprattutto quelli basilari relativi alle norme costituzionali.

    A tale proposito le faccio notare i seguenti punti.

    1) Anche nella Costituzione esiste una gerarchia tra gli articoli. Quelli della prima parte sono superiori gerarchicamente rispetto agli altri quindi lart.1, che sancisce la sovranità del popolo italiano sopra ogni altra cosa, si figuri un trattato, vale più di altri, ad esempio del 117.
    2) La Corte Costituzionale ha elaborato la cosiddetta dottrina dei controlimiti che limitano l’introduzione di leggi, regolamenti, trattati esterni nella legislazione italiana se questi violano i principi fondamentali. Lascio qua un link per lei e per tutti per iniziare a informarsi: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Controlimiti

    Purtroppo l’art.117 non uscì dalla penna saggia dei padri costituenti, ma fu frutto di politici del 2000.

    Credo che una valutazione della UE, perché non e leuropl’ che e un continente in cui ci sono molti stati che non appartengono alla UE, sulla base degli aspetti economici e giuridici sia importante e vada fatta per il bene nostro e dei nostri figli.

    Se però lei non gradisce che io continuo a scrivere nel suo sito, non ha che da dirmelo e educatamente lo farò.

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