consigli e risorse per essere cosmopoliti

Le scuole degli altri (ovvero: un po’ di relativismo culturale non guasterebbe)

I finlandesi non hanno più le materie. Nella scuola inglese la storia si studia monograficamente e non cronologicamente e a leggere si comincia a tre anni ma molto gradualmente e per gioco. In Germania gli studenti accedono ai diversi tipi di scuola superiore in base alle loro abilità. Nel sistema d’istruzione cinese ci si gioca tutto con l’Esame di Stato finale, il Gaokao, terribilmente selettivo. Nel sistema scolastico americano lo studio della storia è mescolato con quello di altre scienze sociali, dando vita ad una materia che prende il nome di social studies. E così si potrebbe andare avanti.

 

Pregi e difetti della comparazione tra sistemi di istruzione

Per decenni il genitore italiano ha potuto ignorare ciò che facevano gli altri, ma tra globalizzazione e rilevazioni internazionali PISA-OCSE nonché le meno note TIMMS e PIRLS, la comparazione con gli altri paesi è dietro l’angolo, anche per chi non intende spostarsi all’estero e non ha scelto per i propri figli una scuola internazionale.

Certo, la comparazione ha i suoi limiti: alcune conoscenze e competenze sono confrontabili mentre altre – invece – non si prestano. Lo sa bene l’OCSE quando compara le conoscenze dei quindicenni dei vari paesi in termini di comprensione nella lettura, matematica, scienze e non, per esempio, in termini di studio della storia o della letteratura o di altre materie che, per loro natura, sono espressione della cultura nazionale da cui traggono origine.

 

Conoscere, comparare ma non giudicare

Quando si guarda ai sistemi scolastici altrui, dunque, bisogna tenere a mente che il proprio sguardo non è mai del tutto oggettivo. Non è produttivo essere troppo tronfi o criticare tutto; semmai è più interessante cercare di conoscere senza giudicare e capire quali accidenti della storia hanno modellato un sistema rendendolo diverso dal nostro. Solo in questo modo si potrà scoprire – magari – cosa possiamo “portare a casa” dalle scuole degli altri.

Il caso tipico della critica, invece, è quello dello studente italiano che passa un semestre o un anno negli USA e torna con l’idea che gli studenti degli Stati Uniti siano tutti ignoranti.  Lo saranno sempre se li misuriamo su ciò che sappiamo noi!

Come ho scritto altrove, “lo studente medio italiano che fa? Va in America per imparare l’inglese, pensa di essere in vacanza, frequenta i corsi standard durante l’anno in America, se la prende comoda e se la gode, tornando a casa con la convinzione che i corsi sono facili e gli studenti americani poco svegli. Non si è reso conto, invece, che gli studenti svegli non sono nelle classi che frequenta lui”.

Nessuno ha spiegato al povero studente italiano la differenza tra i corsi standard e i corsi honors e l’esistenza degli Advanced Placements. In realtà le migliori scuole americane fanno meglio di molte delle nostre, ma somigliano più ad un istituto tecnico avanzatissimo che ad un liceo classico (ad esempio Stuveysant, la scuola superiore da cui sono uscite più Field medals e premi Nobel al mondo e dove si entra con una selezione meritocratica e durissima). Tutto ciò senza togliere che le peggiori scuole americane sono peggiori delle scuole italiane più scarse.

 

Ogni curriculum scolastico è frutto della propria cultura

Il problema della mancanza obiettività, va riconosciuto, non è solo nostro ma si presenta anche altrove. Ogni paese, se non altro per amor patrio (di cui tanti sistemi scolastici sono tutt’ora intrisi), ritiene di essere l’ombelico del mondo.Invece, un po’ di relativismo culturale non guasterebbe quando parliamo di sistemi scolastici diversi.

La conversazione più interessante su questo tema l’ho fatta una sera con Tommaso, che fa la carriera diplomatica. Per una serie di motivi familiari, pur essendo italiano, non ha mai fatto scuole italiane, bensì la scuola francese ed ha vissuto i suoi anni più importanti negli Stati Uniti. Di conseguenza, parla l’italiano come un qualsiasi madrelingua, un francese perfetto, un americano west coast indistinguibile da un autoctono. Ho la fortuna di avere più amici poliglotti: più d’uno padroneggia tra le sei e le otto lingue, ne conosce le relative culture ed ha i suoi trucchi per imparare nuove lingue, ma non tutti gli idiomi parlati sono sullo stesso piano in termini di competenza, fluenza, accento e, soprattutto, cultura. In Tommaso apparentemente si: le tre lingue e le tre culture fanno parte della sua identità. Per questo motivo, almeno un paio di volte ci siamo trovati a parlare delle scuole e delle culture italiana, francese e americana a confronto.

