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Ripensare il sistema di istruzione e formazione: una tavola rotonda a Code4Future

Si è tenuto l’8 e 9 Novembre scorso “Code4future”, il primo evento organizzato a Roma per contribuire alla diffusione della cultura della Open Innovation.

Lanciato da HTML.it ed organizzato da Triboo Media in collaborazione con Talent Garden e Seedble, in due giorni ha ospitato oltre 30 speaker e raccolto circa 700 partecipanti: professionisti, startupper e aziende, tutti interessati al tema dell’innovazione.

Durante i due giorni si sono alternati interventi, dibattiti, tavole rotonde e laboratori di formazione, che hanno ruotato intorno al tema del digitale e del cambiamento tecnologico nei suoi molteplici aspetti: intelligenza artificiale, realtà virtuale, blockchain e molto altro.

Cose da nerd, insomma, ma anche da giovani imprenditori!

È in questo ambito che si è svolta anche una tavola rotonda su educazione, formazione e istruzione dal titolo assai vasto (“Ripensare il sistema Education”), alla quale sono stata chiamata a partecipare anche io (…cioè Educazione Globale).

l collegamento tra innovazione ed Education, del resto, non è nuovo: se si vuole fare innovazione, necessariamente si deve passare anche dall’introdurre maggior creatività nella didattica. Serve maggiore sperimentazione, confronto e integrazione, senza però dimenticare l’inclusione.

 

Come ridisegnare il sistema di educazione e formazione?

“Se fossi Ministro dell’Istruzione da cosa partiresti per migliorare il sistema educativo?” ecco la provocazione di Valeria Bonilauri (Responsabile Innovazione e Sviluppo del Consorzio Elis) che ha aperto la moderazione della tavola rotonda Education di Code4future.

Scuola, università, centri di ricerca, organizzazioni e famiglia: da dove si parte per disegnare il futuro del sistema Education? Questa la domanda posta ai componenti della roundatble education, oltre a me (per Educazione Globale, ovviamente in veste di genitore), a (comunicatore, formatore di impresa e docente a contratto), Daniele Barca (dirigente scolastico), Carlo Messina (esperto di formazione aziendale), Giada Susca (consulente in materia di risorse umane).

La sfida – insomma – era interessante: per educare i nostri ragazzi ad essere agenti di cambiamento, partire dalle esperienze di un dirigente scolastico, un manager, un comunicatore, un esperto di risorse umane e un genitore. Con il senno di poi mancava forse proprio chi con la scuola si confronta ogni giorno: la figura del docente.

Ridisegnare il sistema dell’Education: impossibile rispondere in modo esaustivo in pochi minuti, per cui personalmente mi sono soffermata – in modo assai più breve di quanto non farò qui – solo su due aspetti, che riguardano due cicli scolastici: la scuola dell’infanzia (i bambini piccoli) e la scuola secondaria di secondo grado (insomma, la scuola superiore).

In premessa ho spiegato come io rappresentassi, anche in quel contesto, non il lato dell’offerta di istruzione (e formazione/educazione: si usi il termine che più aggrada), ma il lato della domanda. In altre parole, so cosa desiderano i genitori che hanno figli in età scolare e che si rivolgono a me. Per questo motivo, non potevo non tener conto, nella mia risposta, delle domande, delle preoccupazioni e dei temi che più spesso vengono sollevati su Educazione Globale.

Il grado di insoddisfazione più alta che registro (dopo i problemi organizzativi e logistici delle scuole) riguarda la didattica delle lingue straniere moderne nelle nostre scuole. I genitori si rendono conto – sia pure in modo confuso – che ormai non siamo crescendo (solo) i futuri cittadini degli Stati nazionali ma anche i futuri cittadini europei e globali. E’ chiaro a tutti che, con buona pace di nuovi protezionismi, dazi commerciali, sovranismi o Brexit, la globalizzazione non si arresterà.

Crudelmente, si possono bloccare le persone in funzione del loro passaporto e tassare le merci, ma le tecnologie consentono la globalizzazone delle informazioni in tempo reale. In questo nuovo quadro – che è anche post-nazionale – anche se i nostri passaporti rimangono nazionali, saper “stare al mondo” richiede una capacità di adattarsi, di comunicare in altre lingue e sapersi interfacciare con altre culture ancora maggiore che in passato.

Nella sua forma più elementare, questo si traduce con la preoccupazione dei genitori di far imparare l’inglese e altre lingue ai propri figli o di crescerli bilingui. Nella sua forma più evoluta, s’inizia a sentire l’esigenza di una capacità di comunicazione inter-culturale che prima non era così pressante. Ragionando su tutto questo, è proprio sui più piccoli che bisogna intervenire.

