Tutti sappiamo bene per esperienza diretta che, a parte ciò che ci interessa, riusciamo ad imparare e ricordare meglio le cose apprese in un contesto divertente o piacevole in un contesto di novità.
Uno dei dogmi sullo studio è che bambini, ragazzi e studenti universitari devono studiare sempre nel medesimo luogo: una scrivania tranquilla in casa o in una biblioteca.
La ricerca scientifica sembra dimostrare che è vero l’opposto. Lo psicologo cognitivo Robert Bjork ha dimostrato da tempo che quando il contesto esterno è vario, l’informazione si arricchisce, e questo rallenta l’oblio. L’attenersi a certe abitudini ricorrenti (studiare seduti sempre alla stessa scrivania) può forse favorire gli studenti più ordinati e metodici; ma è l’alternare diversi luoghi di studio che migliora la ritenzione (ossia il mantenimento, non la comprensione) di quanto appreso. Il cervello, infatti, associa ciò che sta studiando e le sensazioni di fondo che ha, indipendentemente dal fatto che tali percezioni siano coscienti. A pensarci bene, si tratta di un fatto ben noto sin dall’antichità, tanto è vero che uno dei più grandi retori antichi, Cicerone, soleva preparare e ricordare le sue orazioni passeggiando, mediante l’associazione di ciascun argomento ad un dato luogo (da cui la cosiddetta “tecnica dei loci”).
La figlia mezzana, da piccola, aveva l’argento vivo addosso, tenerla ferma per studiare era impossibile; così, quando era alla scuola primaria e aveva difficoltà a studiare una poesia a memoria, usavo sempre un metodo. Camminando o addirittura correndo, “mimavamo” ciascuna rima della poesia, associandola ad un certo punto della stanza. Abbiamo riapplicato il metodo di questa teoria dei loci in miniatura varie volte, finché lei prese ad usarlo da sola. Si chiudeva in camera e la si sentiva camminare declamando ad alta voce. In un solo colpo avevamo risolto i problemi di memorizzazione e i problemi derivanti dalla sua scarsa capacità di stare ferma.
Per lo stesso motivo, a volte si ricordano meglio le cose se, per una stessa materia, si alternano attività distinte. Il cambiamento favorisce l’attenzione; ci si concentra di più se si cambia lo stile, il luogo e la forma dello studio. Ad esempio, dovendo studiare storia, potremmo invitare i nostri figli ad alternare attività diverse: la lettura del libro di testo, uno schema, la ripetizione ad alta voce, la redazione di una mappa mentale cui si aggiungono riflessioni su quanto letto, la ‘ripetizione scritta’ (chiudere il libro e mettere per iscritto – anche in forma solo schematica, per parole-chiave, quanto si ricorda), infine magari la lettura del medesimo argomento da una altra fonte, facendo mente locale su quello che si è appreso di nuovo rispetto al libro di testo.
Questo è ciò che fanno i musicisti quando studiano: c’è sempre un po’ di esercizio sulle scale (noiosissimo, ne convengo, ma sempre utile), lettura musicale, brani musicali di crescente difficoltà. L’alternanza di varie attività, che ruotano intorno alla singola materia o al singolo tema, favorisce un apprendimento graduale e durevole.
Insomma, come confezioniamo le conoscenze che memorizziamo è importante. E’ bene sapere che anche la ripetizione di certe cose a distanza di tempo aiuta moltissimo, come sanno gli studenti che si sono accorti che il modo migliore di “fissare” la lezione è di ripeterla la sera prima di dormire. Questo perché ogni volta che si ritorna sullo stesso materiale si diventa via via più efficienti perché si dà importanza a concetti diversi e cambia leggermente il modo in cui le informazioni saranno memorizzate, rendendole molto più accessibile in futuro. Si tratta di un metodo che prende il nome di “spaziatura” (ne ho già scritto in La chiave di Salvador Dalì ovvero strategie per studiare, imparare o inventare).