“Sai” – mi diceva una sera mentre eravamo a tavola con le rispettive famiglie – “alla fine tutto, dalle materie studiate, all’enfasi su questo o quel valore è culturalmente relativo”.

Alla scuola francese, come c’è da aspettarsi, grande rilievo viene dato alla rivoluzione francese e alle campagne napoleoniche. Intendiamoci: la rivoluzione francese è uno snodo importantissimo della storia non solo francese ma anche europea, per la storia delle azioni ma anche – e soprattutto – per la storia del pensiero. Tuttavia – diceva ancora Tommaso – “il livello di dettaglio richiesto allo studente della scuola francese è pazzesco… risente del culto della patria e della cultura della “grandeur”. Cos’è accaduto il 18 Brumaio? Cos’è l’insurrezione del 13 Vendemmiaio? Chi ricorda il messidoro e chi era Cécile Renault?” Tommaso sorrideva raccontando, ma non perché si facesse beffe della scuola e della cultura francese: tutt’altro. Anzi, trovava interessante la comparazione con il percorso seguito da altri amici americani che facevano la scuola pubblica americana.

Sovente ripenso a queste conversazioni, a come spesso si tenda a giudicare le scuole degli altri in modo avulso dalla cultura e dalla storia di un paese. Molti italiani sono convinti che il Liceo Classico sia “la scuola migliore del mondo”. La verità è che dare questi giudizi lapidari in un senso o in un altro lascia da parte troppe questioni. E’ la ragione per la quale ancora ricevo commenti negativi al mio post “Serve ancora il latino?”, dove peraltro esponevo le considerazioni di un interessante studio dell’Associazione TreeLLLe dal titolo “Latino perché? Latino per chi”. Noi non conosciamo i grandi scrittori di lingua cinese né la storia della filosofia indiana ma non sappiamo neanche descrivere la Rivoluzione francese minuto per minuto. Ed è normale che sia così.

Progettare un curriculum scolastico comporta fare delle scelte, scelte che spesso cambiano o si aggiornano con ritardo rispetto all’evoluzione della società nel suo complesso. Chi non sa cosa è un aoristo o un ablativo assoluto non è necessariamente ignorante, così come chi ignora tutti i dettagli dei rapporti tra Robespierre e Danton.

C’è un aforisma che gira sul web ed è attribuito ad Einstein: “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”. Non ho avuto il modo e il tempo di verificare la veridicità della citazione, ma la frase contiene comunque una verità. Non so chi mi legge cosa pensi, ma io spesso mi sono sentita uno stupido pesce perché, semplicemente, non si può sapere tutto e tutta la mia conoscenza dei Luigi di Francia, di Borges o di Thomas Mann non è mai servita a molto davanti al calcolo differenziale o alle derivate parziali.

Non so se ognuno è un genio, certo che ognuno è degno di essere e che se continuiamo a considerare preparato solo colui che conosce Cecco Angiolieri o il greco antico prenderemo un abbaglio, così come si possono fare esempi analoghi e contrari partendo dal punto di vista di altre culture.

Ogni sistema d’istruzione ha i suoi deficit e i suoi punti di forza. Un ragazzo che esce dalla scuola americana può avere, dal punto di vista di un europeo, grosse lacune in termini di conoscenze storiche. Però, ad esempio, sa fare un esperimento in laboratorio e, di norma, non copierebbe un compito perché ha fatto suo un codice d’onore ignoto al liceale italiano.

Per contro, lo studente italiano delle medie che sfogliasse un libro di social studies rimarrebbe colpito dalla giustapposizione di argomenti totalmente diversi, come capitò alla sottoscritta in un 7th grade americano di una grande scuola pubblica della California. Qualche pagina sugli antichi romani e poi un capitolo sulla bandiera americana. La storia di George Washington, il colonialismo e poi il mestiere del paleontologo: social studies è una materia che, dal punto di vista europeo, appare totalmente priva di senso.

