Parigi è sempre una delle città più eleganti e suggestive del mondo. Vivace, con i suoi musei di fama mondiale, è una delle mete classiche del turismo internazionale ed è una meta molto amata dagli italiani (che continuano ad andarci, malgrado il rischio terrorismo).
Chi ci capita periodicamente ha già visto e visitato “i classici” della capitale francese. E’ salito sulla Torre Eiffel, conosce Notre Dame, Montmartre, il Musee d’Orsay con la sua collezione di arte impressionista, il Museo dell’Orangerie e i dipinti di Monet che raffigurano le Ninfee in diversi momenti della giornata, magari ha già visto anche la novità di Parigi, ossia la Fondazione Louis Vuitton disegnata da Frank O. Gehry all’interno del Jardin d’Acclimatation, nella zona Nord del Bois de Boulogne.
Per chi ha ancora voglia di curiosare e di bighellonare, segnalo un museo che è una chicca per coloro i quali sono interessati alle lingue.
In confronto al Louvre o alla Cité des sciences de La Villette, dove sovente si portano bambini e ragazzi, questo è proprio un Museo “tascabile” (100 metri quadri pieni zeppi, ma ben organizzati) in cui il rischio peggiore è quello di trovarsi a visitarlo da soli, un rischio davvero delizioso dopo essere stati travolti dalle folle sugli Champs–Élysées …
L’ho visitato lo scorso aprile e ci ho passato una mezza mattinata incantevole, se non altro perché l’apprendimento delle lingue e il bilinguismo/multilinguismo sono tra i miei interessi più forti ma anche perché non è facile imbattersi in musei che trattano questi temi. Strano a dirsi, proprio per caso l’estate scorsa avevo trovato un’altra struttura museale che toccava il tema della lingua, in occasione di un soggiorno in Canada, al Museo della storia della British Columbia, a Victoria, sulla Vancouver Island, dove si trova una sezione bella e sorprendente sulle lingue dei “First Nation People” (come i candesi chiamano i pellerossa, o nativi americani che dir si voglia: pare che avessero quasi 200 lingue, che sono state tutte registrate e mappate. Oggi sono perlopiù estinte).
Ma torniamo a Parigi. Il Museo delle Lingue di Parigi si chiama Mundo Lingua, ed è un museo privato, aperto da un intraprendente neozelandese. Vi si trattano temi quali la semantica, l’etimologia, il bilinguismo nei bambini e l’apprendimento delle lingue negli adulti, il rapporto tra danni cerebrali e perdita di uno o più lingue (ma le lingue si possono perdere anche per altri motivi, vedi la nozione di lingua orfana), i false friends nelle traduzioni da una lingua all’altra, i confronti tra diverse grammatiche, le lingue segrete e i codici usati in tempo di guerra.
Mundo Lingua è anche collocato in una zona comoda, a rue Servandoni 10, nel sesto arrondissement, insomma, nel quartiere latino, a due passi dalla chiesa di Saint Sulpice e non lontano dal Jardin du Luxembourg.
Ma come rendere “visibile” in un museo qualcosa di così vivo e impermanente come la lingua? I trucchi escogitati da Mark Oremland, il fondatore, sono vari: testi scritti e registrazioni audio, video e quiz. Oltre al multimediale (che, forse, unico neo, andrebbe reso un po’ più moderno; è un po’ vintage), c’è anche una disposizione divertente di tanti oggetti che riguardano la lingua: stampe, quadri, oggetti vari, dall’albero linguistico sul soffitto alle immagini de la Torre di Babele.
Più che un museo pare un percorso di postazioni per “giocare” con le lingue, a vari livelli, perché non mancano indovinelli e quiz tra i tantissimi contenuti multimediali. Dare un’occhiata e andarsene qui non funziona, sareste delusi: questo è un museo interattivo, da “sbucciare” come una cipolla strato per strato, a seconda del livello di interesse e di consapevolezza linguistica di chi lo visita.
Come si dice quella parola nelle varie lingue? Che differenza c’è tra i linguaggi giovanili e il linguaggio formale? Quante lingue esistono e quante sono in via di estinzione? Quali sono le lingue più parlate o meno parlate? La risposta si trova qui, insieme ad tantissime altre notizie e informazioni. Dalle lingue dei segni usate dai sordomuti, gli altri linguaggi non verbali, il braille, le lingue nella storia alla parte che piacerà a chi si interessa di storia militare, come quella sui codici morse e il codice Navajo. Quest’ultimo merita un piccolo inciso. Il Navajo è una lingua così complessa per un non madrelingua che le forze armate statunitensi impiegarono durante la seconda guerra mondiale dei Navajo per trasmettere messaggi in codice. Tra le varie tribù indiane vennero scelti proprio loro perché il Navajo appartiene a una famiglia linguistica priva di legami con qualsiasi idioma asiatico o europeo, inoltre risultava l’unica tribù che non fosse stata visitata da studiosi tedeschi negli ultimi vent’anni (per chi volesse saperne di più consiglio di leggere Codici e segreti. La storia affascinante dei messaggi cifrati dall’antico Egitto a Internet).
Oltre alla parte sui codici militari c’è poi quella delle storie dei “feral children” bambini ferini, o “bambini selvaggi”, cresciuti sin da piccoli in un ambiente privo della presenza di altri esseri umani, spesso in compagnia di animali selvatici e ritrovati in seguito oppure i casi veramente terribili di bambini che non hanno sviluppato l’uso della lingua perché tenuti in uno stato di segregazione e oggetto di violenze, come il tristissimo e famoso caso di Genie.
Il museo è anche una sorta di centro culturale, con conferenze e altri appuntamenti interessanti per chi vive a Parigi. Insomma, avrete capito: a me è piaciuto moltissimo. Per carità, nulla che un linguista di professione non sappia e nulla che agli appassionati di lingue suoni del tutto nuovo, però un’occasione per trattare un tema trascurato nei musei di tutto il mondo. Invito tutti coloro che sono interessati alle lingue a vederlo (anche con bambini e ragazzi) ma anche a segnalarmi se esistono equivalenti musei delle lingue al mondo, commentando questo post.
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Interessantissimo post Elisabetta grazie. Io adoro Parigi, ho vissuto lì gli anni dell’Università e dunque ho bellissimi ricordi. Non conosco questo museo ma sicuramente nella prossima visita a Parigi ci farò un salto. E ti ringrazio anche per aver nominato il caso di Genie. Sincera,ente non lo conoscevo, avendolo letto qui mi sono andata a cercarlo…..incredibile.