L’uso di tutte queste tecniche: l’alternare ambienti di studio e le attività svolte su una determinata materia, l’optare per più sessioni di studio, spaziandole tra di loro, forse andrebbero insegnate a scuola. Alcuni insegnanti le trasmettono, altri no: laddove la scuola non lo fa, lo possono fare i genitori.
L’ideale sarebbe che le tecniche di studio venissero insegnate ai bambini, sin da piccoli (sia pure in forma semplificata) e soprattutto ai bambini che fanno fatica ad apprendere (gli altri trovano, per conto loro, i metodi più adatti). Poi, certo, c’è la motivazione. Quella, però, ognuno la deve trovare per sé…
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Sapevo che per ritenere ciò che si studia non è necessario ripeterlo più volte di seguito ma c’è la formula
dopo un’ora,
dopo un giorno,
dopo una settimana e
dopo un mese e si ricorda per tutta la vita. Utili anche le mappe mentali tanto consigliate da Matteo Salvo.
Ho l’impressione che nel curriculum IB vengano tenute molto in considerazione le ricerche sui metodi di apprendimento. In effetti tutti i tuoi consigli li rivedo applicati sul metodo che usano per i miei figli. Certo non è facile abituarsi vista l’estrema differenza con il sistema che avevamo usato noi. Certo visti i risultati dell’ultima indagine PISA non c’è da stare allegri sul sistema scolastico Italiano standard.
Dal corriere :Ci risiamo. Anche dall’ultimo rapporto Ocse-Pisa sulle competenze dei quindicenni di mezzo mondo nelle scienze, in lettura e in matematica (540 mila studenti di 72 diversi Paesi ed economie), l’Italia esce con le ossa rotte nel confronto non tanto e non solo con le solite tigri asiatiche che svettano a distanze siderali (Singapore in testa con 556 punti contro i 481 dei nostri ragazzi), ma anche con i nostri vicini di casa europei e, al di là dell’Oceano, pure con gli Stati Uniti e soprattutto il Canada, al quinto posto in assoluto con i suoi 528 punti, dietro a Giappone, Estonia e Finlandia. Mentre nella penultima edizione, incentrata sulla matematica, avevamo recuperato parecchie posizioni, in questa che era puntata sulle scienze (e per la prima volta è stata eseguita dai ragazzi al computer), fatichiamo a restare a galla. Gli studenti italiani di seconda superiore sono staccati di parecchie leghe da inglesi, tedeschi e francesi, sorpassati da spagnoli e portoghesi: solo la Grecia ci salva dall’umiliazione della maglia nera. E le beffa è che studiamo molto più degli altri: 50 ore in media (fra scuola e soprattutto compiti a casa quando non ripetizioni private) contro le 36 ore dei finlandesi dei miracoli e le 41 degli sgobboni giapponesi. E nonostante ciò andiamo molto peggio degli altri.
Sull’argomento del post ricordo un’interessante trilogia apparsa nella “Collana Strumenti” di Bompiani: “Come si fa un tema in classe”, “Come si scrive” e “Come si studia”, tutti a firma di Maria Teresa Serafini, psicolinguista italiana di formazione italoamericana. Purtroppo, i tre titoli non sono piu’ in ristampa, e anche la collana e’ stata chiusa. Curioso e’ poi che nemmeno in rete vi siano notizie dell’autrice che risalgano a meno di qualche anno fa, e anche il suo blog e’ abbandonato senza spiegazioni. E’ mancata? non lo so, ma mi piacerebbe saperlo.
Touché…. la foto del post contiene un libro. E’ l’ultimo dei tre che hai citato…
Grazie Francesco devo subito trovare “come si fa un tema in classe” per mia figlia…..glie lo farò trovare nella calza….
Si trova in rete….ma non farle odiare la Befana. Il tema in classe e’una forma di tortura! Nella migliore delle ipotesi, pur col massimo rispetto per l’intelligente trattazione di Serafini, si riduce a indovinare come la pensa il docente e ripeterlo cambiando un po’ le parole…
Si l’ho trovato grazie Francesco,…..ma speravo le spiegasse un po’ come strutturarlo. Matilde legge tantissimo e mi stupisce che non riesca a scrivere bene….