Alcuni sistemi scolastici forniscono insegnamenti pratici ed altri no; esistono scuole (quelle britanniche, ad esempio) dove studiare musica vuol dire anche saperla leggere e suonare uno strumento o saper cantare, usando correttamente quello strumento naturale che è la voce. Esistono invece scuole dove l’educazione musicale è puramente teorica, limitata alla storia della musica. Ci son paesi in cui i testi scolastici trasudano d’amor patrio e quelli in cui a scuola si discute dei grandi problemi globali (ambiente, risorse energetiche, equilibri geopolitici). C’è chi insegna a “classe capovolta” e chi ritiene che l’articolazione in classi, in funzione dell’età, sia superata, chi crede nel rinforzo positivo e nella motivazione degli studenti (Stati Uniti) e chi insegna il senso dell’onore e lo spirito di gruppo anche quando comporta il sacrificio individuale (Giappone).

Le scuole degli altri

In un viaggio in Sri Lanka, compiuto ormai vent’anni fa, attraversando strade sconnesse o sterrate tra una vegetazione lussureggiante e venditori di noci di cocco, mi colpirono i bambini. Ne vedevi a folti gruppi, camminavano sul ciglio della strada, sempre senza adulti. Andavano a scuola; osservavo le loro uniformi blu e bianche, perfettamente linde, i piedi scalzi e le scarpe in mano, insieme ai libri. Mi sono sempre chiesta come fosse la loro scuola.

Per parte mia, amerei viaggiare di paese in paese e sedermi all’ultimo banco e, semplicemente, osservare le scuole degli altri. C’è sempre qualcosa da imparare.

Chiudo con le parole di Tommaso: “ogni sistema scolastico ha le sue ossessioni: non bisogna farne un feticismo! Noi non sappiamo niente della storia della Nigeria o dell’Indonesia. E va bene così. La scuola deve dare gli strumenti per imparare; il contenuto specifico – alla fine – è relativamente poco importante”.

 

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Comments

  1. Bel post Elisabetta! Da un paio di mesi stiamo ospitando una ragazza australiana e proprio ieri sera ci spiegava che è un po’ delusa dalla scuola italiana. Lei sta frequentando il liceo scientifico con le mie figlie l’hanno inserita nella sezione Cambridge dove segue chimica e latino in inglese, però lei nota una netta differenza fra il modo di studiare in Italia e in Australia. In Australia ogni term dura 10 settimane pochissimo compiti nel pomeriggio ma dopo le 10 settimane ci sono due settimane di vacanze però al termine devono sostenere un test per ogni materia e realizzare una sorta di report. Ad esempio per storia lei all ultimo term ha realizzato un report di 40 pagine che il prof valuta è una presentazione di power point che poi è un riassunto della sua ricerca . Ma la cosa importante è che ogni stidente per realizzare questo report deve ricercare da internet da libri tutte le particolarità di quell argomento e soprattutto deve dare la sua opinione e poi sostiene un test a risposta multipla sulla materia. In Italia diceva lei devi solo memorizzare pagine e pagine di libri, nessuno mai chiede la tua opinione, come la pensi ma devi solo imparare ciò che è avvenuto e basta. Gli studenti hanno pochissimo tempo libero e non rielaborano nulla. Altro aspetto che L ha sconvolta, sono stati nel laboratorio di chimica e gli esperimenti li ha fatti la professoressa e loro tutti li a guardare. Da loro in gruppi di tre ragazzi eseguono gli esperimenti e il prof gira fra di loro per vedere come li eseguono. C ‘è da pensare!

  2. Ho riletto con piacere questo post dopo una conversazione avuta ieri con una mamma. Alla mia affermazione di aver appena spostato i miei due figli alla scuola internazionale di Torino (terza e quarta elementare) candidamente mi chiede se mi sono informata bene sulla didattica, perché poi al liceo avranno difficoltà dato che lì impareranno solo l’inglese e niente altro. Inutile esibire un’espressione colpita (da cotanta sfrontatezza e direi maleducazione) e argomentare alcunché, la signora mi ha elencato la formidabile preparazione che la primaria salesiana offre a sua figlia, dove studiano molto, fanno mappe concettuali ed espongono con parole proprie, dove ad aprile il programma è già terminato e l’estate è scandita da compiti quotidiani. Valeria

  3. Ho tentato di dire che ho visto, in questo primo mese, una matematica fatta in maniera da stimolare la logica, che musica è molto più interessante e suonano uno strumento, etc, ma niente, la signora mi ha riportato di conoscenti che mandano i figli nella stessa nostra scuola internazionale e che dicono che “ormai sono e restano lì perché i figli non sono preparati e quindi avrebbero difficoltà altrove rientrando nel sistema italiano”. L’ho salutata sconfortata (essendo ormai la quarta persona che in un mese ha sentito la necessità di farmi sapere che i miei figli non impareranno bene o nulla a causa della nostra decisione di cambiare sistema).