L’esigenza di una scuola multilingue: investire sui più piccoli

Scuole multilingui sin da bambini, scuola dell’infanzia per tutti (il che significherebbe anche investire massicciamente risorse pubbliche e private nella fascia 3-6 anni), soprattutto nel meridione del nostro paese dove, per tanti bambini, la scuola dell’infanzia pubblica non esiste.

Può sembrare strano che ad un evento dove si discute di algoritmi e intelligenza artificiale, startup e innovazione io abbia accennato ai bambini tra 3 e 6 anni ma, come è stato ribadito in un recente rapporto Unicef, già quell’età la maggior parte del loro sviluppo cerebrale è avvenuto. Si tratta di una fase della crescita dove, oltretutto, chi viene da un background socio – economico svantaggiato avrebbe grandi benefici nel frequentare una scuola dell’infanzia (come chiarito in uno studio dell’INVALSI del 2016).

Insomma: la scuola dell’infanzia deve rientrare nel ciclo dell’istruzione obbligatoria, ed essere oggetto di investimento, cura, innovazione. Del resto, come ho spiegato altrove, gli studi dimostrano come il vocabolario di un bambino già a 3 anni e nella propria lingua madre, sia fortemente correlato alla quantità e alla varietà di parole ascoltate sin dai primi mesi di vita e che, in contesti svantaggiati dal punto di vista culturale, i bambini sono esposti a circa 30 milioni di parole in meno.

Invece esprimersi bene nella propria lingua madre ma anche investire nelle lingue (nell’inglese soprattutto) è cruciale. L’inglese va saputo come l’italiano. Buona parte dei contenuti del web interessanti a livello internazionale (cattivi o buoni che siano) sono in inglese.

Ripensare il sistema educativo in questo senso vuol dire abbandonare totalmente il sistema traduttivo-grammaticale, che tratta da sempre le lingue straniere moderne come se fossero lingue classiche e assumere educatori ed educatrici e insegnanti che siano madrelingua o bilingui.

 

Riformare la scuola superiore

L’altro tema che angustia molto genitori è quello che riguarda il curriculum, i metodi didattici e la scelta della scuola superiore (licei, istituti tecnici e istituti professionali).

Che senso ha scegliere un tipo di scuola o un indirizzo quando una ragazza o un ragazzo ha spesso meno di 14 anni? Sappiamo tutti che in Italia la scelta della scuola superiore si fa troppo presto, è troppo vincolante, spesso è compiuta daigenitori e, soprattutto è una scelta di estrazione sociale: chi svolge una professione intellettuale desidera che i figli frequentino il liceo, possibilmente scientifico o classico anche perché ritengono che sia frequentato da figli di persone di analoga estrazione.

Ci vorrebbe invece una scuola superiore tutta nuova, sia nella didattica, sia nelle materie studiate.

Una scuola superiore senza indirizzo, fatta di un biennio di materie base (uguali per tutti) e un altro biennio in cui sono gli studenti a scegliere la rosa di discipline sulle quali cimentarsi, tra poche obbligatorie per tutti e molte di tipo vocazionale, in modo da orientare anche la scelta universitaria.

Ci vorrebbe, infine, un esame finale standardizzato, che consenta la comparazione e ritrovi, così, un valore segnaletico, mentre in Italia oggi sappiamo tutti che un 100 e lode preso nella scuola x è diverso da quello della scuola y.

La seconda domanda fatta ai partecipanti ha riguardato quali competenze – tra quelle raccomandate dall’UE – (quelle aggiornate al 22 maggio 2018) ritenevamo più importante e perché. Il quadro di riferimento delinea otto tipi di competenze chiave (alfabetica funzionale; multilinguistica; matematica e in scienze, tecnologie e ingegneria; digitale; personale, sociale e capacità di imparare a imparare; di cittadinanza; imprenditoriale; in materia di consapevolezza ed espressione culturali). Difficilissimo scegliere, tra tanti aspetti importanti, tanto è vero che più d’uno dei relatori ha sottolineato l’importanza di più competenze in connessione tra loro.

Per brevità, non ho menzionato gli interventi degli altri partecipanti. In particolare, Daniele Barca dirigente scolastico dell’istituto comprensivo 3 di Modena ha descritto quanto fatto per una “scuola indisciplinata”, nel senso del superamento della logica delle discipline e delle materie. Vari sono stati gli spunti raccolti: dall’“imparare a imparare” (perché le competenze specialistiche cambieranno sempre più velocemente), al facilitare la sperimentazione, all’importanza per tutti di imparare a lavorare in team, con logiche collaborative, al praticare l’inclusione educando tutti alla cittadinanza digitale.

Un ringraziamento finale va ad Andrea Solimene per aver organizzato l’iniziativa.

 

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