Eccoci alla seconda puntata delle riflessioni nate dalla partecipazione al programma radio Eta Beta.
La settimana scorsa, in Riflessioni sul futuro dei nostri figli. Quale mondo del lavoro li attende?, ho affrontato il tema dei cambiamenti del mercato del lavoro; oggi provo ad avanzare qualche ipotesi sul tipo di formazione che potrà più facilmente preparare i nostri figli a un futuro dai contorni incerti.
L’operazione che sto per compiere è un po’ un azzardo: come si può preparare qualcuno ad un mondo che non si conosce? Questo deve spingerci alla cautela: la futurologia non è una scienza. Possiamo, quindi, solo partire dall’oggi.
L’incertezza, poi, è accentuata dai tempi lunghi degli investimenti nell’istruzione. Nel campo educativo e formativo è sempre così: investi oggi e, se tutto va bene, raccogli i frutti tra venti anni (o forse più). Per questo motivo, l’investimento è incerto, sia dal lato dell’offerta, sia dal lato della domanda.
Dal lato dell’offerta, infatti, governi, scuole, università e docenti non sempre compiono scelte sulla base del mercato attuale, figuriamoci su quello futuro (per gli insegnanti, in particolare, insegnare ai millenials è un compito non da poco, come ho scritto in Educazione per il 21° secolo).
Anche dal lato della domanda l’incertezza è massima: un giovane che sceglie oggi una facoltà, godrà i frutti della sua scelta fra tre – cinque anni o più, quando il contesto economico e professionale potrebbe essere cambiato. Ancora più lungo l’investimento in istruzione dei genitori che scelgono oggi la scuola per i propri bambini ancora piccoli.
Il lato della domanda ha però un vantaggio: gli interessi che mette in gioco sono molto più grandi e più profondi. Lo studente ha (o dovrebbe avere) a cuore il suo futuro; i genitori, nella maggioranza dei casi, tengono ai propri figli. Per questo motivo, alla fine, la domanda di istruzione mi pare quasi più importante della relativa offerta.
Sfida per sfida, allora, scelgo quella più difficile: quella di guardare al domani dal punto di vista del genitore di oggi. In attesa delle vostre risposte, da inserire nel blog in forma di commento, azzardo le mie.
Su cosa puntare in termini di formazione? Quali sono le conoscenze o le abilità dalle quali non si può prescindere? Ecco quelle che paiono più importanti a me:
- Avere buone competenze di base. Bambini e ragazzi sono/saranno avvantaggiati se sanno scrivere bene (e, in questa epoca non è poco!) e se hanno competenze matematiche (inclusa almeno qualche nozione di statistica e di probabilità, per rendere più agevole la lettura della realtà);
- Sapere l’inglese come l’italiano (o quasi). Con buona pace della Brexit e di Trump e anche dei traduttori simultanei (che avremo sui telefoni e che ci consentiranno di parlare con altre persone in due lingue diverse), l’inglese sarà ancora, per parecchio tempo, il latino moderno. Buona parte dei contenuti del web (cattivi o buoni che siano) sono in inglese. Conoscere l’inglese come l’italiano è quindi cruciale per non essere semi-analfabeti. In un’economia mondiale integrata, anche le piccole attività (turismo, piccole aziende esportatrici ecc..), hanno bisogno di dialogare con il mondo. Sul tema rimando ai tantissimi post che ho scritto. Si può introdurre precocemente l’inglese nella vita dei propri bambini (talvolta già dalla nascita), scegliere una scuola con “inglese rafforzato”, una scuola bilingue o una scuola internazionale), basarsi su figure terze, come le tate o le ragazze alla pari. Chi è bilingue si chiede se diventare un genitore non-native speaker (ossia se e come parlare inglese – anziché italiano – al proprio bambino) e poi vi sono siti Internet che sono di aiuto e una pletora di campi estivi: a Londra o negli USA, o anche corsi accademici per bambini e ragazzi);
- Saper parlare in pubblico, saper presentare e sostenere le proprie idee. E’ necessario sin da piccoli imparare ad argomentare basandosi su fatti/dati e non su opinioni. Forse è la competenza trasversale (soft skill) più importante. Attenzione che non è ripetere la lezione a memoria: è il debating (o Oxford-style debate, ne ho scritto a proposito dei podcast) che gli anglosassoni hanno ereditato dalla cultura classica. Alcuni licei lo stanno introducendo come progetto, tuttavia sarebbe bene che diventasse un insegnamento stabile (o, piuttosto, un metodo di insegnamento). Si può dibattere su qualsiasi argomento: filosofico, scientifico, di attualità. Una volta scelto l’argomento, le squadre o i singoli “debaters” si preparano sul tema scelto. Qualche esempio: “E’ giusto mangiare proteine animali?” “E’ giusto che la lingua inglese diventi la lingua comune dell’Unione europea?” Ogni gruppo deve prepararsi sia a sostenere una tesi pro che una contro. Ognuno ha un tempo prestabilito per sostenere la posizione favorevole o contraria, poi c’è il discorso finale – anch’esso “a tempo” – in cui è vietato introdurre nuovi argomenti: ci si deve limitare a sostenere la propria tesi e a puntualizzare i passaggi più salienti del dibattito. Il senso dell’esercizio non è decidere chi ha ragione o torto in assoluto, ma chi ha argomentato meglio;
- Guardare la tecnologia con lo sguardo lungo. Le tecnologie cambiano: per questo occorre osservarle con interesse ma anche con scetticismo. Anche la scrittura, come ho avuto modo di scrivere, è una techné; ai tempi di Omero, c’era l’oralità. Bambini e ragazzi sono immersi nella tecnologia digitale di oggi, ma saranno ugualmente abili con quella di domani?;
- Essere preparati nelle materie materie STEM (science, technology, engineering, maths). Il nostro Paese – come anche altri – soffre di un deficit di formazione nelle materie scientifiche, dunque la preparazione in queste discipline può essere un vantaggio, specie se è frutto di un interesse personale. Per cui se avete una figlia o un figlio che ha propensione per materie scientifico – tecnologiche, regalatele/gli strumenti per usarla nel tempo libero: un microscopio, un telescopio, un libro di anatomia o il cubo di Rubik;
- Sapere cosa piace. Rimane un fatto banale ma cruciale: la cosa più importante che possono fare i ragazzi crescendo (ad es. quando sono alle scuole secondarie) è capire cosa piace loro. Bisogna fare quello che ci piace e farlo bene perché sarà quello che ci riesce bene. Non tutti nascono ingegneri; c’è posto anche per chi ha una vocazione più umanistico-letteraria. Anche saper scrivere racconti va bene: il mondo ha bisogno di narrazione, le materie tecnico-scientifiche hanno bisogno di divulgazione, il marketing ha bisogno di storytelling: ecco come un sapere tradizionale può dare i suoi frutti anche nel mondo moderno. La morale è semplice: per chi ha voglia di fare c’è sempre posto.
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Ciao, in merito volevo segnalare il libro di Alberto Forchielli “Muovete il culo” che riprende molte delle tematiche del post
L’ho trovato interessante e di piacevole lettura