  4. gran bel post. Grazie!
    io ho due bambine (10 e 8 anni). nate in Inghilterra e adesso viviamo negli Stati Uniti. Le uniche scuole che hanno frequentato sono inglesi e americane. Adesso stiamo considerando di rientrare in Italia e siamo preoccupati per il potenziale inserimento nella scuola primaria italiana. Hai dei consigli a riguardo? Cosa possiamo aspettarci da questa eventuale esperienza?

    grazie

    1. Buongiorno Alessio,
      è difficile dire come vi troverete perché c’è tantissima varietà di approcci tra scuole, dirigenti scolastici e docenti. Io consiglio di scegliere la scuola che vi interessa e di provare a scrivere al dirigente scolastico. Dipende molto se la scuola di destinazione è abituata a prendere alunni stranieri o meno, perché in fondo le tua figlie l’italiano lo parleranno ma certamente sullo scritto saranno indietro e soprattutto per la grande, il primo anno potrebbe essere un po’ faticoso. Certamente optate per il tempo pieno, non scegliete una sezione a tempo normale o modulo, altrimenti le bambine si troveranno tanti compiti durante la settimana. Una ipotesi di atterraggio più morbido si potrebbe avere scegliendo una scuola paritaria. Sono quasi tutte cattoliche ma molte offrono servizi di doposcuola e aiuto compiti e più attenzione al singolo studente. Ovviamente a fine ciclo (ossia finita la scuola primaria) magari è meglio la scuola pubblica. Dipende anche dall’offerta che ci sarò dove andrete ad abitare (grane città? piccolo centro?).

  5. Grazie Elisabetta seguo da anni le sue riflessioni e questa la trovo veramente ben centrata ed esplicativa. Mai credersi al centro del mondo. Vale per tutti.

    1. Grazie. Sì, il concetto è che vale per tutti (e per tutto). Viviamo una vita sola ma non possiamo giudicare quelle altrui solo sulla base della nostra, prima occorre conoscere e poi si può valutare o giudicare. Anche noi, se cresciuti altrove, saremmo diversi da ciò che siamo.

  6. Che bel post. Mi ci ritrovo in molte cose avendo studiato, anni or sono…, sia in Italia che in Francia che negli Stati Uniti. Mia figlia è ora in 5 liceo scientifico e vorrebbe capire un po’ le differenze attuali tra Italia e altri paesi per quanto riguarda all’universitá tra triennale, magistrale, master, etc…. Suggerimenti dove trovare queste info??? Grazie

    1. Ciao Raffaela, temo che confrontare i vari sistemi sia quasi impossibile…forse è meglio documentarsi prima su quello italiano, studiando come funziona il 3+2 e vedendo quali corsi di laurea sono rimasti a ciclo unico. Un sito noioso ma serio per iniziare è questo https://www.universitaly.it/#null
      perché c’è dietro il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
      Poi confrontare con i sistemi stranieri.
      Per il Regno Unito tanto vale consultare il sito dell’UCAS https://www.ucas.com/
      Per le università americane bisogna rivolgersi ai portali o siti di privati oppure alle società coinvolte nei test di ammissione (ad esempio College Board).
      Sulle università Olandesi avevo scritto un post e sulla francesi, svizzere, tedesche etc.. dovrei cercare io stessa…
      Il punto è che è inutile guardarsi intorno se non si ha idea dell’area di studi, se giuridico-sociale, economica, letteraria, medica, tecnica e via dicendo, perché la scelta del dove studiare potrebbe cambiare a seconda dell’area di studi prescelta…
      In più anche in Italia ci sono ora triennali che combinano indirizzi diversi, come PPE (Politics, Philosophy and Econmics) o Global Governance (Diritto, Economia, Ambiente, geopolitica etc..) o Medical Bioengineering e via dicendo e che complicano le valutazioni dei ragazzi indecisi.
      Se uno ha una idea molto particolare (ad esempio, studiare neuroscienze o sanscrito) dovrebbe partire dalla materia e dove viene fatta meglio. Se invece uno studente ha una idea vaga e generale (ad esempio, studiare Economia) allora può pensare prima al paese e poi al corso di laurea.
      In generale agli indecisi o agli immaturi suggerirei di fare la triennale in Italia e la specialistica fuori.
      Una buona idea è quella di tentare i primi test universitari già in quarta liceo e fare le summer school delle università, anche quelle a pagamento delle università private, tanto per iniziare a ragionare “da grandi”.

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